C’è chi mal sopporta la straordinaria unità del mondo cattolico italiano attorno alla guida dei vescovi e del papa in questo drammatico momento del Paese. Una unità operosa, che si manifesta sia nel grande servizio reso da decine di opere ospedaliere, da migliaia di medici e infermieri, sia in quel commovente sostegno ai più deboli cha sta mobilitando le 25.597 parrocchie e volontari in ogni crocicchio d’Italia. Ma anche una unità nel giudizio e nei passi da compiere, giorno dopo giorno.
Così, è davvero fuori strada chi prova a usare il recente richiamo del papa al “popolo di Dio” per una “prudenza e una obbedienza alle disposizioni perché la pandemia non torni”, per costruire -strumentalmente- una distanza del Pontefice dai Vescovi. Ciò nega l’evidenza stessa, perché sono stati i Vescovi italiani a scegliere subito proprio la strada dell’“obbedienza” e della “prudenza” e a rimanervi saldamente. Mentre la prudenza semmai difetta a chi dovrebbe condurre la “fase2” in modo più coerente con la Costituzione.
Guardare per credere.
L’“obbedienza alle disposizioni” da parte del mondo cattolico non poteva, né può essere più rigorosa fin dall’inizio della quarantena, come si leggeva nella lettera di decine di associazioni del 14 marzo, che si stringevano attorno ai Vescovi proprio perché “testimoni un non scontato gesto di responsabilità per sostenere la lotta contro la pandemia, accettando il sacrificio più grande, la rinuncia cioè alla condivisione dell’Eucarestia”. Una linea -questa dell’”obbedienza” ribadita dal papa- decisa dalla Chiesa italiana immediatamente e mantenuta con fermezza, anche declinando costantemente le non poche insistenze di chi prospetta, seppur in buona fede, atti in dissenso dai divieti.
E la “prudenza”? Non basta l’obbedienza alle disposizioni? Il papa ha richiamato invece anche questa seconda virtù, che in teologia descrive la capacità di discernere nelle circostanze ciò che è giusto e ciò che è bene. Una virtù, la prudenza, che, se é essenziale per il “popolo”, dovrebbe essere dimostrata ancor di più da chi di quello stesso popolo vuole essere l’“avvocato” …
Come deve incidere, allora, la “prudenza” nella “fase2”, quella della “convivenza con il virus” in cui cerchiamo una ripresa della vita sociale in standard di sicurezza sanitaria? Il metodo è indicato dalla presidente della Corte costituzionale, Marta Cartabia: “Più la compressione di un diritto o di un principio costituzionale è severa, più è necessaria che sia circoscritta nel tempo”, indicando un test di “proporzionalità” logico-logico: “La misura è necessaria per quello scopo? Si è usato il mezzo meno restrittivo tra i vari possibili? Nel suo insieme, la norma limitativa è proporzionata alla situazione?”.
Qui si sbatte addosso al vero ostacolo per dipanare la questione di una disciplina in sicurezza del culto. Che è un ostacolo culturale e di riconoscimento di un bene costituzionale che riguarda i cattolici.
Quella solidarietà umanamente splendida che ogni giorno tante persone e opere cattoliche testimoniano non si regge in sé stessa, ma “nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale”, come spiegano i Vescovi, facendo eco a papa Francesco che il 17 aprile con la consuete schiettezza aveva già chiarito che “Questa non è la Chiesa. E’ la Chiesa di una situazione difficile, che il Signore permette, ma l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti. Sempre”.
Si ha tuttavia la netta impressione che non si prenda atto di questa essenziale peculiarità del cattolicesimo, dal quale non si può scegliere solo il prezioso “servizio ai poveri” (Nota CEI 26.4.20) senza rispettarne la fonte nella fede comunionale. Ma il “pacchetto” o è completo o non é. Quando autorevoli scienziati partono invece dal presupposto che “la messa non è una priorità”, magari accostando i gesti della comunione sacramentale ai raduni allo stadio, si capisce dove stia il problema. Quello acutamente descritto dal sociologo Abbruzzese, per cui si è proceduto a “declassare la dimensione sociale a «sacrificio» minore; un sacrificio che solo una coscienza scandalosamente irresponsabile potrebbe difendere”, come se tale dimensione fosse “fatta solo di sport e tempo libero, alla quale si può ben imporre di restare inattiva dinanzi alla gravità del problema”. “Nemmeno per un momento le diverse task force dietro le quali sembrano rifugiarsi i nostri governanti hanno pensato che i riti religiosi potessero rappresentare qualcosa di più di una semplice ricorrenza per anime pie”.
