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Perché discutere di Mes senza pregiudizi. Parla Alcidi (Ceps)

Alla vigilia di un Eurogruppo che sa tanto di “prova della verità” per l’Europa e la crisi innescata dalla pandemia Formiche.net ha intervistato Cinzia Alcidi, direttore del Ceps di Bruxelles, think tank tra i più prestigiosi, fondato nel 1983 che si occupa proprio di studiare e analizzare le politiche europee. “Non so cosa succederà – spiega – ma spero che l’Italia e i partners europei abbiano una posizione costruttiva e aperta al dialogo”.

Che posizione dovrà tenere l’Italia?

La tragedia che sta colpendo il nostro Paese é evidente agli occhi di tutti. Per l’Italia é cruciale dimostrare credibilità e impegno positivo, la forza di volontà di rimboccarsi le maniche per tirarsi fuori da questa situazione, non soltanto evocare solidarietà. Tutti i Paesi europei sono colpiti dalla pandemia e dalla recessione, anche se per il momento in diversa misura. Non deve sorprendere che il rischio di doversi accollare il massiccio debito italiano in questo contesto fa ancora piu paura che in tempi normali.

Gentiloni ha alzato il tiro: parla di un piano Marshall europeo. Ma al di là delle buone intenzioni, come se ne esce?

La stessa proposta é venuta anche da Sànchez, il premier spagnolo. Nel dopo guerra il piano Marshall venne finanziato dagli Usa, che trasferirono fondi a 18 paesi europei in forma di aiuto. Oggi il piano dobbiamo farcelo da soli. Le vere risorse comuni dell’Unione europea sono solo quelle del budget europeo, la cui taglia é al momento molto limitata. Una proposta seria di nuovo piano Marshall deve contenere idee concrete su cos’è e come finanziarlo. Non possiamo soltanto parlare di solidarietà in generale.

Sembra che la linea degli eurobond non tenga per opposizione dei paesi del Nord: è una posizione che dobbiamo abbandonare?

Sono scettica sul dibattito corrente sui coronabond, gli eurobond per finanziare la risposta alla crisi Covid-19. Credo che una vera proposta di coronabond – eurobond in senso stretto – richieda dei cambiamenti istituzionali come la rinuncia a una parte della sovranità – per esempio legata a una tassazione comune per finanziarli – a cui neanche l’Italia forse é pronta. Proposte di coronabond basate su garanzie fornite dai Paesi membri credo siano riconducibili al Mes.

In campo c’è l’ipotesi di accedere ai fondi del Mes, ma questo tema divide molto, l’opposizione in Italia è pronta a dare battaglia…

Credo che sul Mes in Italia ci siano degli apriori che devono essere verificati. L’opposizione al ricorso al Mes soffre del dibattito pre-Corona e la possibilità di una eventuale riforma che possa aumentare la probabilità di ristrutturazione del debito. Non possiamo rimanere ancorati a questa posizione. Non é quello che si sta discutendo oggi. Non possiamo scordarci che il Mes é, di fatto, l’unico fondo con risorse comuni immediatamente disponibili. Quello che deve essere discusso é come poterle utilizzare.

Finora abbiamo avuto un debito nazionale coperto dagli acquisti massicci dalla Bce, ma cosa succederà dopo? Come potrà l’Italia continuare a sostenere il suo debito?

Un debito pubblico elevato é un fardello che diventa estremamente pesante in momenti di crisi. La Bce continuerà a comprare e detenere titoli del debito pubblico ancora per molto tempo, ma é cruciale far ripartire l’economia. Per questa ragione è vitale prepararsi alla fine del lockdown e programmare la ripresa delle attività nel massimo della sicurezza per i lavoratori. Altrettanto cruciale é il cambiamento di comportamento dei cittadini. Bisogna entrare in un’ottica che nulla sarà davvero normale fino a quando non avremo un vaccino.

Perché secondo lei nonostante l’emergenza è mancata in Europa quella solidarietà in campo economico?

Gli effetti economici della crisi, seppur attesi da febbraio, stanno diventando concreti solo ora che tutti hanno capito che il ritorno alla normalità richiederà tempo. Non dobbiamo dimenticare che tutti i Paesi Europei sono colpiti dal contagio, alcuni sono ancora nella fase iniziale, ma tutti sono in stato di emergenza e stanno rispondendo con politiche espansive nel timore di pesanti conseguenze sull’economia. È un fatto che nonostante la crisi finanziaria abbia dotato l’Unione di strumenti nuovi, le risorse comuni sono il budget Ue e il Mes. Se queste non sono sufficienti o adeguate, solidarietà significa chiedere ad alcuni Paesi di trasferire entrate di imposte domestiche ad altri Paesi. Non possiamo illuderci che questa sia una decisione che verrà presa facilmente.

Sembra essere assente “una cabina di regia”. I singoli Stati possono farcela da soli?

Non credo che i singoli Paesi che la possano fare da soli, neanche quelli che al momento se la stanno cavando meglio. I legami instaurati dal mercato unico e dalla moneta unica vincolano strettamente i destini di tutti i Paesi europei. Per questo dobbiamo tutti mantenere un atteggiamento costruttivo su come affrontare la crisi e trovare soluzioni comuni.



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