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Cosa non va nello Stato imprenditore ai tempi del Covid-19. Scrive Amenta (Ibl)

Di Carlo Amenta

Nella scena iniziale del libro di Mario Puzo, Il Padrino, l’impresario delle pompe funebri Amerigo Bonasera si presenta al cospetto del padrino per chiedere giustizia per la figlia ventenne, aggredita e sfigurata da due giovani americani. La giustizia americana li ha assolti e lui capisce che solo l’intervento di Don Vito Corleone potrà dargli soddisfazione. Il boss non chiede nulla in cambio, ma gli ricorda che un giorno tornerà a chiedere di rendergli il favore. Il Padrino attacca quindi un filo invisibile alla schiena del disilluso immigrato italo americano, bisognoso di aiuto; un filo che sarà pronto a tirare quando necessario, facendo muovere il suo nuovo burattino secondo i suoi bisogni e in accordo con i suoi valori.

In una intervista a Repubblica di ieri, il nuovo consulente economico del governo Mariana Mazzucato racconta degli aiuti dello Stato alle imprese in questo momento difficile della pandemia e ricorda che “per ora le si aiuta, mettendo fra le clausole che rispetteranno alcune regole, per esempio su cosa e come investire”. Carlo Stagnaro, il direttore dell’osservatorio sull’economia digitale dell’Istituto Bruno Leoni, ha fatto notare ieri con un tweet che Mazzucato è così passata dallo “Stato innovatore”, suo cavallo di battaglia, allo “Stato padrino”. Lo Stato, novello Don Vito Corleone, aiuta oggi le imprese in difficoltà per la pandemia e non chiede nulla in cambio, ma attacca un filo invisibile e, domani, gli chiederà di muoversi come burattini investendo dove la sua consulente, pianificatore avveduto e onnisciente, sa già che sarà necessario e soprattutto moralmente giusto.

Qualcuno ha obiettato che non ci sarebbe nulla di male in tutto questo: lo Stato come padrino immaginato dalla Mazzucato non è dissimile dalla matrigna Europa che presta soldi agli stati in difficoltà solo a seguito di condizioni da applicare per il rientro. Il paragone non regge. La prima differenza è che, almeno da quanto si capisce dalla intervista di Mazzucato, le condizioni a cui sarebbero sottoposti questi aiuti alle imprese non sono chiari al momento dell’erogazione. Nel caso degli Stati si accede a prestiti concordando prima le condizioni. L’operazione di cui si sta rendendo protagonista lo Stato italiano è basata sulla necessità di fornire liquidità a imprese chiuse o che fronteggiano una totale estinzione della propria domanda, in ragione di norme imposte dallo Stato stesso.

Non risulta ci siano condizioni ex ante da firmare per il rientro e il meccanismo passa dalle banche proprio perché esercitino il loro ruolo di valutatori del merito creditizio, giudicando i richiedenti capaci di restituire sulla base delle loro caratteristiche. Il secondo punto riguarda la profonda differenza tra i meccanismi di funzionamento degli Stati e quelli dell’impresa. Lo Stato non raccoglie denaro per le proprie spese di funzionamento cercando di soddisfare una domanda di beni e servizi. Esercita il proprio potere coercitivo, senza concorrenza da parte di altre entità, per riscuotere tasse e imposte che dovrebbe spendere con la massima efficienza. Le imprese invece stanno sul mercato e cercano di soddisfare una domanda mutevole e complessa, in concorrenza con altre imprese, in una continua rincorsa all’efficienza necessaria per comprimere i costi e ottenere un profitto.

Come può Mazzucato decidere, al posto dell’impresa, cosa sia più corretto fare per soddisfare quella domanda e prosperare? Come può sapere Mazzucato quale sia la funzione di utilità dei consumatori delle imprese che prendono a prestito denaro o come reagiranno i clienti alle nuove regole sulla convivenza con il virus? È la hybris tipica del pianificatore onnisciente, convinto di sapere cosa sia meglio per ciascuno di noi, insensibile alla nostra voglia di libertà anche nei consumi e feroce censore di quei comportamenti che reputa non etici e non corretti.

Lo Stato sta fornendo garanzie perché le banche prestino soldi alle imprese, non sta regalando soldi direttamente a queste ultime. E lo sta facendo perché il corpo dell’economia può funzionare solo grazie a una spina dorsale fatta da quelle che Robertson definiva isole di potere consapevole, disperse in quell’oceano della cooperazione inconsapevole che è il mercato. Se è davvero questo il volto dello Stato che Mazzucato ha in mente, allora sarà meglio che le imprese sappiano che sarà molto simile a quello di un padrino pronto a fare l’offerta che non si può rifiutare.



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