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La pandemia, i poveri e l’ecologia. Il messaggio di speranza di Francesco

Tempo di creatività, è questo il messaggio di papa Francesco al mondo d’oggi, l’oggi della pandemia. Questa creatività appare subito orientata alla conversione: conversione ecologica certamente, ma anche conversione culturale, passando dall’omissione dei poveri alla scoperta dei poveri.

È questo uno dei significati profondi di questa intervista concessa da papa Francesco a Austen Ivereigh per The Tablet e Commonweal e tradotta in italiano da La Civiltà Cattolica.

Francesco osserva il mondo, ma non si limita all’osservazione: “Penso alle mie responsabilità attuali e nel dopo che verrà. Quale sarà, in quel dopo, il mio servizio come vescovo di Roma, come capo della Chiesa? Quel dopo ha già cominciato a mostrarsi tragico, doloroso, per questo conviene pensarci fin da adesso.”

L’intervista parte dalla lettura dei “Promessi Sposi” dove, trattando della peste, Manzoni presenta figure attualissime, delle quali il papa ha tanto parlato. Ne emerge un’indicazione chiara: “Il cardinale Federigo è un vero eroe di quella peste a Milano. In un capitolo, tuttavia, si dice che passava salutando la gente, ma chiuso nella lettiga, forse da dietro il finestrino, per proteggersi. Il popolo non ci era rimasto bene. Il popolo di Dio ha bisogno che il pastore gli stia accanto, che non si protegga troppo. Oggi il popolo di Dio ha bisogno di avere il pastore molto vicino, con l’abnegazione di quei cappuccini, che facevano così”.

E si arriva all’oggi. Osservando la realtà di questo mondo scosso dalla pandemia il papa parte dall’economia, dalla cultura dello scarto, sempre al lavoro. “I senzatetto restano senzatetto. Giorni fa ho visto una fotografia, di Las Vegas, in cui erano stati messi in quarantena in un parcheggio. E gli alberghi erano vuoti. Ma un senzatetto non può andare in un albergo. Qui la si vede all’opera, la teoria dello scarto”.

Non può che seguire una domanda sulla riconversione ecologica della nostra economia, una prospettiva della quale il papa parla da anni. La sua risposta è molto articolata, partendo però dal prioritario: “Dice un proverbio spagnolo: ‘Dio perdona sempre, noi qualche volta, la natura mai’. Non abbiamo dato ascolto alle catastrofi parziali. Chi è che oggi parla degli incendi in Australia? E del fatto che un anno e mezzo fa una nave ha attraversato il Polo Nord, divenuto navigabile perché il ghiaccio si era sciolto? Chi parla delle inondazioni? Non so se sia la vendetta della natura, ma di certo è la sua risposta”.

Da qui Francesco passa al ricordo di altre catastrofi, la Seconda guerra mondiale, le celebrazioni e la “memoria selettiva” che ci fa celebrare “la vittoria” dimenticandoci delle vittime, di quante furono: “Oggi, in Europa, quando si cominciano a sentire discorsi populisti o decisioni politiche di tipo selettivo non è difficile ricordare i discorsi di Hitler nel 1933, più o meno gli stessi che qualche politico fa oggi”. Arriva così a chiedere di vedere l’ipocrisia di chi parla di risposta alla pandemia ma intanto produce armi: “Questo è un tempo di coerenza. O siamo coerenti o perdiamo tutto”.

Quindi sulla riconversione ecologica, da cui è partita la risposta, afferma: “Oggi credo che dobbiamo rallentare un determinato ritmo di consumo e di produzione e imparare a comprendere e a contemplare la natura. E a riconnetterci con il nostro ambiente reale. Questa è un’opportunità di conversione”. Il futuro ci chiederà di non perdere la memoria, la memoria anche di quel che sta accadendo.

