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Olanda paradiso fiscale, bene Di Maio. Ma per governo è guerriglia o strategia?

Eppur si muove. Il governo, e in particolare la Farnesina, starebbe lavorando ad un piano contro l’Olanda “paradiso fiscale”. La notizia non deve sorprendere. A parlarne con particolare autorevolezza era stato, pochi giorni fa, il capo della prima banca italiana, Carlo Messina. Nelle sue parole il riferimento ad un vero e proprio  “imperativo morale”: il coronavirus impone di “far tornare i loro soldi nelle aziende, ricapitalizzarle per contribuire ad accelerare il recupero del Paese”, aveva evidenziato Formiche. “E il governo, con una visione pragmatica, dovrebbe studiare il rimpatrio di quei fondi dall’estero, agevolandoli se sosterranno le imprese italiane”.

Messina non citava i Paesi Bassi che secondo il rapporto Aggressive tax planning indicators della Commissione europea attira investimenti esteri diretti pari al 535% del Pil (il nostro Paese soltanto il 19%). Quello che si coglie è il senso ben concreto di una concorrenza fiscale che secondo Roberto Rustichelli, presidente dell’Antistrust, costa al nostro Paese tra i 5 e gli 8 miliardi di dollari l’anno. Basti pensare ai grandi gruppi italiani che sono “migrati”, almeno come domicilio fiscale, da Fca a Mediaset. Nei giorni scorsi era stato registrato il caso Campari ed il suo trasloco in Olanda, uno degli ultimi “eccellenti”.

In mezzo c’è stato il caso degli eurobond, con lo scontro tra Nord e Sud Europa. La reazione politica è stata durissima e ha compattato l’arco costituzionale. “Facciamo che in futuro l’Italia proverà a gestire meglio la propria economia ma l’Olanda smetterà di fregare base imponibile agli altri?”, aveva scritto Mara Carfagna, vicepresidente della Camera e deputata di Forza Italia, su Twitter. Paolo Romani e Massimo Berutti, senatori di Cambiamo, avevano parlato dell’Olanda rigorista come di un Paese fiscalmente sleale. Parole condivise anche dall’ex premier Pd e campione di europeismo Enrico Letta, che in un’intervista a IlCaffeOnline.it, aveva dichiarato: “Stupisce l’intransigenza olandese perché è una  intransigenza che l’Olanda non può permettersi alla luce della sua condizione di attore privilegiato del sistema finanziario europeo, che gode dello statuto privilegiato di paradiso fiscale”.

Questo coro pressoché unanime non poteva non coinvolgere la maggioranza di governo. L’intervento più significativo – ed articolato – è stato firmato dal sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano, con un post “ufficiale” sul blog delle Stelle. A quel “j’accuse” aveva fatto seguito il viceministro al Mise Stefano Buffagni che su Facebook aveva avvertito: “Se certi Paesi pensano di rimanere ancorati ai propri egoismi, allora l’Europa unita non ha futuro”. Due interventi che hanno dato il segnale chiaro della direzione di marcia del Movimento 5 Stelle. E infatti, puntualmente, il cerchio si è chiuso con la presa di posizione del leader dei grillini, Luigi Di Maio. Il Fatto Quotidiano ha rivelato infatti  un piano del capo della Farnesina per portare al centro dei negoziati europei il tema del dumping fiscale con l’obiettivo di minare la linea rigorista del Nord Europa – in particolare dei Paesi Bassi -, contrari a qualsiasi tipo di obbligazioni comuni, che si chiamino eurobond o in altro modo, per rispondere alla crisi economici dovuta al coronavirus.

Ecco cosa scrive il giornale diretto da Marco Travaglio.

Un documento arrivato sul tavolo del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, suggerisce la possibilità di “inserire il concetto di dumping fiscale nel Patto di Stabilità e Crescita, come obiettivo da proporre tra le ‘raccomandazioni specifiche per Paese’ che annualmente il Consiglio raccomanda ai singoli Stati membri di raggiungere”. Dopo il via libera di Di Maio, la Farnesina si è messa ad approfondire il tema anche interpellando il Mef, il ministero di Roberto Gualtieri.

