La difesa ad oltranza del Mes (Meccanismo europeo di stabilità) da parte del Pd, nonostante il suo alleato di governo, i 5 Stelle, continui a manifestare – più a parole che con i fatti – la propria contrarietà, ma sopratutto il malcelato entusiasmo filoeuropeo e le proprie soddisfazioni ad aver portato casa qualche finanziamento europeo sono la conferma, l’ennesima prova, della deriva di questo partito verso un’economia finanziarizzata, che iniziò con la fine del socialismo reale nel 1989.
Questa posizione “strabica” della sinistra italiana possiamo farla coincidere grosso modo con la formazione del governo Dini nel 1995, un governo cosiddetto tecnico, sostenuto dal Pds, dal partito Popolare di Mattarella, Andreatta, Rosi Bindi e della Lega, ma che però veniva la lontano, da tanto lontano, e che perseguiva una strategia di lungo, lunghissimo termine di conquista del potere concepita fin dall’immediato dopoguerra.
Ma perché e come si è potuto arrivare a tanto partendo da una ideologia che aveva fatto della centralità del lavoro e della produzione,sopratutto quella di tipo fordiano (fabbriche ad alta densità di addetti) i propri capisaldi dottrinari e programmatici? Ed i cui tentativi di realizzazione hanno attraversato tutta la storia della cultura, della politica e della finanza italiana per oltre settantanni.
Mi riferisco al progetto disegnato e perseguito da quello schieramento, meglio sarebbe definirla lobby, cosiddetta “azionista” che culturalmente, politicamente ed anche finanziariamente ha gestito tutta la fase dell’immediato postfascismo, come l’individuò molto bene il grande filosofo cattolico Augusto Del Noce, che scrisse: “Chi prese il potere in Italia nel 1945? Io dico che, nonostante tutto, chi lo prese allora lo detiene oggi come potere reale… e per potere intendo in primo luogo il dominio del costume e delle opinioni”.
E sempre Del Noce sottolineava il carattere illiberale, giacobino ed antidemocratico di quel progetto: “È una casta culturale, sia cattolica sia laica, che attribuisce a sé il monopolio della novità, e che da ciò è portata ad avverare con la maggiore intransigenza qualsiasi idea non entri nei suoi schemi (cfr. il quotidiano “Il Tempo” del 03/09/1989).
E cosi intorno a Mediobanca, chiesa laica della finanza, si ritrovarono prima il gruppo del “Mondo” e dell’“Espresso”, poi di “Repubblica”, un mondo dei nuovi sensali della grande finanza e della stessa grande imprenditoria rappresentata dagli Agnelli e dai De Benedetti.
Non a caso il gruppo azionista, che impostava il suo programma sul mito della resistenza e sul dogma dell’antifascismo, doveva incontrare sin dal suo nascere la diffidenza, se non la opposizione, del movimento operaista e dei comunisti che ravvisavano la presenza ingombrante ed incombente dell’alta finanza e di quelle grandi famiglie che avevano appoggiato il fascismo e che dopo la sua caduta cercavano di confermare e consolidare il ruolo di padroni della nazione.
Di quel movimento operaista restano oggi pochi eredi (Fausto Bertinotti, Vincenzo Visco, Stefano Fassino, galantuomini in buona fede, preparati e coerenti) che fedeli alla propria storia ed al proprio mondo di riferimento giustamente, dal loro punto di vista, si rifiutano di essere funzionali alla attuale sinistra di potere.
Oggi possiamo dire che quel progetto azionista, appare chiaro ed ha raggiunto tutti i suoi obiettivi, essendo riuscito a saldare bene la cultura laicista con l’alta finanza ed a realizzare il processo di secolarizzazione e laicizzazione della nostra società, anche con il supporto di certi ambienti cattolici.
Basterebbe ricordare l’incontro negli anni settanta del secolo scorso tra azionisti e cattolici della corrente della “Base”, partendo dalla comune opinione che la tecnica potesse e dovesse rimanere autonoma dai valori del Magistero della Chiesa ed, oltretutto, prestando il fianco – questi cattolici – a quella deriva in senso protestante del cattolicesimo.
Iniziava così un cammino comune tra cattolici cosiddetti democratici, sinistra ed azionisti nel nome di un progetto tecnocratico che svuotava la politica del suo significato più alto e nobile che è quello di operare e vivere secondo valori morali, culturali e spirituali che la comunità nazionale ancora esprimeva.
Ed oggi il Pd è diventato, come del resto aveva previsto Del Noce alla vigilia del 1989 e nel suo libro “Il suicidio della rivoluzione”, un partito radicale di massa nel quale i diritti sociali sono stati sostituiti dai diritti individuali; l’economia reale dalla finanza; l’ispirazione messianica e religiosa del “sol dell’avvenire” dal laicismo; la collettività dall’individuo di tipo borghese, abbandonando ogni eroica tensione operaistica.
In pratica il Partito democratico degli Zingaretti, dei Franceschini, dei Gentiloni, dei Gualtieri è la sintesi di quei filoni di pensiero (azionisti, cattolici democratici ed ex comunisti), che spesso anche contro la maggioranza del popolo italiano, può avvalersi della grande stampa, dei cosiddetti poteri forti, della finanza speculativa che intende aggredire il risparmio italiano.
Da qui nasce la recente posizione assunta dal Partito democratico nei confronti della Commissione europea, di quelli che Paolo Savona, attuale presidente della Consob, definiva “gli gnomi di Bruxelles”, sopratutto sulla questione del Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) che metterà l’Italia in una ulteriore condizione d’inferiorità nei confronti degli altri Stati europei e di quella burocrazia senz’anima e senza volto che decide le sorti ed il destino di ciascuno di noi.