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Scuola, vi racconto l’epilogo di un fallimento epocale. Il commento di Giuliani

Ormai è chiaro: l’anno scolastico non riprenderà e per certi aspetti neppure finirà… Con l’arrivederci in classe a settembre, infatti, il salvataggio di questa stagione didattica appare puramente formale. L’attività bruscamente interrotta a inizio marzo, le valutazioni affidate alla buona volontà dei professori e un esame di maturità ridotto ad una chiacchierata online, dipingono un fallimento epocale.

Non si tratta tanto di riconoscere colpe specifiche nella gestione dell’emergenza corrente. Il vero disastro, emerso in questi giorni drammatici, è come il nostro Paese si sia presentato al cospetto del cigno nero del coronavirus. La scuola italiana, travolta dalla pandemia, non era poi così diversa da quella frequentata dalla nostra generazione, l’ultima ad essere arrivata all’esame di Stato senza alcun conforto tecnologico, se escludiamo le calcolatrici. Non ci si venga a dire che qualche rada Lim, le lavagne interattive, in classe o l’uso smodato dei gruppi WhatsApp possano costituire prova di una digitalizzazione della nostra formazione. Questo è contorno, maquillage, il più delle volte fuffa e basta.

La scuola italiana è totalmente e colpevolmente impreparata, da questo punto di vista. L’attuale didattica a distanza è il frutto dell’encomiabile sforzo di migliaia di professori, che si sono letteralmente arrangiati (all’italiana, appunto), come si sono arrangiate innumerevoli famiglie. Mamme e papà che stanno facendo i salti mortali, per recuperare uno straccio di computer e di connessione, da riservare ai propri figli.

Commuovono tutti le storie di quegli alunni, che seguono le lezioni sulle scale condominiali, per agganciare la rete Wi-Fi di un vicino o fanno chilometri a piedi in campagna, per raggiungere una rete affidabile. Passata la commozione, però, queste scene da libro cuore del III millennio certificano il nostro fallimento. Facciamo poco e male online, perché non abbiamo strutture, non abbiamo provato mai nulla, siamo culturalmente rimasti al XX secolo. Sono passati anni in un ridicolo confronto fra i cultori dell’analogico e gli ultras del digitale, dividendoci per bande e rimpiangendo i cortili pieni di ragazzini di una volta. Abbiamo perso tempo, senza mettere in sicurezza i nostri ragazzi e il bene più prezioso di un Paese: la cultura e la preparazione delle nuove generazioni. Questo è imperdonabile.

Oggi, mentre apprendiamo che l’esame di terza media consisterà in una tesina – anche qui, le tesine le facevamo già noi, 30 anni fa, possibile che si sia ancora lì?! – e la maturità verrà affidata ad un colloquio via Skype, siamo assaliti dallo sconforto. Non tanto perché questi esami si risolveranno in una farsa e nel trionfo del ‘6′ politico, ma perché ancora una volta manca una strategia, una visione del futuro. Stiamo solo rincorrendo l’emergenza, proprio mentre molti che inneggiavano a quella boiata storica dell’Uno vale Uno vanno concionando della riscoperta della competenza.

Come la prepariamo questa competenza, su quali basi e metodologie, resta una domanda priva di risposta. Troppo faticosa e impegnativa, per chi ha ridotto il futuro a un tweet.

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