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Il sudario e le mascherine. La riflessione di Rocco D’Ambrosio

Mi ha sempre molto colpito, nel racconto della Resurrezione, un particolare. La mattina della Resurrezione Pietro e Giovanni corrono al sepolcro, entrano e lo scoprono vuoto e notano “il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma arrotolato” (Gv 20,7). È un particolare, ma importante. Secondo qualcuno richiama la tradizione ebraica dell’epoca: Gesù è come un padrone di casa che, alzandosi da tavola, non ha sgualcito il suo tovagliolo, in segno di fine pranzo, ma lo ha lasciato piegato, quasi a dire: “Tornerò!”. Altri studiosi si soffermano sul fatto che il sudario che prima era stato legato intorno al capo di Gesù non era più disteso, liscio, come il lenzuolo, e che non era stato slegato. In buona sostanza, esso continuava ad essere arrotolato e a conservare la sua forma ovale, come se si ostinasse a circondare ancora il volto del Signore, che in realtà non c’era più e che sembrava si fosse smaterializzato. Un particolare, piccolo ma significativo.

Diceva Flaubert che “Le bon Dieu est dans le détail – il buon Dio sta nei dettagli”. E qui i particolari sono diversi e interessanti. Gesù è Risorto, per chi ci crede; per altri il suo corpo è stato rubato dai discepoli (Mt 28, 13), per altri è una bella favola. Ma i particolari restano. Tante volte è difficile tenere insieme i particolari. Eppure essi, molto spesso, ci portano a chiarire meglio il quadro, ad acquisire elementi di verità. Quando questa storia, di emergenza sanitaria, sarà volta al temine avremo tanti particolari da analizzare. Potremo anche scrivere pezzi di storia partendo da particolari. Per esempio le mascherine: usate, buttate, riciclate, promesse, donate, mancanti, rubate, taroccate, negate, vendute a prezzi esosi e cosi via. Non è un esercizio di retorica stilistica, ma solo il desiderio di capire cosa e perché sta succedendo. Per capire, però, abbiamo bisogno di calma, di studio (parola ancora fuori moda), di confronto, di dialogo e di tanta onestà. Nessun particolare deve essere trascurato. Da un particolare si può giungere al significato generale: è un tassello di un puzzle più ampio.

Nelle apparizioni, che seguono il giorno di Pasqua, i discepoli sono invitati spesso a ricordare quanto gli era stato detto, a ricordare il ritmo che questa storia aveva la sua successione storica e di contenuto: consegna nelle mani di altri, condanna ingiusta e tradimenti, dolore, crocifissione, morte, risurrezione. Ha scritto Blaise Pascal che “quello che è capitato al Cristo capita a ogni cristiano”, ma, forse, anche al mondo intero.

Certo questa Pasqua è diversa dalle altre e ciò è ovvio. Ma quali sono i particolari che la fanno diversa, oltre quelli ovvi ed evidenti, per cui abbiamo inventato decine di hashtag? Faranno essi la storia? Non penso: la storia non è la cronaca giornalistica. La storia si costruisce e si scrive intorno a ricerca di senso, a scelta di ottiche di lettura, a desiderio di studiare e capire, a principi etici da insegnare e incarnare, a comunità da creare nella giustizia e nella pace.

Aveva tante ragioni, Ernesto Balducci, quando rifletteva sulla resurrezione del Cristo e la  considerava in riferimento alla crisi del suo tempo. Parole profetiche: “Questo cambiamento, questa conversione è il compito di tutti i nostri giorni. Per una specie di rapida omologazione, ciò che di terrificante vediamo sulle frontiere fra i blocchi è perfino dentro una famiglia, è perfino nei nostri rapporti intersoggettivi. Un’oscura lama ci attraversa e siamo portati a combatterci e ad essere seminatori di tristezza e di morte. I segni di questo cambiamento sono sotto i nostri occhi. Un bisogno nuovo di stabilire un rapporto con le cose, con la natura, di liberarci da questa smania febbrile del progresso a prescindere da ciò che esso significhi, da questa corsa ad una produzione fino ad una tale eccedenza del prodotto che non sappiamo più dove metterlo, mentre i nostri fratelli muoiono di fame. Siamo dentro questa follia. Dobbiamo liberarcene. Questo dovere ha un significato morale e politico. La morte di Gesù fu una morte politica e non una morte privata, porta i sigilli dei poteri di quel tempo.

Ecco perché l’annuncio pasquale non è fatto per darci una provvisoria esaltazione immaginativa, è fatto per risospingerci alle radici dove noi elaboriamo le nostre scelte fondamentali. È lì che tutto si decide. Dio guarda nel cuore e non alle nostre chiacchiere o ai nostri riti. È in questa profondità, dove noi ci troviamo di continuo al bivio fra morte e vita, che decidiamo di noi stessi e decidiamo del futuro del mondo. Fatta questa riflessione, acquistiamo in qualche modo il diritto di abbandonarci al rito, alle parole sacre, ma contenendole coscientemente dentro la riserva che abbiamo posto: tutto questo è vano, anzi è menzogna se non passa attraverso il filtro del senso di responsabilità che abbiamo cercato di rievocare sulle pagine della Scrittura”.

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