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Nomine, Mes e Recovery fund. M5S sceglie la responsabilità. Parla Girotto

Nel Movimento 5 Stelle il dibattito interno c’è sempre stato, con o senza Alessandro Di Battista, e meno male. Ma M5S non ha la maggioranza assoluta in Parlamento, e questo rende necessario il compromesso, così come è successo per le nomine. Gianni Girotto, senatore al secondo mandato del Movimento 5 Stelle e presidente della Commissione Industria, spiega con una parola la scelta della sua forza politica di non intestardirsi sulla conferma dell’amministratore delegato di Eni: responsabilità. Mettere a rischio il governo in un momento di crisi così evidente sarebbe stato irresponsabile, malgrado i dubbi e le perplessità palesati ormai da anni dalla sua forza politica. E sulla Fase 2 sottolinea: come Parlamento, stiamo lavorando per riattivare la filiera dell’efficientamento energetico degli edifici.

Senatore, il Movimento 5 Stelle sembra attraversato da correnti contrapposte: responsabili da una parte e intransigenti dall’altra. Si rischia la rottura?

Chi segue il Movimento da tempo sa che non è una novità che ci sia un ampio dibattito interno. Checché se ne dica non c’è un monocervello, il dibattito c’è, c’è sempre stato e ben venga.

Eppure sembra ci siano visioni contrastanti su nomine, rapporto con l’Europa e con i partner stranieri, come hanno reso palese le ultime dichiarazioni di Alessandro Di Battista…

Sulle nomine, la questione è sempre la stessa. Di Battista ha ribadito una cosa che il Movimento affermava da sempre, ossia che l’ad Descalzi non rappresentava il nostro candidato ottimale. Poi, parentesi personale, io feci un’interrogazione la scorsa legislatura quando pochi giorni prima della nomina di Descalzi l’allora ministro Padoan cambiò la clausola di onorabilità rendendola più morbida, proprio perché prevedeva che chi era imputato in un processo non poteva ottenere l’incarico. Quindi ecco, per fare una battuta, Di Battista scopre l’acqua calda. Così come scoprire l’acqua calda è specificare che noi non abbiamo il 51% in Parlamento e così al governo.

Non si può decidere da soli…

Esatto. È ovvio che quando ci sono sul piatto una serie di nomine, perché non si parlava solo di Descalzi ma di una serie di presidenti e amministratori delegati, non avendo il Movimento 5 Stelle la maggioranza non abbiamo potuto decidere su tutto. Abbiamo detto che per noi non era un nome appropriato, ma siamo in una fase di particolare delicatezza, andare a impuntarci per escludere un nome sarebbe stato irresponsabile e fuori logica. Siamo in una coalizione e non possiamo fare sic et simpliciter quello che ci pare e piace. Purtroppo o per fortuna, a seconda dei punti di vista, la politica è l’arte del compromesso, abbiamo ottenuto altre nomine e con Descalzi abbiamo dovuto lasciar perdere, peraltro in un momento in cui il prezzo del petrolio è a livello dei sassi…

È un momento cruciale, giovedì il premier Conte parteciperà all’Eurogruppo e si parlerà tra le altre cose di Mes e Recovery fund. Come si pone il Movimento davanti a questi strumenti?

Noi continuiamo a pensare, e non da ora, che il testo dei trattati europei parli chiaro. Parlare di un Mes light, un Mes senza condizionalità, più amico dei Paesi che lo richiedono rispetto al passato significa non averli letti. Il Mes è per sua costituzione estremamente rigido, non si può pensare di fare una deroga in modo così semplicistico, dopo di che il risparmio che si otterrebbe dall’emissione di un prestito dal Mes rispetto all’ordinaria emissione di titoli di Stato è scarso e non giustifica quindi il rischio di sottoporsi a un meccanismo del genere.

Mes no, e Recovery fund?

La controproposta dell’Italia, appoggiata da altri otto Paesi europei, è quella del Recovery fund e proposte di titoli a mutualità europea. Ieri anche la Spagna ha proposto un programma con responsabilità condivisa, quindi per noi la strada è quella della mutualità condivisa. Chiamiamola coronabond, recovery bond o Recovery fund, ma la risposta è la mutualità, ma non basta.

A cosa si riferisce?

Bisogna dirlo, è necessario l’annullamento dei paradisi fiscali interni. In Europa abbiamo sette Paesi che sono paradisi fiscali. È molto facile essere rigorosi con gli altri e flessibili con se stessi, si richiedono sacrifici quando dall’altra parte si pratica un dumping fiscale inaccettabile, e mi riferisco sia all’Olanda di cui si è parlato tanto in questi giorni, ma anche di tutti gli altri Paesi che lo praticano.

