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I soldi ci sono. Politica e burocrazia facciano la loro parte. Il paper Sep-Luiss

Il potere delle idee, persino delle ideologie. Ma prima di tutto, contano i fatti. L’Italia si avvia, molto lentamente, verso l’agognata Fase 2, quella che dovrebbe gettare le basi per la rinascita produttiva della Nazione. Per essere sicuri di centrare gli obiettivi però, servono alcune certezze e meno voli pindarici: per esempio che le risorse per uscire dal tunnel, ci sono. Di questo sono più che convinti Carlo Bastasin, Lorenzo Bini Smaghi, Marcello Messori, Stefano Micossi, Pier Carlo Padoan, Franco Passacantando, Gianni Toniolo estensori di un paper diffuso dalla Luiss School of European Political Economy (Sep) e intitolato Le risorse per ripartire ci sono: subito progetti per il paese, anziché litigi ideologici.

I SOLDI? CI SONO

“L’Italia”, è la premessa ma anche un po’ la conclusione, “può disporre di risorse adeguate ad affrontare l’emergenza, impostare il riavvio dell’attività economica e avviare gli investimenti trasformativi necessari nel nuovo mondo post-crisi, purché abbandoni polemiche pretestuose che ci indeboliscono in Europa e impediscono di utilizzare le risorse disponibili in Italia. Le emergenze sanitaria ed economica, provocate dall’epidemia virale Covid-19, rischiano di ripercuotersi sulla tenuta istituzionale del Paese e quindi sulla capacità di risposta alle emergenze stesse”.

I soldi ci sono dunque. Ma dove stanno? Lo spiegano gli stessi economisti. “Negli ultimi quaranta giorni il governo italiano ha deliberato spese pubbliche e garanzie pubbliche sui crediti bancari che, in linea di principio, sembrano in grado di parare i primi colpi subiti dall’economia a seguito della pandemia. Le spese di bilancio, annunciate dal governo e in parte deliberate, si avvicinano al 3% del prodotto interno lordo”. Il riferimento è ai due decreti, ovvero il Cura Italia, incentrato sulla tutela del lavoro e quello per la liquidità alle imprese, che poggia sulle garanzie di Stato ai prestiti. In più ci sono i finanziamenti europei, che si aggirano sui 500 milirdi. Ebbene, il conto è presto fatto.

Oggi “l’Italia può fruire di finanziamenti europei aggiuntivi pari a circa 80 miliardi di euro. Sommati agli oltre 32 miliardi di trasferimenti disponibili, l’ammontare totale arriva a più di 110 miliardi di euro. Ciò consentirebbe di coprire interamente il maggior disavanzo pubblico già deciso o programmato dal governo italiano. Ma non necessariamente le decisioni politiche o le intenzioni si traducono, però, in risultati concreti”.

L’ORA DELLA BUROCRAZIA

Chiarita l’esistenza di risorse concrete, manca l’altro pezzo della macchina pubblica: la burocrazia. La velocità è, secondo il pool di esperti, l’elemento che può fare la differenza. “Per consentire al sistema economico italiano di uscire dall’attuale blocco e riprendere gradualmente la propria attività in sicurezza, non basta però che tali fondi siano ingenti e accessibili nel breve termine. Importa anche che vi siano le condizioni per un loro effettivo, efficiente ed efficace utilizzo. Queste condizioni richiedono che le decisioni di finanziamento e di spesa, assunte a livello europeo e nazionale, non vengano bloccate da ostacoli amministrativi o da speculazioni politiche di piccolo cabotaggio e, nel medio-lungo periodo, dall’assenza di una visione sui cambiamenti da realizzare. Sia nel breve che nel lungo periodo è, quindi, necessario ideare programmi e utilizzare i fondi per la preparazione e realizzazione di tali cambiamenti”.

BASTA LITIGARE O NON SI VINCE

Soldi, burocrazia e politica. Il terzo elemento senza il quale non è possibile completare il puzzle. Non ci sono dubbi, lo scontro ideologico in questo momento sarebbe deleterio, c’è in gioco l’unità del Paese. “Di fronte a una recessione economica senza precedenti e che potrebbe essere a due cifre, il circolo vizioso italiano instabilità economica-instabilità politica rischia di ripresentarsi con effetti più drammatici e di rendere impossibile un recupero per il quale invece sono disponibili sufficienti risorse finanziarie sia italiane sia europee”.

La prima reazione degli italiani di fronte all’emergenza sanitaria è stata di risposta ordinata e “nei mesi di febbraio e di marzo, anche i toni del confronto politico sono rimasti contenuti. Ma nelle ultime settimane le cose tuttavia sono cambiate. Due linee di faglia si sono aperte ricreando una rottura della risposta comune e riportando una seria incertezza sullo sviluppo politico del Paese. Le due faglie sono rappresentate dal rapporto Stato-Regioni e da quello Stato-Europa. In entrambi i casi, su queste due direttrici si è ricostruito un antagonismo ideologico e personale che ora ha assunto toni di contrapposizione così forti da apparire difficili da riconciliare. Se così fosse, al di là dei gravi effetti dell’incertezza istituzionale sull’economia, sarebbero in dubbio sia la tenuta unitaria del Paese, sia la sua permanenza nel quadro delle istituzioni europee”.

UN CONSIGLIO ALL’EUROPA

In ogni caso, l’Europa dovrà mettere in discussione se stessa, ripensando la sua politica economica. “Nell’area dell’euro e soprattutto in Italia, l’efficacia della risposta pubblica non può limitarsi al riavvio delle attività. Deve innescare un processo di ristrutturazione dell’economia che punti in particolare sulla trasformazione digitale e sugli investimenti ambientali. Ciò significa che la ripartenza dell’economia europea va inscritta in piani strategici di investimento che siano il frutto di un approfondito confronto tra quel variegato insieme di attori, pubblici e privati, essenziali per la concreta attuazione di questi piani”.

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