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Covid-19 cambia gli assetti geopolitici e l’Europa… Parla Korinman (Sorbona)

“L’emergenza Coronavirus potrebbe causare una psicosi collettiva globale, simile a quella del 1929, dalle conseguenze imprevedibili per il nostro mondo. Il tutto condito e complicato da una generale overdose di complottismo che non risparmia nessuno, dalla Cia, passando per il Frankenstein cinese, fino ad arrivare ai classici ebrei come George Soros e ai milionari come Bill Gates. E per fortuna Papa Bergoglio si attiene, ancora una volta, al suo ruolo invitandoci a pensare a come migliorerà il sistema politico e sociale nel futuro prossimo venturo”, lo spaccato che Michel Korinman fornisce a Formiche.net sulla crisi in corso è ampio. Professore emerito alla Sorbona, Korinman è uno dei padri nobili della geopolitica: ci spiega che “è certo che, passata l’emergenza sanitaria, l’economia di guerra sperimentata per superarla porterà profondi cambiamenti. Cambierà l’assetto geopolitico internazionale così come l’abbiamo conosciuto fino a oggi”.

Intravvediamo da settimane spaccati di un confronto globale tra potenze, giocato anche sul suolo italiano. Che succede?

È già in atto una Guerra Fredda del nuovo tipo che vede lo scontro, senza vincitori, tra Usa e Cina. Donald Trump, all’inizio assai spocchioso sulla gravità del COVID-19, si è mosso su un doppio binario: da una parte ha lanciato un gigantesco piano di oltre 2.000 miliardi di dollari per sostenere e rilanciare quella che ha definito la nostra meravigliosa economia; dall’altra ha cercato di far passare il messaggio della Cina come superpotenza di carta, responsabile della diffusione del male, irresponsabile nella sua gestione visto che ha camuffato i dati sul numero dei contagiati e dei deceduti da Coronavirus, quindi incapace col suo modello comunista di superare il potere USA. Xi Jinping, sostenuto dall’OMS in cui i cinesi hanno contribuito alla elezione come direttore generale dell’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, da parte sua glorifica le straordinarie capacità del Partito Comunista, il solo in grado di vincere la guerra popolare contro il virus, a differenza degli americani e delle democrazie occidentali. Inoltre, il leader cinese strumentalizza la “diplomazia delle mascherine” per dimostrare a livello globale il suo peso geopolitico. La verità è che tra i due litiganti, Cina e Usa, nessuno sembra in grado di vincere e imporsi. Al contrario, l’immagine di entrambi gli avversari si è erosa. Hanno lasciato l’umanità orfana, non esiste più una leadership mondiale.

Con il Coronavirus sta emergendo un settore sconosciuto della geopolitica tradizionale. Non si lotta in queste ore per accaparrarsi spazi territoriali. Assistiamo, invece, a una competizione tra modelli sociali: è così?

Esatto, modelli più o meno capaci di rispondere alle sfide sanitarie, espressione di quella che, con un neologismo potremmo definire sociogeopolitica. Samuel Huntington non aveva previsto uno scontro di civiltà in questi termini. Il Confucianesimo, importato dalla Cina, aveva gettato le basi per un modello di società molto gerarchizzato (disciplina, senso del dovere, pietà filiale, rispetto degli anziani, umiltà) che continua oggi a plasmare chi vive a Hong Kong, Taiwan, Singapore, Corea del Sud e in qualche modo in Giappone. Sono paesi che hanno nella guerra contro il SarsCoV2 fatto ricorso alla “tecnologia civica” (come dice Giulio Terzi di Sant’Agata) senza compromettere le libertà fondamentali.

Una sfida, l’approccio di questi paesi, anche per l’Occidente.

Il modo in cui queste società sono riuscite a sconfiggere con successo il virus, metterà irrimediabilmente in crisi il funzionamento delle nostre democrazie occidentali. Inoltre, la capacità di Taiwan, esclusa dall’OMS per volontà della Cina, di reagire alla minaccia del virus rappresenta una sfida dolorosa per Pechino. Questo spiega perché nella notte tra il 17 e il 18 marzo caccia bombardieri J-11 cinesi si sono avvicinati alla zona aerea d’identificazione di Taipei. Il tutto mentre a Hong Kong, nel 1997 sotto la sovranità della Cina e dove da giugno 2019 si moltiplicano violente manifestazioni di piazza anti-Pechino, nelle ultime settimane il personale ospedaliero ha scioperato per allontanare i cittadini cinesi stricto sensu.

E l’Europa?