Parliamo invece della Fase 2: entro domenica arriverà il piano del governo, Conte ha parlato di un pacchetto da 50 miliardi per sostegno a imprese e cittadini. Può dirci di più?

Si parla della proroga del rafforzamento degli ammortizzatori sociali, in particolare cassa integrazione e indennizzi per autonomi e partite Iva, poi di sostegno di coloro che non sono coperti da cassa integrazione, e di tante altre misure che hanno esposto i ministri Catalfo e Patuanelli, così come il viceministro dell’economia Castelli. Possiamo essere accusati che non siano misure sufficienti e di essere in ritardo, ma finora quello che abbiamo anticipato poi lo abbiamo messo in campo. Ci sarà anche una parte relativa al famoso ristoro a fondo perduto, un’altra misura necessaria e per il resto stiamo aspettando maggiori dettagli dal governo.

E sulle possibili riaperture?

Stiamo lavorando con il governo ricordando le richieste delle parti sociali riguardo alle riaperture anticipate, perché è chiaro che quanto più si riesce ad anticipare, ovviamente in sicurezza, la ripresa delle attività, quanto più ci si muove nella direzione della normalità.  È confermato che il “pacchetto aprile” uscirà a breve, che sarà attorno a 50 miliardi, se non sopra. Inoltre è stato formalizzato il rinvio della votazione sullo scostamento di bilancio proprio per avere la cifra precisa per questa manovra. Poi c’è il lato Parlamento.

Ossia?

Come Commissione Industria stiamo lavorando per far partire le filiere win-win, ossia quelle filiere in cui tutti gli operatori hanno benefici. In particolare ci stiamo concentrando sulla riqualificazione energetica degli edifici che ci può permettere di dimezzare i consumi, dimezzare le bollette, creare lavoro da nord a sud in bianco, andando a riqualificare tutti i condomini “spreconi”, ossia che disperdono il 60% delle risorse energetiche.

In cosa consiste?

Come Parlamento, stiamo preparando gli operatori, i progettisti, gli amministratori di condominio e tutta la filiera, da poco si sono aggiunti anche i sindacati, in un progetto che si concentra appunto su questo progetto di riqualificazione degli edifici che potrebbe creare 400mila posti di lavoro, cifra che mi sembra ragionevole. Se facciamo ripartire la filiera edile che ha al suo interno la parte elettrica, la parte termoidraulica, la parte termica, la parte dell’autoproduzione di energia si apre una vera e propria rivoluzione nel mondo della produzione distribuzione e consumo dell’energia, senza dimenticare la riqualificazione degli edifici.

Quali conseguenze avrebbe questo progetto?

Essendo stato approvato finalmente l’emendamento delle comunità energetiche finalmente i condomini possono dare energia a tutti gli appartamenti, cosa che non potevano fare fino a due mesi fa. Gli edifici che potranno diventare finalmente efficienti e quindi salire di valore catastale. Su questo si sono espressi anche il ministro Patuanelli e il ministro Costa dicendo che vogliono alzare l’ecobonus dal 65% al 90%, se non al 100%. Sono detrazioni che permetterebbero alle famiglie di fare, a seconda della soglia, interventi gratis o al 10% del costo effettivo. Ecco, questo intervento non si realizzerà da solo, ma va preparato, e personalmente sto lavorando affinché diventi realtà il prima possibile.

Secondo un sondaggio di Swg la propensione agli acquisti degli italiani è diminuita. Le misure a cui accenna potrebbero avere un effetto anche su questo?

È chiaro che i cittadini sono sfiduciati, sarei sorpreso del contrario. Abbiamo preso una botta pazzesca, ancora non è chiaro se arriverà un vaccino, se ci sarà il pericolo di ricadute e non dimentichiamo che il resto del mondo ancora affronta il pieno della crisi sanitaria. A maggior ragione mettere in campo strumenti come quello di cui parlavo prima, che già esistono – perché è già possibile usufruire dell’ecobonus e rientrare della spesa in tre anni – può aiutare alla ripresa dell’economia. Innalzare la detrazione e spiegare che non c’è nessun tranello, innesca un circolo virtuoso che è molto maggiore del sacrificio fiscale che lo Stato fa per metterlo in atto, è un modo per far ripartire l’Italia.

 

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