“Ora la battaglia”, scrive il quotidiano molto sensibile alle tematiche pentastellate, “potrebbe arricchirsi della questione ‘paradiso fiscale’, una delle caratteristiche che spiegano il ‘miracolo’ olandese”. In tal senso fu profetica la dichiarazione rilasciata due settimane fa a Formiche dal presidente di Aspen Institute Italia e già ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che definendo “romantica” la frase dell’ex premier Romano Prodi dell’Olanda come Paese che esporta tulipani, disse: “L’Olanda è un Paese che importa holding. Questo è un fatto non marginale in termini di influenza e potere”.

Il piano del ministro Di Maio raccoglie il sentimento anti-olandese di queste settimane e non sorprende che abbia incassato anche l’endorsement di Adolfo Urso, senatore di Fratelli d’Italia, sempre piuttosto critico verso le politiche – in particolare quella internazionale – del governo e del ministro degli Esteri.

Rimane però un interrogativo circa l’obiettivo del piano della Farnesina: mostrare il volto feroce per negoziare con i Paesi Bassi nelle sedi europee ottenendo qualche concessione o impostare una strategia di lungo corso per una consistente inversione di marcia dei capitali italiani all’estero, coerentemente con il suggerimento di Messina? La differenza non è banale. È necessario interrogarsi sul tesoro italiano ormai all’estero e mettere in piedi un programma serio di rimpatrio di capitali e di de-delocalizzazione delle imprese. Questo vorrebbe dire “scatenare” il poliziotto cattivo (Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza) ma anche mettere in campo misure di attrazione fiscale per chi volesse rimpatriare le proprie ricchezze compresi i domicili delle imprese. Questo vorrebbe dire pensare a misure aggressive. Il Mef e la Ragioneria dello Stato reggerebbero a questa ipotesi? E la stessa maggioranza politica?

Quello di cui si inizia (forse) a discutere in Italia è già realtà all’estero. Pensiamo alla “guerra” fiscale fra Cina e Giappone. Tokyo ha avviato una robusta campagna per richiamare le imprese che avevano delocalizzato nel più conveniente impero celeste. Il Wall Street Journal ha raccontato pochi giorni fa come le stesse aziende giapponesi abbiano ricevuto telefonate da organizzazioni cinesi finanziate dal governo disposte a soccorrerle per evitare un loro rientro in patria. È una gara a chi offre più sussidi. La politica italiana ne è consapevole?

È noto che riportare i buoi nella stalla dopo che sono scappati non è affare semplice, ma sbeffeggiare il premier olandese Mark Rutte difficilmente basterà. Il governo, dal premier al ministro dell’Economia, è pronto a sfidare o attrarre quel che resta dei poteri forti, ovvero le grandi famiglie del capitalismo italiano?


Ci scrive Campari Group 

L’operazione è finalizzata al trasferimento della sede legale della Società, mentre la residenza fiscale rimane in Italia. Ciò significa che le imposte continueranno a essere versate al fisco italiano. L’headquarter resta a Sesto San Giovanni, sede storica della società che compie 160 anni, il Consiglio di amministrazione resta invariato e non è previsto nessun cambiamento organizzativo o di gestione dell’attività in Italia. Le azioni della società resteranno quotate esclusivamente a Milano, dove dall’Ipo del 2001 la capitalizzazione è cresciuta 12 volte.

Campari Group non sta andando in Olanda.

Il trasferimento della sede legale, con il conseguente potenziamento del sistema di voto maggiorato, ha l’obiettivo di favorire le opportunità di crescita – quali ad esempio nuove acquisizioni o alleanze strategiche – grazie a un ordinamento giuridico riconosciuto da investitori e operatori del mercato a livello internazionale, preservando al contempo l’identità e la storica presenza dell’azienda in Italia.

In questo modo, Campari Group intende valorizzare ulteriormente la dimensione globale raggiunta dal business, in un settore ancora frammentato ma che si sta consolidando, e incentivare l’azionariato di lungo termine.

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