Sembra la grande sconfitta della globalizzazione, sta già ripensandola e in particolare quella che Nicolas Goetzmann ha definito la sino-economia mondiale iniziata nel 2000 che concentra quasi il 30% del totale della produzione manifatturiera. Sopratutto possono rallegrarsi sia i sovranisti, sia i federalisti europei come l’ex Ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer. Il peccato originale degli architetti dell’Unione Europea (come quello dei comunisti del blocco sovietico fautori di una finta transizione verso il socialismo) è stato il non voler trasformare l’Europa in una potenza sovrana mondiale, ma di ridurla a un’amministrazione tecnocratica parallela alle nazioni.

Modello sbagliato, dunque?

Questo modello di Ue è diventato insopportabile e insostenibile con la congiunzione delle crisi economica (iperliberismo finanziario), demografica (l’Africa!), migratoria e di civiltà (l’Islam). Per esempio non è mai esistita una Europa della salute. Nello spazio UE muore con Schengen la libera circolazione delle persone sopraffatta dal ritorno delle frontiere nazionali. Tuttavia, mentre i criteri del patto di stabilità del 1997 sono stati dinamizzati dal Coronavirus, non sappiamo se mai partirà “il razzo europeo” (Enrico Letta) che consentirebbe di salvare gli stati membri in difficoltà.

Si contrappongono i paesi “frugali” a quelli “spendaccioni”, come lei mi ha detto: che significa?

La questione tedesca (e quella olandese) ritorna con forza. Se definisce il Covid-19 la più grande sfida (grösste Herausforderung) per la Repubblica federale dal 1945, la cancelliera Angela Merkel ha bene in mente che in Germania (Ovest) fin a Maastricht il nazionalismo tedesco non poteva essere altro che sostituito dal marco e che poi il mantra “esporto, dunque sono” (Hans Kundnani) si è imposto. Merkel non vuole e non può andare contro buona parte della sua opinione pubblica convinta della sacralità dei concetti di austerity e della parità di bilancio e la quale per questo non è disposta a condividere debiti con gli altri stati membri, soprattutto se poco disciplinati come ad esempio l’Italia.

Che può succedere?

Se l’UE s’incaglia di nuovo in mezzo al Covid-19 non si riprenderà mai più. Va inoltre ricordato che l’UE, oggi confrontata a una propria guerra della pandemia, era nata per superare i conflitti armati. Peraltro le nazioni sono nate spesso come reazioni ad invasioni dall’esterno. Se l’Europa si sottomette al ricatto sull’immigrazione del sultano Erdoğan con pressioni migratorie alla frontiera turco-ellenica e non costruisce un rapporto di forza euro-turco proprio mentre i centri di accoglienza sovraffollati nelle isole greche dell’Egeo si trasformano in potenziali bombe epidemiologiche, ogni stato europeo comincerà a reagire e difendersi singolarmente. Una reazione ferma e univoca potrebbe invece innescare una manifestazione di solidarietà filoellenica intorno ai greci, prodromo di un “effetto Valmy”, cioè il potenziale embrione di un riflesso protonazionale tra gli europei.

Ma non solo UE, l’emergenza è globale: è una pandemia.

Da Conakry a Sanaa i popoli si interrogano (più o meno velatamente a seconda dei regimi) sullo stato spesso deplorevole dei rispettivi sistemi sanitari, mentre la decolonizzazione è un ricordo ormai lontano e la paura di un’ecatombe avanza. Le fragili economie di questi paesi dipendenti dalla Cina o dall’export di materie prime, sono già in ginocchio. Nell’India di Narendra Modi, dove lo scontro indù/musulmani è stato esacerbato da una legge sulla cittadinanza che mette al bando i secondi, l’esodo di milioni di poveri dalle campagne alle città aumenta di giorno in giorno col rischio di gravi scontri sociali. Nella prima fase l’Africa è stata poco toccata dalla pandemia. Probabilmente alcuni paesi africani come Senegal, Sudafrica e Kenya riusciranno ad affrontare la grave emergenza sanitaria. Ma altri, come Tanzania, Mozambico, Uganda ed Etiopia sono particolarmente a rischio, mentre alcuni stati come la Repubblica Centrafricana e il Sud Sudan non hanno nessuna chance di reagire a una eventuale e capillare diffusione del virus. Le monarchie del Golfo a loro volta hanno investito assai poco nel settore sanitario. Un paese esportatore al 95% di idrocarburi come l’Algeria (col petrolio in caduta libera) e che importa massicciamente, rischia carenze

Si crea una sovrapposizione tra situazione pre-esistenti (conflitto e crisi di vario genere) e l’effetto del virus.

