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Perché gli Usa non regaleranno l’Europa alla Cina. Lo spiega Kroenig

Piano con i fatalismi. L’avanzata della Cina in Europa non è un evento inesorabile e gli Stati Uniti non hanno abbandonato i loro alleati nell’emergenza del coronavirus, a partire dall’Italia. È un messaggio netto quello che lancia Morgan Ortagus, influente portavoce del Dipartimento di Stato guidato dal segretario Mike Pompeo: “Abbiamo sentito molto parlare degli aiuti inviati dalla Cina in Italia, ma gli italiani hanno capito che non si trattava di semplice aiuto” ha spiegato la diplomatica di Foggy Bottom durante la presentazione online dell’ultimo volume di Matthew Kroenig, professore alla Georgetown University e vicedirettore del Scowcroft Center dell’Atlantic Council, “The Return of Great Power Rivalry” (Oxford University Press).

A un giorno dall’annuncio del presidente Donald Trump di un carico di equipaggiamento medico per l’Italia del valore di 100 milioni di dollari, Ortagus spiega perché la retorica della solidarietà di Cina e Russia contrapposta all’inerzia degli Usa non regge alla prova dei fatti. “Forse siamo stati meno bravi a raccontare la storia rispetto alla Cina”, ammette, ma “dietro la generosità degli Stati Uniti non ci sono secondi fini”.

L’amministrazione e il Dipartimento di Pompeo sono impegnati in una imponente operazione di pushback contro la propaganda cinese, garantisce la diplomatica, già top manager di Ernst Young (Ey). “Stiamo dando interviste, e rispondendo a tono alla disinformazione del Partito comunista cinese (Pcc), rimaniamo vigili”. La fase acuta, quella in cui i più alti ufficiali e diplomatici della Città Proibita hanno per settimane dato adito e rilanciato teorie complottiste che accusano gli Stati Uniti di aver diffuso il virus, sarà anche passata, “hanno smesso di ritwittare queste teorie, non so quanto possa durare”.

La guerra informativa sul coronavirus è solo l’ultima puntata di quella che in molti a Washington DC non esitano ormai a definire una nuova Guerra Fredda. Ne è convinto Kroenig, che nel suo volume spiega perché, alla fine dei conti, il braccio di ferro fra democrazie e autoritarismi è destinato a concludersi con l’inevitabile vittoria delle prime. “West is winning“, per parafrasare un recente motto di Pompeo.

“Le dittature riescono ad accumulare un enorme potere nelle loro mani, per un po’ – dice Kroenig – è quel che ha fatto la Cina negli ultimi 20 anni, senza dover rispondere a tanti ostacoli che si pongono sul cammino dei governi democratici”. Ma non si tratta di un movimento inarrestabile, e i primi segnali di frenata ci sono già. “È in corso un contro-bilanciamento a livello globale. Gli Stati Uniti hanno definito la Cina il loro massimo avversario, l’Ue la considera ufficialmente un rivale strategico, perfino i Paesi alleati e confinanti come quelli del Sud-Est asiatico sono ora scettici dell’avanzata cinese e stanno tirandosi indietro dalla Belt and Road Initiative (Bri)”.

Un iniziale sgretolamento che la pandemia di coronavirus e le responsabilità nella sua gestione che hanno le autorità di Pechino rischia di accelerare. C’è un motivo, spiega bene Kroenig nel libro, se gli Stati Uniti, non senza difficoltà, sono riusciti a rimanere in sella all’ordine internazionale. “Le democrazie sanno tracciare delle linee nitide da cui non indietreggiano, e instaurare un rapporto di fiducia con gli alleati che resiste nel tempo, come dimostra la Nato. Quanto ai regimi autoritari, è più facile che si scontrino con i loro alleati piuttosto che con i loro avversari, il caso dell’Urss in Ungheria e Repubblica Ceca è da manuale”. Per dirla con una frase, “le democrazie ti guardano le spalle, i regimi ti obbligano a guardartele”.

C’è una carta che permette agli autoritarismi di tenere in salute, almeno per un po’, le alleanze: il denaro. “I soldi sono sempre difficili da rifiutare – dice Elbridge Colby, direttore della Marathon Initiative con un passato al Pentagono – e la Cina ne sta spendendo una marea, in particolare per vincere la battaglia per la rete 5G. Il governo cinese, su questo fronte, riesce a metter le mani sulle leadership di altri Paesi interessate al denaro con una facilità sconosciuta agli Stati Uniti, perché il governo americano non può essere corrotto o mentire con la stessa disinvoltura”.

Huawei, colosso della telefonia mobile di Shenzen, è diventato il cavallo di battaglia per ammorbidire e portare a sé i vertici politici dei Paesi occidentali. “L’irresistibile pacchetto per catturare il mercato” fatto di tecnologia, ma anche dumping e prezzi non concorrenziali, dice Colby, è una sirena difficile da ignorare per chi deve schiacciare ora l’acceleratore sull’innovazione.

L’amministrazione Trump è consapevole dei rischi, assicura Mortagus. “Ho avuto l’onore di viaggiare in tutto il mondo con Pompeo, non ricordo un solo meeting in cui non abbiamo discusso di Huawei, della minaccia di una rete 5G in mano ai cinesi. Abbiamo avuto qualche difficoltà a raccontare questa minaccia, del pericolo di dare le chiavi di un Paese al Pcc. Se oggi la pandemia del Covid-19 non riuscirà a chiarire cosa si cela dietro la cortina di Pechino, non so davvero cosa possa farlo”.

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