E qui Jorge Mario Bergoglio non può che andare ai poveri, alla necessità di vedere i poveri: “Mi permetto di dare un consiglio: è ora di scendere nel sottosuolo. È celebre il romanzo di Dostoevskij, Memorie del sottosuolo. E ce n’è un altro più breve, Memorie di una casa morta, in cui le guardie di un ospedale carcerario trattavano i poveri prigionieri come oggetti. E vedendo come si comportavano con uno che era appena morto, un altro detenuto esclamò: ‘Basta! Aveva anche lui una madre!’. Dobbiamo ripetercelo molte volte: quel povero ha avuto una madre che lo ha allevato con amore. Non sappiamo che cosa sia successo poi, nella vita. Ma aiuta pensare a quell’amore che aveva ricevuto, alle speranze di una madre”.

Dunque la prima conversione che chiede è quella di “scendere nel sottosuolo” e vedere i poveri, quelli veri, quelli di oggi: “Scendere nel sottosuolo, e passare dalla società ipervirtualizzata, disincarnata, alla carne sofferente del povero, è una conversione doverosa. E se non cominciamo da lì, la conversione non avrà futuro”.

L’altra domanda importantissima posta al papa riguarda la Chiesa, che il papa ricorda essere un’istituzione e tale deve rimanere: Chiesa in tensione tra disordine e armonia chiarisce subito il papa. E afferma: “Qualche settimana fa mi ha telefonato un vescovo italiano. Afflitto, mi diceva che stava andando da un ospedale all’altro per dare l’assoluzione a tutti quelli che erano all’interno, mettendosi nella hall. Ma dei canonisti che aveva chiamato gli avevano detto di no, che l’assoluzione è permessa soltanto con un contatto diretto. ‘Padre, che mi può dire?’, mi ha domandato quel vescovo. Gli ho detto: ‘Monsignore, svolga il suo dovere sacerdotale’. E il vescovo mi dice: ‘Grazie, ho capito’. Poi ho saputo che impartiva assoluzioni dappertutto”. Il punto è troppo importante per omettere la spiegazione in chiaro: “In altre parole, la Chiesa è la libertà dello Spirito in questo momento davanti a una crisi, e non una Chiesa rinchiusa nelle istituzioni. Questo non vuol dire che il diritto canonico sia inutile: serve, sì, aiuta, e per favore usiamolo bene, perché ci fa del bene. Ma l’ultimo canone dice che tutto il diritto canonico ha senso per la salvezza delle anime, ed è qui che ci viene aperta la porta per uscire a portare la consolazione di Dio nei momenti di difficoltà”.

Infine la domanda sul senso di questa Pasqua e sul messaggio del papa agli anziani isolati e ai giovani rinchiusi: “Le persone rese povere dalla crisi sono i defraudati di oggi che si aggiungono a tanti spogliati di sempre, uomini e donne che portano ‘spogliato’ come stato civile. Hanno perduto tutto o stanno per perdere tutto. Che senso ha per me, oggi, questo perdere tutto alla luce del Vangelo? Entrare nel mondo degli ‘spogliati’, capire che chi prima aveva adesso non ha più. Quello che chiedo alla gente è di farsi carico degli anziani e dei giovani. Di farsi carico della storia. Di farsi carico di questi defraudati”.

Nel commento del direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, a questa intervista si legge: L’incertezza – che è il sentimento dominante – deve sposarsi con l’inventiva alla ricerca di soluzioni. La Chiesa stessa deve esprimere “creatività apostolica, creatività purificata da tante cose inutili”. La parola chiave è creatività, dunque. Se si esaminano gli scritti di Jorge Mario Bergoglio si comprende come questa parola sia per lui proprio una chiave. La usava spesso, ad esempio, quando parlava a educatori, insegnanti e catechisti. La creatività aiuta a essere persone dal pensiero incompleto, aperto. In questa intervista il papa ricorda un verso dell’Eneide che, “nel contesto della sconfitta, dà il consiglio di non abbassare le braccia”. Ecco il fortissimo messaggio di speranza, che risuona in questa intervista: “Preparatevi a tempi migliori” e “abbiate cura di voi per un futuro che verrà”.


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