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Perché il sistema sanitario non va disprezzato. Il commento di Reina

Desta stupore che diversi operatori dell’informazione discutano delle condizioni delle strutture sanitarie italiane presenti su tutto il territorio nazionale, senza avere memoria storica e mostrando solo conoscenze superficiali, parcellizzate, verosimili del servizio sanitario. Esso è stato purtroppo stravolto in 25 anni dalle varie forze politiche alternatesi alla guida delle regioni e del governo dell’Italia.

Qualche sera fa l’intervento di un operatore dei media di un importante quotidiano, suscitando meraviglia, sosteneva durante un dibattito in una televisione commerciale che poi, tutto sommato, alcune regioni avevano retto bene all’urto del coronavirus, altre invece arrancavano.

Grande balla mistificatoria: le regioni a cui si riferiva erano proprio quelle travolte da morti, ricoveri in terapia intensiva e tamponi positivi. Bastava conoscere meglio i fatti e attenersi alla verità, per evitare una figuraccia. Nell’attuale contingenza la sanità è al centro di tutto, per cui sono indispensabili competenza e capacità per raccontare il vero alla gente impaurita e preoccupata. Questo non è tempo di disinformazione e di sciacallaggio.

Fino al giorno prima dell’arrivo del Covid-19 si sono ascoltate e lette le solite notizie sensazionali, che mettevano in cattiva luce strutture sanitarie, medici, infermieri, tecnici, in sostanza la solita litania, nota come malasanità. Oggi invece tutti a ringraziare medici, infermieri, tecnici che hanno messo in gioco la propria vita per salvarla a tanti altri, limitando i danni. Lo sciacallaggio di certi giornalisti per sostenere l’esponente politico amico ha contribuito notevolmente a svilire la sanità italiana o parte di essa. Qualcosa di indegno, singoli casi sono diventati l’andamento generale di alcune strutture pubbliche.

Il sistema sanitario italiano non va mai disprezzato. Non nasce oggi, è andato crescendo negli anni, consolidandosi, dagli inizi della Repubblica ai giorni nostri, diventando uno dei migliori su scala europea e mondiale. Fu il lungimirante Amintore Fanfani ad istituire con la legge 296/1958, per la prima volta in Italia, il ministero della Sanità, scorporandolo dal ministero dell’Interno e affidandolo ad un grande scienziato, tisiologo di livello internazionale, Vincenzo Monaldi, a cui Napoli, dopo la sua morte dedicò un ospedale, l’attuale Ospedale Monaldi appunto. Trascorso un decennio, si fece un ulteriore passo, si cominciò a mettere ordine nell’organizzazione della sanità, partendo dagli enti ospedalieri. Infatti, con la legge 132/1968 fu riformato il sistema degli ospedali, fino ad allora di competenza di svariati enti di assistenza e beneficenza. Furono regolamentate l’organizzazione, la classificazione in categorie, le funzioni nell’ambito della programmazione nazionale e regionale, fu stabilito anche il finanziamento degli stessi: passaggio fondamentale di un lungo processo verso la razionalizzazione, la sistematicità della sanità italiana.

La legge 833/78, riforma delle riforme, che ebbe come protagonista la cattolica democristiana Tina Anselmi, mandò in soffitta il sistema mutualistico e istituì il “Servizio Sanitario Nazionale”, articolato in Usl (unità sanitaria locale). Fu una riforma epocale, non solo la vera rivoluzione della sanità italiana, ma anche il consolidamento dello stato sociale, che cambiò totalmente il rapporto tra cittadino e servizio sanitario. Al centro non più l’assistenza sanitaria, ma la tutela della salute, seguendo i tre fondamentali aspetti: prevenzione, cura, riabilitazione. Una riforma dai costi elevati per il tempo in cui fu introdotta, ma che ebbe i suoi effetti sulla buona salute dei cittadini italiani.

Nel corso degli anni tante cose della legge 833/78 sono state abrogate, cancellando punti qualificanti, ma nonostante ciò, in parte ancora regge, se si escludono il mancato dialogo e confronto tra i tre momenti prevenzione, cura, riabilitazione essenziali per migliorare i risultati dello stato del paziente, e l’alto costo delle prestazioni. Medici, infermieri, tecnici del servizio sanitario pubblico stanno dimostrando in queste settimane che è possibile prestare ai pazienti le cure necessarie per sconfiggere il Covid 19, ma che si poteva fare certamente di più se non ci fossero stati tagli, riduzioni, stravolgimenti nel servizio sanitario pubblico, per privilegiare il privato. La “tutela della salute”, la previdenza e i vari ammortizzatori sociali rafforzarono il nostro sistema di welfare, forse il più moderno ed efficiente in campo internazionale. Gran parte di quello stato sociale non esiste più, lo strapotere del capitale ha spazzato via un bel pezzo di protezione sociale ai meno fortunati.

E oggi ancora in tanti a ripetere, di fronte alle bare di medici, infermieri morti sul campo per salvare donne e uomini nelle terapie intensive, bisogna rivedere la spesa sanitaria. Ma rivedere che cosa? La spesa sanitaria va aumentata, soprattutto, nelle zone più deboli dell’Italia. Penso ai tanti piccoli ospedali, chiusi o ridimensionati, indispensabili nelle zone interne del profondo Sud, Roccadaspide uno di questi, nel salernitano. Solo una convinta serietà politica caratterizzata da etica, spirito di servizio può aiutare, non a fare economie, ma a spendere in maniera oculata e onesta per ottenere i migliori risultati in termini di tutela della salute. Un’alleanza convinta tra amministratori, medici, pazienti è il sentiero possibile su cui procedere per utilizzare al meglio le risorse nella sanità, senza farsi imbrigliare necessariamente nella stupida rete dei cosiddetti standard di qualità o costi standard. Devono funzionare in modo corretto i controlli, altrimenti non si conoscerà mai se ciò che si spende è ben speso o meno.

Un discorso deve riguardare il ruolo peculiare dell’informazione, questa dovrà essere sempre corretta e leale, priva di titoli e articoli sensazionali. Esempio di buona informazione è stato un intervento di scuse della giornalista Myrta Merlino indirizzato ai medici, infermieri, tecnici del Cotugno e ai napoletani, pubblicato da Il Mattino di Napoli: un gesto riparatore di dichiarazioni scorrette poco coerenti con la realtà del popolo napoletano e del suo prestigioso ospedale. La buona informazione non dovrebbe mai mancare in campo sanitario.

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