Dunque, se “prudenza” è discernere ciò che è giusto e ciò che è bene nelle circostanze, cambiano -e di molto- i giudizi su ciò che si deve fare nella “fase2” se, oltre al “bene” prioritario della sicurezza, si riconosce o meno come primario anche il “bene” della dimensione religiosa e spirituale, nelle forme concrete in cui essa esiste anche per la Chiesa cattolica.
Il governo e l’elite scientifica che lo condiziona dovrebbero, tuttavia, almeno prendere atto che questa natura della dimensione comunionale e sacramentale dei cattolici è un diritto costituzionale talmente rispettato nella Carta fondamentale della Repubblica da sancire, anche tramite il Concordato, la piena autonomia della Chiesa nella organizzazione del culto e la necessità di “previe intese” con la stessa perché lo Stato ne condizioni lo svolgimento.
Se si riconosce il diritto di culto come “bene” sancito dalla Costituzione, allora proprio la “prudenza”, che cerca giorno per giorno“ciò che è giusto ciò che è bene”, impone di rispondere alle ricordate domande della presidente della Consulta per verificare se le misure siano “proporzionate” sia alla sicurezza sia all’importanza del “bene” in questione. E si tratta delle stesse domande poste in un appello al Premier del 27 aprile da quelle 50 associazioni che lo scorso 14 marzo si erano compattate con i Vescovi nel sacrificio “più grande”, quello eucaristico, nella fase1.
Per comprimere un primario diritto costituzionale è “prudente” – si domanda questo pezzo di popolo cattolico- aver omesso il vaglio parlamentare? E se la Costituzione protegge quel “diritto” escludendo che lo Stato possa unilateralmente sospendere il culto, perché le “intese” non sono, “prudentemente”, avvenute “prima” del Dpcm del 26 aprile 2020, come prevede la dinamica costituzionale e concordataria?
Se, poi, lo schema logico della presidente Cartabia suggerisce di domandarsi se la sospensione del diritto costituzionale al culto sia davvero “necessaria” per gli scopi di sicurezza che tutti vogliono garantire, analogamente le associazioni hanno chiesto perché, se le Chiese possono rimanere aperte in determinate condizioni di ritenuta sicurezza, il governo pretende anche di sindacare se le persone all’interno -tutte rigorosamente bardate – preghino da sole o assieme al sacerdote che celebra? Questa non appare una restrizione necessaria. Ancora: se il Dpcm ritiene che la “messa-funerale” possa svolgersi in sicurezza con 15 persone, per quale ragione se non c’è una bara fra i presenti la messa diventerebbe meno sicura? Peraltro, 15 persone – osservano – sono una “folla” dentro i pochi metri quadri del Santuario della Madonna dell’Archetto a Roma, ma per gli 11.700 mq del Duomo di Milano forse non bastano nemmeno per accendere tutte le luci.
Sospendere le messe è dunque il solo e adeguato “mezzo restrittivo tra i vari possibili”? Se si fosse cercata la previa intesa prescritta dalla Costituzione non si sarebbe forse trovato fra i “protocolli” proposti dalla Cei o dagli esperti una modalità adeguata ad entrambi i valori costituzinali in gioco, sicurezza e diritto di culto? Ad esempio, prescrivendo una messa breve, con una persona per banco, in piedi, protetta da mascherine e guanti, magari distribuendo la comunione senza alcun contatto ancorché protetto?
Se, pertanto, il diritto di culto viene riconosciuto come la Costituzione impone non sembra forse “giusto” e “prudente” dare risposte trasparenti e concrete alle domande sulla “proporzionalità” del sacrificio poste dalle associazioni su uno spartito costituzionalmente corretto?
Se invece l’elite scientifica che ci governa continuerà a pensare – assai poco “scientificamente” e senza averne titolo – che la partecipazione eucaristica sia poco più che un passatempo, allora per avere risposte alle domande dell’associazionismo cattolico, ma anche a quelle della presidente della Consulta dovremmo probabilmente attendere sino alle formazioni delle prime partite di calcio, che, comunque, speriamo di goderci quanto prima.
Ma di certo non è questa la “prudenza” cui ci richiama il papa e per la quale lavorano i Vescovi.