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Regionalismo, pieni poteri e coronavirus. La risposta di Guzzetta è nella Carta

“Non c’è nulla di nuovo sotto il sole, è la drammaticità della situazione che ci fa perdere l’orientamento. La Carta ha in sé tutti gli strumenti necessari”. Lo dice a Formiche.net il costituzionalista Giovanni Guzzetta, intervenendo nel dibattito avviato in questi giorni sia sull’uso del decreto-legge sia sulla contrapposizione tra Stato centrale ed enti locali.

Il ping pong di competenze e direttive tra governo centrale e Regioni a cui stiamo assistendo in queste settimane di emergenza sanitaria produce un corto circuito? E come metterlo a frutto con soluzioni efficaci?

Non si può fare una valutazione sul regionalismo in una situazione di eccezionale emergenza come questa. Chi oggi discute di ciò, prende un abbaglio. Ci troviamo in un frangente in cui le categorie da applicare non sono quelle della normalità. La Costituzione in fasi di emergenza come questa consente di derogare temporaneamente alle norme che riguardano diritti e libertà. A fortiori consentono di derogare alle norme sul riparto di competenze tra Stato, Regioni e, perché no? Comuni. Dobbiamo distinguere tra ciò che è consentito al tempo dell’emergenza e ciò che non lo è. Se volessimo affrontare l’emergenza con gli strumenti della normalità saremmo sempre portati a dire che le norme ordinarie sono inadeguate. La discussione sul regionalismo versus centralismo è viziata da un errore di prospettiva.

Libertà, salute, economia come possono convivere in decreti di urgenza come in leggi ordinarie?

Il problema ruota attorno all’interpretazione che si dà della Costituzione con riferimento a tale situazione di emergenza. Una tesi ritiene che la Carta non avrebbe norme in grado di far fronte all’emergenza, con la non presenza di un caso esplicito di dichiarazione dello stato di emergenza, che sta facendo concludere qualcuno che l’ipotesi di tale contingenza sia assente. La mia opinione è che, al di là di una formale dichiarazione di uno stato di emergenza, gli strumenti per affrontarla sono presenti nella Costituzione.

Ovvero?

Per lo stato di guerra c’è l’articolo 78, per tutti gli altri casi il 77. Il riferimento è ai decreti legge che sono atti assolutamente straordinari. Purtroppo la prassi li ha progressivamente trasformati in ordinari atti con forza di legge del governo, tanto che oggi la fanno da padrone nella produzione legislativa.

Con quali effetti?

L’acquiescenza a tale strumento ci sta facendo perdere il significato straordinario e drammatico di questi atti. Oggi infatti abbiamo l’impressione che addirittura non esistano strumenti per far fronte all’emergenza. Questa credo sia una grande occasione anche per riflettere su tale aspetto.

Il filo costituzionale dunque è garanzia?

I costituenti hanno molto dibattuto sulla previsione del decreto legge, perché erano consapevoli di una lunga esperienza di uso di tali strumenti extra ordinem non previsti: e delle calamità naturali, delle epidemie e delle guerre. Basti pensare al saggio di Santi Romano sul terremoto del 1908. Da questo punto di vista non c’è nulla di nuovo sotto il sole, è la drammaticità della situazione che ci fa perdere l’orientamento. Alla luce dell’unica prospettiva che ci può dare un percorso costituzionalmente definito, è chiaro che il decreto legge assume la forma di una fonte straordinaria che a mio parere, proprio per l’eccezionalità della situazione, potrebbe operare quelle limitazioni provvisorie di diritti costituzionali. Ciò deve però essere circoscritto al periodo strettamente emergenziale e non si può trasformare in una stabile deroga alla Carta. Ma ciò che può fare il decreto legge non può farla nessuna altra fonte: il vero dramma è che stiamo dando rilevanza ad una serie di fonti che in realtà non hanno la legittimità per compiere operazioni così profonde nel tessuto costituzionale.

Il premier ha detto che il governo sta mettendo il diritto alla salute dinanzi a tutti gli altri.

In democrazia il problema non è solo il merito, ma il modo. Non ho dubbi che la tutela della salute, anche per scelta costituzionale, sia un valore fondamentale. Però non vuol dire che qualunque strumento può essere utile, in nome della salute, per intervenire sul tema. Sono due elementi molto diversi. Credo che oggi in qualsiasi ordinamento del mondo che fronteggi l’epidemia si ritenga che la salute sia il bene primario, ma non considero tali ordinamenti uguali l’uno all’altro dal punto di vista della tradizione liberal-democratica.

L’idea di cedere dati alle grandi piattaforme, giustificata dalla contingenza dell’emergenza, cela il rischio che ciò si tramuti in invadenza?

Qualunque misura si prenda in questo momento presenta dei rischi, quindi anche questa. Ancora una volta il nodo è come e con quali strumenti. Una cosa è intervenire con un decreto ministeriale per applicare un braccialetto elettronico a tutti, altro è osservare i limiti proporzionalmente applicati alle singole necessità e con assoluta garanzia di tutela degli aspetti che non sono direttamente connessi all’emergenza, intervenendo con uno strumento appropriato e costituzionalmente circondato da garanzie che è il decreto-legge.

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