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Le catene globali del valore

La stragrande maggioranza dei prodotti che siamo abituati ad acquistare dipende da una complessa rete di catene globali del valore, ossia da produzioni decentrate praticamente in tutto il mondo e poi assemblate fino ad arrivare sugli scaffali dei nostri negozi, supermercati, centri commerciali. Auto, elettrodomestici, computer, smartphone, persino mobili dipendono in maniera cruciale dal funzionamento il più possibile lineare e consolidato di queste complesse reti globali di produzione e distribuzione. Catene che si sono interrotte con l’emergenza sanitaria. E che si ricostituiranno su percorsi che sono ancora tutti da immaginare.

Mentre possiamo rinunciare (più o meno) facilmente ad acquistare un limone proveniente da Israele, un’arancia spagnola, un mango brasiliano, un dattero tunisino, etc (perché rinunciamo al prodotto o perché magari ne troviamo uno analogo coltivato in Italia), un po’ più complesso è rinunciare a prodotti assemblati, come computer, smartphone, auto, la nutella (!), etc. Soprattutto a costi che sono probabilmente la metà di quelli che avremmo se quei beni dovessero essere prodotti in Italia. Da qui l’importanza di ricostruire/consolidare le catene del valore.

Alcune di esse dipendono dagli incentivi forniti dagli Stati alla delocalizzazione di alcune fasi produttive o semilavorati, che a loro volta dipendono da: contesti amministrativi-legali-burocratici meno assillanti, una competizione sui costi salariali e di protezione sociale, maggiori garanzie sulla tenuta politico-sociale in contesti pur precari, fondi pubblici locali a sostegno delle attività imprenditoriali, etc.

Ora, il mondo post-Covid19, che ha visto l’interruzione di alcune catene (logistiche e) del valore, sarà caratterizzato da un aumento della concorrenza fra i sistemi economici a fornire incentivi di questo tipo. È facile capirne il perché, vista la massa di denaro iniettato nel sistema economico dalle autorità di politica economica di ciascuno Stato in tutto il mondo. Approfittando dell’espansione fiscale e monetaria generalizzata, alcuni paesi coglieranno l’occasione per rivedere le loro politiche di incentivazione ai settori economici, tentando di scardinare le altrui (e/o consolidare le loro) posizioni all’interno delle catene del valore globali; nell’ottica di ridefinire il posizionamento strategico delle proprie imprese rispetto alle produzioni ad alto valore aggiunto e ridisegnando (o aiutando le loro imprese a ridisegnare) anche le loro catene del valore.

Questo significa che l’Italia e l’Europa devono scegliere, urgentemente, da che parte stare nella competizione sempre più accanita che si sta aprendo in queste settimane. Sarebbe ingenuo pensare che queste scelte siano assunte dalle imprese, in totale autonomia da quelle politiche, senza cioè considerare gl’indirizzi strategici degli ordinamenti sovrani ai quali esse appartengono. Che, nel contesto europeo, sono almeno due: quello nazionale e quello europeo. Lo scenario che si apre è quindi l’opzione fra una scelta frammentata, completamente decentrata a livello nazionale; e quella di considerare (anche) una dimensione europea della produzione e nella scelta delle catene del valore. Il che implica, in ultima analisi, la formazione di una volontà di politica industriale (e quindi di politica tout court) europea.

La UE negli ultimi mesi aveva avviato una ridefinizione del concetto di ‘mercato rilevante’ per dirigere la sua politica di tutela della concorrenza (se il mercato rilevante è quello europeo la tutela della concorrenza si fa impedendo aggregazioni europee, se è quello mondiale la tutela della concorrenza significa creare soggetti in grado di competere a livello globale). Con l’idea, fortemente sponsorizzata da Francia e Germania, di sposare una visione globale del mercato rilevante e, in nome di essa, promuovere ‘campioni’ europei. Una iniziativa lodevole. Che rischia di giungere tardiva. E soprattutto ‘vecchia’. I mercati saranno sempre più segmentati in forme concentriche dalla dimensione locale a quella globale. E per seguire tale dinamica non sarà più necessario solo fare politica di tutela della concorrenza; ma anche assumere innovative ed unitarie scelte di politica industriale. A vari livelli. Cosa che le strutture istituzionali Stato-centriche dell’attuale Unione Europea non sono ad oggi in grado di fare.

Insomma, abbiamo di fronte scelte decisive, da assumere con la piena consapevolezza che opzioni strategiche di questa natura sono difficili da modificare; abbandonarne la componente inerziale ha infatti un costo, che gli imprenditori sono disposti a sostenere solo se il vantaggio è maggiore. Questo significa che il modo in cui ci muoveremo nelle prossime settimane può avere un impatto determinante per le nostre prospettive di crescita nei prossimi anni.

Una scelta da assumere anche con un’altra consapevolezza. Che nel mondo post-Covid19 nessuno può garantire che le catene del valore possano sempre essere globali. E, conseguentemente, che l’ipotesi di indirizzare, almeno in alcuni settori, verso una ricostruzione delle stesse su base europea, sfruttando al massimo le diversità e complementarità, piuttosto che i semplici differenziali salariali (tipo con l’Europa dell’est), o criteri di vicinato (Africa) potrebbe valer la pena di essere attentamente esplorata.

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