In molti casi – Libia (bomba a orologeria data la porosità dei sui confini), Siria (militari infettati provenienti dall’Iran e dal Pakistan), Yemen (già in ginocchio a causa della peggiore catastrofe umanitaria del pianeta) c’è una sovrapposizione geopolitica tra conflitti armati in corso (inutili i cessate il fuoco dell’Onu) ed emergenza virus. Ci sono poi quesiti interessanti ai quali rispondere: che faranno i palestinesi, e in particolare Hamas a Gaza che è stata confinata sia dagli egiziani che dagli israeliani, nel caso in cui Gerusalemme proporrà loro un vaccino anti-virus prodotto dalle start-up israeliane ? Che farà Putin, accusato dalla sia pur debole opposizione interna di minimizzare l’emergenza sanitaria, se i suoi consiglieri militari o i suoi mercenari dovessero rientrare contaminati dalla Siria?

Altro tema enorme, riguarda l’Iran, con potenziali ripercussioni a livello geopolitico regionale.

Almeno due Stati-canaglia si sono definitivamente collocati fuori dalla comunità internazionale. Il governo iraniano (uno dei paesi al mondo col maggior numero di contagi), consapevole della pandemia da inizio febbraio, ha nascosto e tollerato il contagio del virus, non ha ad esempio messo in quarantena la sua città santa di Qom e quella di Machhad, al fine di non compromettere i festeggiamenti per l’anniversario della rivoluzione islamica e le elezioni parlamentari. La Guida Ali Khamenei ha accusato Washington di contribuire a peggiorare la situazione mantenendo le sanzioni verso l’Iran e di orchestrare una guerra biologica. La teocrazia iraniana per gestire l’emergenza Covid-19 si trova però a un bivio: fermare le attività economiche, ma questo si potrebbe tradurre in un pericoloso movimento di piazza; oppure adottare solo poche (anche se pesanti) limitazioni col rischio invece di un contagio dell’intera popolazione. Per non parlare dell’allargamento nell’Afghanistan vicino e poi, attraverso lo strategico corridoio sciita, dall’Iraq al Libano. L’eventualità di una sanguinosa rivoluzione contro la Rivoluzione islamica non sembra comunque inconcepibile.

Qual è l’altro stato a cui si riferisce?

Dinamica simile si registra nella Corea del Nord del feroce e grottesco Kim Jong-un che con la Cina condivide un confine di 1.420 km sul fiume Yalu e il cui ministro della Salute non risponde alle richieste di informazioni da parte dell’OMS; il 43% dei 25 milioni di abitanti del paese soffre di malnutrizione, ha basse difese immunitarie e può contare su un sistema sanitario rudimentale. Nel solo mese di marzo la Corea del Sud ha lanciato quattro volte i missili balistici nel mare del Giappone. Ma se i problemi di salute causati dal virus dovessero estendersi anche all’oligarchia, la possibilità di un colpo di stato potrebbe succedere.

Torniamo all’Europa: il grande pericolo oggi sembra la frammentazione. È così?

In particolare in Francia, anello debole dell’UE, dove alcuni citano Marc Bloch, il celebre storico assassinato dalla Gestapo e “L’étrange défaite” la sua opera redatta nel 1940 per denunciare l’impreparazione delle autorità nazionali francesi di fronte all’invasione dell’esercito nazista. In quelli che Éric Zemmour ha definito i territoires perdus du confinement, con una elevata concentrazione di popolazione (di origine) straniera si registrano moti di insubordinazione di fronte alle misure adottate dal governo. Mentre in Spagna i separatisti catalani accusano Madrid di aver sfruttato la crisi del Coronavirus per sottrarre l’autonomia alla Comunità autonoma catalana.

E su questo quadro non possiamo dimenticare l’Ungheria.

Infine nell’Ungheria di Viktor Orbán dove quella che potremmo definire démocrature si è consolidata l’approvazione il 30 marzo in Parlamento di una legge che assegna al primo ministro pieni poteri e possibilità di governare per decreto fino al punto di poter condannare a cinque anni di carcere gli autori di presunte fake news (sinistra e estrema destra le quali volevano una limitazione dell’esercizio nel tempo non hanno ottenuto ragione). Il testo che affida un assegno in bianco nella mani di Orbán è passato con 137 voti contro 53. Tuttavia non siamo più in Europa e non è chiaro cosa l’Ue possa fare in questo caso.

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