L’industria italiana dell’aerospazio, sicurezza e difesa si trova a competere in un contesto europeo in evoluzione e su mercati internazionali sempre più agguerriti. Il settore ad alta tecnologia, uno dei pochi rimasti in Italia, conta su circa 230mila addetti (considerando l’indotto), con un fatturato annuo complessivo che nel 2018 ha superato i 16,2 miliardi di euro. L’80% di questi numeri è raggruppato in grandi aziende come Leonardo (oltre 46mila addetti) e Fincantieri, e medie realtà quali Avio, Iveco ed Elettronica.
L’export è fondamentale per il settore, basti pensare che nel 2018 ben l’85% dei ricavi di Leonardo è pervenuto da commesse estere. Nello stesso anno le esportazioni complessive italiane hanno raggiunto il valore di 5,246 miliardi di euro, distribuite tra 84 Paesi destinatari. Solo il 27,2% del volume dell’export è stato diretto verso gli Stati membri di Ue o Nato, riflettendo probabilmente una certa stagnazione dell’interscambio dovuta all’assenza negli scorsi due decenni di nuovi grandi programmi europei di procurement, con la rilevante eccezione dell’Eurodrone sviluppato da Italia, Francia, Germania e Spagna.
Non a caso, nel 2018 solo il 3,5% delle autorizzazioni all’export rilasciate dalle autorità italiane hanno riguardato cooperazioni intergovernative. I tre quarti delle esportazioni made in Italy sono dunque andati principalmente verso Paesi partner in Medio Oriente (in primis Qatar) e Asia: i mercati regionali in crescita sostenuta da oltre un decennio, e al centro delle attenzioni non solo europee e statunitensi ma anche cinesi e russe. È in questo contesto di forte competizione internazionale che va valutata l’importanza delle commesse vinte dalle imprese italiane del settore negli ultimi anni. Il contratto da 648 milioni di dollari per 130 elicotteri da addestramento per la marina Usa ottenuto da Leonardo lo scorso gennaio, gli oltre 900 veicoli multiruolo commissionati dall’esercito olandese a Iveco a novembre 2019, l’appalto da 1,3 miliardi di dollari per costruire quattro fregate per l’Arabia Saudita vinto da Fincantieri in partnership con Lockheed Martin, sono tutti esempi positivi e importanti a riguardo. Ma non sono molti.
L’industria italiana ha bisogno di esportare di più e meglio per mantenersi alla frontiera dell’innovazione tecnologica, solida e competitiva. L’alternativa alla crescita non è la stabilità ma il declino, perché i concorrenti si rafforzano costantemente e quindi rallentare equivale a retrocedere. A tal fine è importante che venga attuata in maniera efficace, efficiente e tempestiva la nuova norma di legge 2019 sugli accordi G2G, così da dare al comparto italiano lo stesso supporto governativo, trasparente e nel pieno rispetto del diritto internazionale, del quale godono da anni i concorrenti. Se il contesto internazionale è in fermento competitivo, quello europeo è in evoluzione con sviluppi potenzialmente molto importanti per l’industria italiana.
L’Europa della difesa sta infatti sperimentando i bandi per l’assegnazione dei 580 milioni stanziati nell’attuale bilancio Ue per le attività dell’European defence industrial development programme (Edidp), mentre continuano i negoziati sulla dotazione economica dell’European defence fund (Edf) per il 2021-2027, con Commissione e Parlamento europei fermi sull’obiettivo di 13 miliardi di euro per attività di ricerca tecnologica, sviluppo di prototipi, test, eccetera. Si tratta non solo di investimenti importanti in valore assoluto, e in proporzione agli scarsi fondi nazionali, italiani in particolare, per la ricerca tecnologica in ambito militare, ma anche e soprattutto di un volàno per cooperazioni e joint venture volte all’innovazione, al lancio di nuove tecnologie e sistemi, ed eventualmente a ulteriori consolidamenti industriali. Leonardo, con un ruolo di guida, Fincantieri e altre realtà italiane hanno vinto progetti importanti, come Ocean 2020 da 32 milioni di euro, ma non bisogna abbassare l’attenzione perché il contesto europeo è molto dinamico e competitivo.
Occorre individuare costantemente, caso per caso, le migliori alleanze industriali e governative in Europa per rispondere ai bandi Edf, sia in grandi Paesi come Francia e Germania sia andando oltre il motore franco-tedesco, per sviluppare progettualità competitive sui mercati europei. Più in generale, è necessario che tutti gli attori della difesa italiana, siano essi militari, industriali e politici, realizzino come sia sostanzialmente finita l’epoca di programmi di procurement nazionali: ogni nuova iniziativa va impostata fin dal principio nel quadro europeo avendo bene in mente le opportunità, i requisiti e i vincoli sia dell’Edf sia della Pesco per lo sviluppo delle capacità militari e tecnologico-industriali. Rafforzarsi insieme all’Europa è la condizione essenziale per mantenere capacità sovrane in Italia e possibilità di esportare all’estero. In altre parole, per assicurare sostenibilità e competitività di un asset fondamentale per l’economia, la politica di difesa e la politica estera italiana.
Un asset che corre oggi almeno due rischi legati alla pandemia di Covid-19, specie nel caso questa dovesse protrarsi per diversi mesi. Il primo è una crisi economica complessiva che comporterebbe pesanti ribassi in borsa, con relativo rischio di scalate ostili, e chiusura di quelle imprese dell’indotto che contano maggiormente su un mercato civile in contrazione – anche a causa del crollo del traffico aereo. Il secondo rischio è che il bilancio della difesa italiano subisca tagli consistenti per aiutare a far quadrare i conti pubblici aggravati dalle misure contro l’emergenza sanitaria e sociale – tagli che, nel caso degli investimenti in procurement e ricerca tecnologica, avrebbero il paradossale effetto di deprimere ulteriormente l’industria italiana, il Pil e l’occupazione.