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Vi racconto Luciano Pellicani, il liberale. Il ricordo di Pennisi

Sono usciti in questi giorni numerosi ricordi di Luciano Pellicani, uno anche su questa testata. Credo doveroso aggiungere poche cose che ritengo importanti per avere un’idea del calibro dell’uomo, oltre che dello studioso.

Conobbi Luciano nel gennaio 1984 quando mi presentai alla redazione di Mondoperaio, da lui diretto, offrendo di collaborare. Ero stato circa quattro lustri lontano da Roma tra Londra, Washington e Bologna. Prima di partire da Roma dato che abitavo al terzo piano di Piazza Adriana 5, Scala C, avevo naturalmente stretto rapporti con coetanei (come Claudio Signorile, Fabrizio Cicchitto, Vanni Nisticò) che militavano nella Federazione Giovanile Socialista, la cui sede era al secondo piano della stessa Scala. Negli Stati Uniti, dove passai gran parte dei quattro lustri, non avevo piena contezza di quello che avveniva nella politica italiana (nonostante leggessi un quotidiano italiano e di tanto in tanto un settimanale) ma ero stato molto interessato dal Vangelo Socialista apparso sull’Espresso, testo firmato da Craxi ma scritto da PellicaniPellicani mi chiese di portargli un articolo. Ricordo che gli portai un testo intitolato “Fu vero monetarismo?” sulla politica economica americana dalla fine del 1979 all’inizio degli Anni Ottanta; venne prontamente pubblicato. Dopo poco ero parte della redazione del mensile. Furono anni molto belli in cui il rapporto con Luciano divenne di vera amicizia.

Appresi che Luciano, oltre ad essere un grande studioso, un grande docente ed un grande organizzatore didattico – spettano a lui i successi della Scuola di Giornalismo della Luiss da cui sono usciti nomi oggi famosi nel giornalismo italiano – era un grande esperto di cinema e di calcio. Il calcio non mi ha mai interessato, ma il cinema sì. Scoprimmo che avevamo ambedue una passione per Carl Theodor Dreyer e per due dei suoi film Ordet Dies Irae, due film intensamente religiosi (ed il secondo anche un vero e proprio atto d’accusa contro l’ipocrisia). Luciano era laico, ma non laicista. A casa mia ed in tante cene e discussioni insieme, fece amicizia con S.E. Giampaolo Crepaldi, oggi Arcivescovo di Trieste ma allora Segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace ed autore sia di testi della Santa Sede sulla globalizzazione economica e curatore del Catechismo della dottrina sociale della Chiesa.

All’inizio degli Anni Novanta, prendemmo le distanze dalla slavina che stava travolgendo il Partito Socialista Italiano. L’esperienza della sua direzione di Modoperaio finì e la stessa rivista chiuse. Noi restammo profondamente amici, nonostante, dopo il crollo dei partiti tradizionali, prendessimo collocazioni politiche differenti. La frequentazione diventò ancora più stretta ma non sarebbe stata appropriata una mia collaborazione ad una nuova stagione, peraltro breve, di Mondoperaio da lui diretto. Tanto più che collaboravo quasi ad ogni numero di IdeAzione e del relativo centro studi.

In quegli anni, l’anima di vero liberale di Luciano apparse in tutta la sua pienezza. Nei nostri frequenti incontri, il gruppo di amici un po’ cambiò; ora c’era un regista di cinematografo, un produttore, alcuni columnist di impronta liberale come Giuliano Zincone. Luciano mostrava un crescente interesse per le nuove tecnologie: nacque una delle prime riviste on line, da lui diretta e chiamata Voltaire, un titolo di testata che era tutto un programma. Mancando di un editore e di un minimo di struttura redazionale, non durò a lungo, ma lasciò una piccola impronta.

Nella sinistra in cui era collocato politicamente, era sempre più isolato, come lo era stato negli Anni Sessanta e Settanta quando aveva difficoltà a trovare editori che pubblicassero i suoi libri in cui, con grande rigore scientifico, documentava non che – come sostenuto da Gramsci– il comunismo non era una buona idea attuata male, ma una cattiva idea e basta. Le sue analisi trovavano ospitalità su una testata frondista come Il Foglio quotidiano. Il suo editore diventò il liberale Rubettino.

Quando circa cinque anni fa, un imprenditore friulano decise di aprire un piccolo centro studi di impronta liberale, Impresa/Lavoro, e mi chiese di coordinare un comitato scientifico, gli offrì di farne parte, unitamente con l’ex Segretario dell’Ocse ed il Presidente della Hayek Society. Aderì con entusiasmo. Organizzammo convegni, seminari anche la pubblicazione di libri. Anche questa avventura si affievolì.

La nostra frequentazione, tuttavia, si intensificò. Gli pesò molto la fine dell’insegnamento e del sogno, sostanzialmente liberale, di un’Italia più moderna e più giusta. Sentiva una crescente solitudine. Stava scrivendo un nuovo libro ma aveva difficoltà a portarlo avanti.

Cenammo insieme il 2 marzo. Dal 7 marzo, seguii quotidianamente, compatibilmente con le restrizioni alla mobilità, l’esplosione di una malattia di cui c’erano stati unicamente segni poco palesi, il suo vagare da casa di cura a casa di cura. Sino alla fine della sua avventura terrena per andare in un mondo libero.

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