Si parla molto da domenica sera dello scontro tra la Conferenza Episcopale Italiana e la presidenza del Consiglio sulle restrizioni al culto. Molti giornali hanno scritto dei precedenti colloqui tra la Cei e il governo. Lo ha confermato giorni fa la stessa ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, in un’intervista ad Avvenire, nella quale ha detto due frasi molto importanti. La prima: “Il tema dell’esercizio della libertà di culto, cattolico e di altre confessioni religiose, è stato alla mia attenzione fin dall’insorgere dell’emergenza coronavirus”. La seconda: “Dobbiamo poter tornare a celebrare i funerali, seppure alla presenza soltanto degli stretti congiunti, seguendo le modalità che l’Autorità Ecclesiastica riterrà di applicare nel rispetto delle misure di distanziamento fisico dei partecipanti”. Ma non muoiono solo i credenti, né solo credenti che riconoscono autorità ecclesiastiche. Dunque i due passaggi dell’intervista non sembrano perfettamente in sintonia l’uno con l’altro. Per questo ritengo che sarebbe stato molto meglio se il ministro dell’Interno avesse seguito il punto di partenza e proposto al presidente del Consiglio di annunciare domenica sera la costituzione di un tavolo con i rappresentanti di tutte le fedi presenti in Italia. L’idea sembra percorribile, ne ha parlato proprio ieri il costituzionalista Stefano Ceccanti e qui su Formiche.net il reverendo Rocco D’Ambrosio, docente all’Università Gregoriana.
Certamente i vescovi hanno diritto a chiedere di avere attenzione. Ma l’attenzione del governo verso i vescovi richiede attenzione dai vescovi, soprattutto verso le parole. E oggi è il caso di concentrarsi sulla parola “chiusura”. Un esempio: il cardinale Ruini, che della Cei è stato a lungo presidente, ha sostenuto tempo addietro, nella sua penultima intervista a un grande giornale, che la Chiesa deve dialogare con tutti, anche con chi propone di chiudere i porti evidentemente, visto che citò espressamente la necessità di dialogo anche con il leader della Lega. Oggi invece chiede che il governo riconosca di aver ecceduto. E il dialogo? Servirebbe anche con chi propone di seguitare a tenere chiuse i luoghi di culto per motivi di sicurezza sanitaria. Infatti sarà bene spiegare l’importanza del fatto religioso ed superare possibili rigidità non necessarie. Proprio a questo serve il dialogo.
Ma per ottenere un simile risultato rispettoso dei diritti e della salute di tutti, occorrono le sedi adeguate e la preparazione. Così vengono spontanee delle domande. I vertici della Cei avrebbero presentato al governo delle richieste definite ragionevoli per la ripresa, per un ritorno plausibile e possibile ad una regolamentata e cauta riapertura dei luoghi di culto, si presume cattolici. Ma sono stati consultati gli epidemiologi cattolici per definirle? Si è definito cioè un protocollo che fosse scientifico? Sarebbe interessante saperlo perché se così non fosse più che una proposta sarebbe stata prospettata un’idea.
Proprio in queste ore non un’idea ma una proposta viene presentata dal gruppo di ricerca Diresom, Diritto e Religione nella Società Multiculturali e di cui è primo firmatario un autorevole giurista cattolico, il professor Pierluigi Consorti, ben conosciuto al ministero dell’Interno visto che tra l’altro vi ha curato corsi per ministri di culto di religioni non ancora riconosciute dallo Stato. Il gruppo di giuristi, dopo essersi tolti qualche impressionante sassolino dalle scarpe, facendo presente che l’autorizzazione alla celebrazione dei matrimoni cattolici parla di necessaria presenza dei soli nubendi, dei testimoni e del celebrante, che però non è il celebrante ma solo il ministro di culto visto che i celebranti sono gli stessi sposi, si chiede se non sia il caso che tale norma sia operante per tutte le espressioni di culto. Come di morire non tocca solo ai credenti, anche di sposarsi non capiterà solo ai cattolici. E visto che la libertà di culto è protetta dall’articolo 19 della Costituzione nei confronti di tutti, questo qualificato gruppo di giuristi ha elaborato queste linee guida: luoghi di culto aperti ove sussistano le condizioni di sanificazione, il distanziamento personale, l’areazione, la disponibilità di disinfettanti per le mani, l’uso delle mascherine e dei guanti “usa e getta”, l’esposizione delle norme da seguire, la definizione in via previa del numero massimo delle persone ammissibili. Oltre a garantire il controllo degli ingressi, le autorità confessionali dovrebbero poi favorire i riti all’aperto, poiché lì meno norme di controllo sono indispensabili, proibire l’uso promiscuo di contenitori per bevande e alimenti, e altri accorgimenti minori. Questa sembra un’ipotesi ragionevole e basata su un sano rapporto tra fede, emergenza e scienza.
Detto del ministero dell’Interno, dei vescovi e dei giuristi va detto qualcosa del presidente del Consiglio. A mio avviso nella sua conferenza stampa il nostro presidente Consiglio avrebbe potuto aiutare tutte le parti a sentirsi sulla stessa barca in vista del quattro maggio non solo annunciando un tavolo con i rappresentanti di tutti i culti presenti in Italia, ma anche rivolgendosi a tutti i credenti. I loro bisogni non sono diversi dagli altri e i riti sono loro, non dei ministri. L’interlocuzione avrebbe potuto essere tra l’uomo che guida un Paese e i credenti che vivono in questo Paese. Facendolo Conte avrebbe riconosciuto la loro partecipazione come italiani a questo momento, dicendogli molto semplicemente che il governo sa bene che chiudere un luogo di culto non equivale a chiudere un esercizio commerciale. Ma anche i fedeli sanno che è proprio il fatto assembleare al centro del rischio pandemico. Di qui la necessità di vigilanza e di attenzione, che riguarda la sicurezza di tutti, non progetti contro la fede o le fedi. Ecco la pazienza, l’attenzione e il dialogo con i loro rappresentanti per trovare al più presto i modi compatibili. Ai tanti dialoghi necessari si sarebbe potuto aggiungere questo, anche se qualcuno ha un’idea diversa di dialogo. Ma non è mai troppo tardi e se ci fosse nelle prossime ore credo che sarebbe comunque importante.