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Libia, le critiche al golpe. E se anche Bengasi abbandonasse Haftar?

La milizia haftariana Lna accusa un drone turco di aver colpito un camion che trasportava cibo e di aver ucciso 5 civili. In Libia le campagne di disinformazione sono a un picco in questo momento, dopo che ieri il signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, ha compiuto un passo ulteriore nel suo colpo di stato permanente: dichiarare la fine dell’accordo di Skhirat – il quadro onusiano che dal 2015 affida alla Camera dei rappresentanti il potere politico e al Governo di accordo nazionale, Gna, l’azione legislativa. Con un discorso televisivo, alle 21 di lunedì Haftar si è intestato “la guida del Paese” dicendo che lo faceva accettando un fantomatico “mandato popolare” e minacciando i dirigenti politici dell’est che si fossero rifiutati di appoggiarlo. L’idea dell’Onu di riunificare il paese con un processo politico, secondo quanto detto da Haftar è ormai “una cosa del passato”.

Da Tripoli, fonti del governo spiegano in forma anonima a Formiche.net che la mossa è “tutt’altro che inaspettata”: “Haftar è bloccato, ha perso terreno nella sua campagna di aggressione (quella lanciata il 4 aprile 2019 col tentativo di conquistare la capitale e il paese, ndr) e ha problemi anche a Bengasi (il suo background, ndr). Il colpo di stato arriva perché le tribù locali non lo sostengono più e cerca il tutto per tutto”. Da qualche settimana la stabilità in Cirenaica è debole: c’è lo spettro della diffusione del coronavirus, aggravato dalla serie di sconfitte pesanti – con perdite – subite negli ultimi dieci giorni sul fronte a ovest e di Tripoli e nella fascia orientale, dove gli haftariani hanno praticamente perso Tarhouna, città nevralgica da cui lo scorso anno Haftar ha avviato l’assalto.

Mentre a sud della capitale le catene dei rifornimenti dalla Cirenaica si sarebbero allungate redendo impossibile l’avanzata al non-esercito haftariano. Secondo il portavoce dell’Lna, megafono della propaganda di Haftar, l’attacco aereo turco sarebbe avvenuto nella zona di Mizdha, un centinaio di chilometri a sud di Tripoli, sulla direttrice di Gharyan (altro punto logistico dell’offensiva perso nei mesi scorsi dall’Lna). Ankara ha inviato aiuti militari che sono stati determinanti per le missioni di controffensiva del Gna. E da tempo Haftar combatte – e non solo sul piano retorico – una guerra nella guerra contro la Turchia. Anche perché su questo è spinto dai suoi sponsor esterni, su tutti l’asse composto da Emirati Arabi, Egitto e Arabia Saudita – e poi c’è la Russia. Secondo le informazioni più recenti in Libia ci sarebbero miliziani siriani schierati sui due fronti: di quelli mandati dalla Turchia c’è certezza (anche se quel portavoce haftariano ieri ne ha fornito un numero spropositato: 17mila diceva, per attirare l’attenzione sulla narrazione dei turchi che portano in Libia dei terroristi); di quelli pro-Haftar ormai ci sono molto più che rumors.

Il punto sul futuro della mossa haftariana è legato anche (o forse soprattutto) a come si muoveranno certi attori regionali. Per esempio, il colpo di stato non è piaciuto al presidente della Camera, Agila Saleh, il più forte dei politici dell’Est libico, con ottime entrature al Cairo, vicino ad Haftar finora, ma negli ultimi giorni sembrava orbitare verso proposte di carattere politico. Saleh è considerato in stretto contatto con l’intelligence saudita. Come reagiranno a Riad? Si creerà anche in Libia, come in Yemen, una divisione del fronte con gli emiratini? O ancora: che ne pensano a Mosca? Il ministro degli Esteri russo ha diffuso una nota in cui sostiene di non approvare la scelta di Haftar, ma ricorda che Mosca” non ha leverage” sul capo miliziano libico. Eppure tra quei rumors su aiuti esterni la Russia ha un ruolo importante: dopo l’invio di contractor militari di una società vicina al Cremlino, pare che sul fronte haftariano siano arrivati da Latakia, in Siria, anche gli uomini del Quinto Corpo d’Assalto, un gruppo di miliziani assadisti che i russi hanno addestrato per sostenere il regime.

L’Italia ha diffuso una nota morbida che chide il rispetto del quadro Onu pre-esistente, e sempre oggi ha parlato anche la Commissione europea, che ha preso una posizione critica (ma non una denuncia) sulla pretesa di Haftar, dopo che ieri l’ambasciata statunitense aveva subito diffuso una nota di “rammarico” per quanto stava accadendo: “Qualsiasi tentativo di avanzare soluzioni unilaterali, ancor più con la forza, non fornirà mai una soluzione sostenibile per il paese e tali tentativi non possono essere accettati”, dice l’Ue. L’Europa ha leve da muovere sulla partita regionale che si sta giocando attorno alla Libia? E soprattutto, ha influenza da spendere sul confronto intra-libico che sta emergendo con forza da est? Va infatti considerato che, come nel caso di Saleh, con il colpo di spugna di Hafar figure come quelle collegate al cosiddetto “governo parallelo” o “provvisorio” dell’est – l’esecutivo con sede a Beyda e guidato da Abdullah al-Thani – diventano parti di strutture subordinate all’esercito e al suo comandante capo, ossia Haftar. Accetteranno? Girano già voci su alcuni possibili membri del governo militarista che potrebbero lasciare alcuni scontenti.

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