Il mondo sta affrontando la pandemia di coronavirus come se fosse una guerra. E anche le ipotesi per la ricostruzione ricordano scelte post belliche. “Il Piano Marshall riguardò tanto l’economia quanto la politica e la strategia”, sostiene Ian Lesser, vicepresidente del German Marshall Fund e direttore esecutivo della sede a Bruxelles del think tank statunitense, autore di un’analisi della ripresa europea dopo la crisi di coronavirus su EUObserver.
Gli enormi costi umani ed economici della pandemia hanno portato molti in Europa – dai presidenti del Consiglio europeo e del Parlamento europeo fino al premier spagnolo e il capo dell’Ocse – a chiedere un nuovo Piano Marshall. Un’ipotesi presente anche nel dibattito americano dopo lo stimolo del presidente Donald Trump da due trilioni di dollari (più di cinque se si anche considerano gli aiuti indiretti) che ha ottenuto il via libera bipartisan del Congresso.
Formiche.net ne ha discusso con Lesser. “Mobilitare risorse è fondamentale. Ma non è tutto. Il Piano Marshall, infatti, era soprattutto un progetto politico – di cooperazione, integrazione e multilateralismo – per rafforzare l’Europa e difenderla dalla minaccia sovietica”, ci dice. “Se dobbiamo pensare a un Piano Marshall per il Covid-19 dobbiamo pensare a queste dimensioni nonostante su entrambe le sponde dell’Atlantico siano forti le posizioni nazionaliste e sovraniste”, aggiunge. “Smettere di parlare di America First e iniziare a pensare in termini di cooperazione con gli alleati” è secondo Lesser l’elemento che può risultare “rivoluzionario” nell’approccio statunitense al rapporto transatlantico. “Questa crisi non conosce confini e la soluzione non penso possa essere nazionale”.
Un nuovo Piano Marshall anticinese? Pechino sta cercando di rialzarsi dal coronavirus e di sfruttare quest’occasione per conquistare terreno in Occidente. “Per prima cosa però”, avverte Lesser, “dobbiamo ancora capire se l’economia cinese riuscirà a riprendersi totalmente e in breve tempo. Attualmente Pechino non si trova esattamente in una posizione di forza. Sta subendo un pesante contraccolpo: sta crescendo la preoccupazione non in tutti ma in molti Paesi europei”. Sarà interessante vedere come si bilanceranno “bisogni e cautele” quando la crisi sarà passata, aggiunge Lesser.
Certamente però “il coronavirus rallenterà tutto, compresa la Via della Seta”. Ma, avverte l’esperto, “non modificherà quello che è un progetto a lungo termine”. E proprio per questo “la ricostruzione post coronavirus non può basarsi sulla Via della Seta o sugli investimenti cinesi”, continua Lesser. “La ripresa economica dell’Europa, in particolare del Sud dell’Europa, è tutta una questione di ciò che l’Unione europea deciderà di fare”. Questo sarà “il motore principale della ripresa economica, non gli investimenti cinesi”.