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Scuole chiuse e didattica a distanza, perché è fondamentale il problema educativo

Di Mario Caligiuri e Luigi Rucco

socintluigi ruccoUna nota di particolare interesse nell’attuale contesto della pandemia riguarda il problema educativo, che ha un impatto diretto sul sistema scientifico, economico e sociale. Le istituzioni scolastiche, a tutti i livelli, hanno subìto una brusca discontinuità nel modo di erogare la didattica. Le università hanno predisposto iniziative di formazione online. Oltre l’80% degli studenti universitari ha potuto beneficiare di lezioni per via telematica, con alti livelli di frequenza poiché circa il 95% degli atenei ha attivato modalità di esame a distanza e finora oltre 26mila studenti si sono finora laureati da remoto.

Queste statistiche spingono a interrogarsi sulle conseguenze negative per la percentuale residuale, ma significativa in termini assoluti, degli studenti che non hanno potuto usufruire di lezioni, esami e lauree a distanza. Nelle scuole secondarie di primo grado la partecipazione all’attività didattica a distanza è stata stimata nel 77%, mentre nell’ultimo triennio degli istituti di secondo grado la percentuale arriverebbe al 90%. Anche rispetto a queste statistiche emergono preoccupazioni per la percentuale tutt’altro che trascurabile degli esclusi. È stato fatto notare, inoltre, come l’efficacia della didattica a distanza nelle scuole presenti diversi punti critici, tra cui la diseguale dotazione digitale delle famiglie, la non uniforme diffusione e banda di Internet, la diversa possibilità di presenza e supervisione dei genitori, la capacità organizzativa e le dotazioni telematiche degli istituti ma soprattutto le reali competenze dei singoli insegnanti.

È ragionevole ritenere che le attività didattiche non riprenderanno la loro normalità prima di settembre 2020 e, anche allora, sarà necessario ricorrere a modalità miste di didattica in presenza e attività a distanza. Si pone l’interrogativo su quali possano essere gli effetti dell’interruzione e della trasformazione didattica sulla competitività del sistema Paese.

Infatti, potrebbe arrecare ulteriore impoverimento alle competenze alfabetiche degli studenti italiani, alla capacità di ricerca e innovazione, incidendo sulla già indebolita traiettoria economica nazionale. Non è da escludere che Paesi come la Cina, con sistemi educativi improntati a un forte rigore già dai primi livelli di istruzione, escano ulteriormente rafforzati rispetto ai Paesi democratici. L’Italia, i cui studenti sono già da anni sotto la media Ocse per competenze linguistiche e scientifiche, potrebbe subire un’ulteriore regressione. Riguardo alle difficili proposte di policy sul piano pedagogico, la brusca discontinuità causata dall’emergenza Covid-19 rischia di allargare maggiormente il divario educativo tra il nord e il sud del Paese, premessa di tutti gli altri.

L’intento generale dovrebbe essere quello di avere politiche nazionali scolastiche sull’educazione che uniformino gli standard delle attrezzature tecnologiche, utilizzando il prossimo periodo estivo per organizzare una massiccia campagna di formazione per gli insegnanti. In tale quadro va oggettivamente constatato che l’autonomia scolastica ha portato più disagi che soluzioni, contribuendo ad indebolire le competenze degli studenti.

Per quanto attiene l’università la situazione di emergenza potrebbe servire per effettuare interventi di svolta rispetto alle politiche precedenti, in particolare nel numero chiuso in medicina, che in questo momento sta dimostrando tutti i suoi limiti, e sull’interruzione immediata dei meccanismi di selezione concorsuale, poiché il dibattuto sistema della doppia abilitazione ha creato un eccessivo numero di idonei che, soprattutto in alcuni settori, non è assorbibile neanche nei prossimi anni, rendendo la sostenibilità del sistema accademico fuori controllo.

Inoltre, è fondamentale che l’emergenza sanitaria non diventi un’occasione per facilitare ulteriormente gli obblighi formativi e valutativi. In particolare, l’ipotesi di convergere verso promozioni di massa, senza le opportune verifiche nelle scuole come nelle università, rischia di indebolire ulteriormente il sistema educativo nazionale, specie al sud. Si conferma, quindi, la necessità di una strategia e di una cabina di regia a livello nazionale, che cominci a sperimentare innovazioni didattiche, cominciando a fare prendere coscienza delle necessità di nuove discipline per l’insegnamento. Tra queste, certamente, l’intelligence, che è un metodo di trattazione delle informazioni per individuare quelle rilevanti in un contesto distinto dall’eccesso di informazioni che determina disinformazione.

Infatti, l’emergenza Covid‑19 sembra confermare l’esistenza di una società della disinformazione che crea un corto circuito cognitivo nelle persone, in quanto la realtà sta da una parte e la percezione pubblica della realtà esattamente dall’altra.

(Quinto estratto di un’analisi più ampia realizzata dalla Socint. La prima parte, le ragioni dello studio, si può leggere qui; la seconda, gli aspetti politici, qui; la terza, gli aspetti industriali e della piccola e media impresa, qui; la quarta, sugli aspetti scientifici, qui)

La ricerca, curata dal Presidente della Socint Mario Caligiuri, Direttore del Laboratorio sull’Intelligence dell’Università della Calabria, è stata redatta da Mario Caligiuri (Ricaduta Politica – Il problema pedagogico) e dai ricercatori Roberto Macheda (Ricaduta Economica), Francesco Napoli (Ricaduta Industriale – Piccola e Media Impresa), Luigi Barberio (Ricaduta Economica – Ricaduta Industriale) e Luigi Rucco (Ricaduta Scientifica – Problema pedagogico).

 


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