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Pasqua a porte chiuse? Rischi ma anche opportunità. Parla il biblista Garuti

Chiesa e quarantena da coronavirus: il tema è enorme e bisogna capire bene i tanti livelli di opportunità e di pericolo. Fra Paolo Garuti, biblista domenicano, risponde dall’Ecole Biblique dove si trova, bloccato anche lui dalla pandemia e dalle sue conseguenze. E per cominciare ad accompagnarci nel fitto reticolo di opportunità e pericoli parte dal grande evento pasquale senza popolo di Dio, la novità che ognuno di noi coglie in tutta la sua portata.

I livelli, dice, sono due: il credente praticante sa bene che la Pasqua è il culmine dell’anno liturgico anche nel suo vissuto, che lo porta ad andare tre se non quattro volte in Chiesa nel corso della Settimana Santa. Dunque il culmine è anche personale. Questo rapporto diretto e intenso quest’anno non ci sarà. È una novità forte e che molti vivranno come una sottrazione. Ma il fedele europeo, osserva, in questo modo scoprirà improvvisamente la condizione del fedele amazzonico, o africano, che perderà i suoi riti comunitari a causa della pandemia ma che non ha, proprio come adesso l’europeo, l’eucarestia o la celebrazione pasquale: perché nei suoi villaggi il prete, un prete, non c’è. La perdita diviene così anche una nuova appartenenza comunitaria globale. La novità pasquale è poi particolarmente rilevante perché mentre il Natale si vive principalmente in casa, la Pasqua si vive principalmente in chiesa, in parrocchia.

La seconda novità riguarda tutti, anche i cosiddetti non credenti, che comunque partecipavano alla Pasqua. Questa partecipazione è un fatto locale, con processioni o rappresentazioni di Paese. Tutto questo con la pandemia e la conseguente chiusura non ci sarà. E non ci sarà neanche nella forma globale alla quale ci eravamo ormai abituati da tempo. Nell’epoca recente infatti questa partecipazione comune a tutti ai riti della Pasqua ha trovato una sua globalizzazione nella spettacolarità dei grandi eventi religiosi che sono diventati eventi globali, come il triduo pasquale, le processioni e gli altri eventi che coinvolgono il papa e masse di fedeli. Anche la partecipazione indiretta ma comunque attiva a questa spettacolarità comune non ci sarà.

Davanti a queste novità emergono sfide ma anche opportunità. È come se la Chiesa si trovasse davanti all’esigenza di trovare la capacità di svolte importanti come quelle assunte al Concilio di Trento. La prima novità di portata paragonabile a quella compiuta allora fra Garuti la coglie nella grande rivoluzione compiuta al Concilio di Trento, che seppe accettare la stampa guttenbergiana per i testi sacri perché non era possibile portare in viaggio verso l’Africa o altri terre lontane antichi codici miniati. Così quella stampa inventata da un protestante e usata dai protestanti venne accolta. La sfida di allora, passare dai codici miniati ai testi stampati, diviene la sfida di oggi: la nuova stampa è on line ed è nell’etere che si raggiungono i fedeli lontani, senza codici miniati e non necessariamente con il messale stampato.

Ma non è tutto. Lo stesso obbligo di presenza fisica del ministro dei sacramenti venne previsto allora, assumendo il modello degli ordini mendicanti per superare problematiche legate alla realtà sociale di quel tempo. Anche oggi, osserva, siamo chiamati a cambiamenti analoghi, a cogliere la necessità di fare i conti con una realtà nuova. Che non è solo quella dell’emergenza, ma quella della realtà di una popolazione che per tanti motivi e per l’organizzazione stessa della vita magari non può, o non ha modo, di raggiungere fisicamente la parrocchia negli orari prefissati. Dunque la sfida costituisce anche un’opportunità, che è quella di ricollegare alla vita comunitaria chi per età o condizioni di vita non è più sempre nelle condizioni di partecipare alla vita ecclesiale.

Ma le opportunità portano anche sfide e una sfida è quella di essere “adeguati”. Davanti all’assoluta efficacia della messa quotidiana celebrata a Santa Marta da Papa Francesco, quanti parroci si sentiranno sfidati da quelle omelie brevi e capaci di cogliere i punti del tempo che si vive rispetto alle loro sovente lunghe, ampollose e non sempre capaci di toccare i punti più profondi dell’oggi? Comunicativo come pochi, Francesco sa fare celebrazioni e prediche adeguate ai ritmi d’oggi: passata l’emergenza i parroci, se volessero conservare il rapporto “virtuale” con i fedeli che altrimenti si potrebbero perdere di nuovo, sarebbero in grado di “tenerli”?

Questa ovviamente non è la sola sfida, c’è anche quella delle “chiese parallele”. Entrati sul web, come si è già entrati, la concorrenza non sarebbe più soltanto tra parrocchie e movimenti, ma potrebbe diventare una vera e propria concorrenze tra chiesa e “nuove chiese ideologico-politiche”. Queste nuove chiese “ideologiche” hanno già preso piede, hanno loro luoghi virtuali di costituzione e diffusione, ma il nuovo scenario potrebbe consentirgli di rafforzarsi e di diffondersi.

Con il linguaggio che può usare solo un biblista che frequenta assiduamente il Medio Oriente e quindi anche le terre e la storia dell’islam, padre Garuti avverte il pericolo delle nuove “chiese fatimide”. Non parla del califfato fatimida, ma delle chiese che seguirebbero una certa lettura del culto mariano di Fatima, vivendolo come quello della Maria dell’anticomunismo. I continui affidamenti al cuore immacolato di Maria da parte di chi intende connettere politica e religione gli fanno interpretare così una possibile revisione del significato dell’affidamento della Russia, al tempo sovietica, al cuore immacolato di Maria.

Queste chiese parallele punterebbero ovviamente su categorie semplici, come fine del mondo e scontro finale, a scopi politici, ma il rischio di una diffusione in nome della fede verrebbe aumentato dalla forza del veicolo. Il tempo del coronavirus e delle sue conseguenze è dunque un tempo ricco, di problemi ovviamente, ma che come sempre portano la possibilità di cogliere nuove opportunità, badando ai pericoli.


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