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La caduta del (primo) muro

Non credo ci si potesse aspettare di più dall’Eurogruppo di ieri. Il Consiglio del 26 marzo, incapace di assumersi le responsabilità che gli competono (e soprattutto di trovare un accordo di compromesso), aveva rimbalzato la palla all’Eurogruppo per presentare proposte.

E l’Eurogruppo di ieri ha reagito mettendo a disposizione oltre il 30% delle risorse del MES, 240 miliardi di euro, con l’unica condizione che vengano utilizzate per fronteggiare direttamente l’emergenza sanitaria. È caduto il primo dei tre muri che avevo indicato qualche giorno fa: quello di utilizzare il MES non per l’assistenza finanziaria ex-post e non con le (pesanti) condizionalità previste per accedere alle sue risorse.

Si è detto inoltre pronto a monitorare la situazione dei conti di ciascun paese ed intervenire nel caso fosse a rischio la stabilità finanziaria. E ad attivare la Enhanced Conditions Credit Line per ulteriore sostegno contro le emergenze generate dalla pandemia. Ha inoltre invitato la BEI a fornire 25 miliardi di capitali freschi per supportare un piano da 200 miliardi a favore delle piccole e medie imprese, si presume nella logica di un ulteriore potenziamento del Piano Juncker; o ad esso analoga.

Nel frattempo, la Commissione ha fatto saltare il Patto di Stabilità e Crescita, concedendo a ciascun paese di sforare i parametri fiscali, riallocato i residui della programmazione dei fondi in scadenza, e varato il Piano SURE che consente di abbattere i costi per l’erogazione dei sussidi di disoccupazione in ciascun paese. La BCE aveva già varato piani da oltre mille miliardi a favore di imprese, istituti di credito e titoli di Stato (col Quantitative Easing, il Pandemic Emergency Purchase Programme ed estendendo il Corporate Sector Purchase Programme). Dichiarandosi inoltre pronta ad intervenire anche con le Outright Monetary Transactions, in caso di estrema necessità; anche se ci auguriamo che non sia necessario farvi ricorso, perché resterebbe senza munizioni.

Tanto per ricordare, a chi attacca sempre l’Europa, a prescindere, che l’Europa, nelle sue varie geometrie, ha battuto ben più di un colpo nell’ultimo mese.

Quello che l’Unione Europea non ha fatto è concedere risorse che permettessero di finanziare, a livello nazionale, QUALSIASI tipo di spesa; cosa che si sarebbe presumibilmente tradotta, almeno nel caso italiano, in ulteriori spese improduttive (il passato, con i comportamenti dei vari governi, quasi tutti peraltro, negli ultimi trent’anni, insegna). E non mi riferisco qui allo scivolone mediatico (ma nella sostanza non molto lontano dalla realtà, purtroppo) delle infiltrazioni mafiose nella gestione di fondi europei (cose peraltro ampiamente note e per le quali non si capisce come ci si possa scandalizzare: semmai ci dovremmo scandalizzare che queste infiltrazioni vengano consentite, non che qualcuno lo dica apertamente).

Tutto questo è sufficiente? Naturalmente no. Al di là della crisi finanziaria e di liquidità generata dall’emergenza pandemica sarà necessario far riprendere l’economia reale. E qui viene la sfida più importante per l’Unione Europea, la cartina di tornasole di una comunità di destino che decide con regole incoerenti con l’essere una comunità. Ma almeno l’Eurogruppo ha avuto l’onestà intellettuale di riconoscere l’esistenza di altri due muri da abbattere. E che non sarà affatto facile abbattere: i nodi indicati come Recovery Fund e il Multinannual Financial Framework, ossia il titolo di debito condiviso e il bilancio collettivo della UE. Due nodi che non sta all’Eurogruppo sbrogliare, ma al Consiglio (che deve anche validare le decisioni di ieri) ed alla Commissione (si noti la totale assenza, in questo processo decisionale, dell’unico organismo davvero rappresentativo dei cittadini, il Parlamento… ma su questo tornerò fra qualche istante).

È da loro che deve arrivare una proposta seria di aumento del bilancio dall’attuale ridicolo 1% del PIL e di ricorso a risorse reperite collettivamente sul mercato, con garanzia congiunta (magari sullo stesso bilancio UE), per finanziare i beni pubblici europei di cui i cittadini avranno urgenza appena usciremo dall’emergenza: per potenziare contemporaneamente una domanda per consumi incerta, una domanda per investimenti preoccupata per il futuro, per sanare finalmente le distorsioni in mercati non concorrenziali, ed aumentare la capacità produttiva delle imprese sulla frontiera tecnologica.

Il Parlamento si può quindi chiamare fuori, deresponsabilizzato da un percorso decisionale che obiettivamente non lo mette al centro di questo processo decisionale? No, il Parlamento, pur non potendo decidere granché nell’immediato, può finalmente giocare il ruolo storico che gli compete, come unico organismo legittima espressione della volontà dei cittadini europei. Quello di riscrivere il patto di convivenza ed i meccanismi decisionali nella UE, autoproclamandosi Assemblea Costituente o chiedendo la convocazione di una Convenzione Costituente che riscriva le regole di funzionamento dell’Unione Europea, riallocando le competenze fra i vari livelli di governo ed abolendo il diritto di veto da ogni decisione collettiva.  Per prepararla così a divenire un soggetto capace di affrontare seriamente le sfide di questa nuova era post-Covid.



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