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Il virus, Zaia e la competenza che serve all’Italia. Parla Pomicino

È stato esponente di punta della Dc durante l’emergenza terrorismo Paolo Cirino Pomicino. In questa lunga conversazione con Formiche.net fa il punto sulla reazione ad un’altra emergenza come la pandemia, sulle responsabilità della politica e sulla ricetta per rimettere in moto il motore Italia con la ricapitalizziazione dello Stato. “Manca la competenza politica che guidi il paese e non lo insegua. Zaia? Diverso da Salvini”

Nei prossimi mesi il compito della politica sarà di gestire la rabbia, ha detto il prof. Franco Cassano. Come procedere e con quali interpreti?

Con l’accelerazione delle norme di cui si parla in questi giorni. Il decreto liquidità è in affanno perché le banche non sono state aiutate dalla rapidità dell’analisi creditizia, per cui il rischio è che domani qualche dirigente bancario potrebbe essere chiamato da un Pubblico Ministero per un eventuale reato di abuso di ufficio nell’esercizio del credito. Bisogna immaginare dunque le leve giuste per concretizzare i 400 miliardi del decreto ad appannaggio delle imprese.

Lei è stato un alto dirigente della Dc durante l’emergenza del terrorismo. Ora ce n’è una sanitaria: la politica come sta rispondendo?

Assistiamo al proliferare di numerosi comitati di esperti, scienziati e task force, ma la verità è che all’Italia in questo momento manca la competenza politica che guidi il paese e non lo insegua. Noi abbiamo governato con l’emergenza del terrorismo: ricordo che alla fine degli anni ’70 per ottenere un prestito dalla Bundesbank dovemmo dare in pegno l’oro della Banca d’Italia. Lo sottolineo per specificare quale era la difficoltà del Paese. Tutti non volevano governare con la Dc, ma tutti poi volevano che la Dc governasse. Così nacque il monocolore Dc con l’astensione di tutti. In quell’occasione, con quelle emergenze di carattere economico, sociale e politico il sistema nel suo insieme seppe trovare un modo per guidare il Paese in quel frangente. Oggi questa competenza manca, per via di una cifra di inesperienza e per l’assenza di partiti. Dinanzi ad una situazione come quella attuale, una volta la vecchie famiglie politiche europee dei popolari e dei socialisti si sarebbero riunite per dare indicazioni ai partiti nazionali. Oggi non più. E i governi, sprovvisti di partiti dietro le spalle capaci di elaborare un pensiero, sono lasciati a se stessi. Accade anche negli altri Paesi, non solo in Italia.

Il modello Zaia è una faccia diversa della Lega salviniana?

Sì. La differenza lì l’ha fatta la qualità del governatore, che è un ottimo amministratore. Tra l’altro la cosa mi fa molto piacere, perché subito dopo l’ordinanza del 10 marzo affidai ad un autorevole parlamentare un messaggio al governo perché avviasse subito uno screening di massa per ricercare i portatori sani, come sostenuto da Zaia. Era ovvio che i veri untori sono stati i positivi asintomatici che hanno continuano a camminare indisturbati. Purtroppo è accaduto l’esatto contrario, sotto l’alibi dell’Oms e dello stesso comitato tecnico scientifico. Ecco che manca ancora la competenza della politica, che non è eliminabile. Diceva il mio amico Carli, quando accettò l’invito di Andreotti a fare il ministro del tesoro, che lo avrebbe fatto solo se non ci fossero stati altri tecnici.

Perché Berlusconi si è smarcato dai sovranisti sul Mes?

Perché è un liberale iscritto al Ppe. Tra l’altro credo che Forza Italia avrebbe dovuto sollecitare una riunione del Ppe perché i partiti altro non sono se non una comunità che discute al proprio interno. Senza quella dialettica, chi guida come fa a prendere decisioni senza elaborazione culturale e quindi sociale? Si rischia di scivolare su un pericolo grandissimo: mettiamo in gioco la nostra democrazia liberale.

Ha proposto una grande alleanza e un patto fiscale: perché non sarebbe un condono preventivo?

Perché il condono preventivo riguarda il passato, e a quegli evasori si consentirebbe di sanare con una piccola somma. Qui invece si tratta di avere un accordo preventivo sull’imponibile dei prossimi anni, con la premessa che ci sia un contributo a fondo perduto tra 30mila e dieci milioni di euro, naturalmente attraverso una scala tollerata al reddito e al fatturato.

Quale la ratio?

Nasce da due esigenze. Come già deciso dal precedente governo, gli italiani che rientrano in Italia possono avere un imponibile massimo tassabile da 100mila euro. La promessa dell’attuale governo, come confermato dal ministro Patuanelli, è quella di ridurre il prelievo fiscale a quelle aziende che dovessero tornare in Italia dopo aver delocalizzato altrove. Non un condono ma un concordato preventivo, strumento utilizzato abbondantemente anche dall’Agenzia delle Entrate quando accerta e poi negozia. In secondo luogo noi non possiamo immaginare che vi sia un contrasto immanente nei riguardi della lotta all’epidemia e del rilancio economico. Dobbiamo riflettere sul fatto che oggi abbiamo 70 miliardi di spese per interessi, che domani rischiano di diventare 100 se continuiamo a fare debito illimitato. Come possiamo pensare ad un rilancio se poi sottraiamo all’ordinaria attività di bilancio ben 100 miliardi annui?

Dunque come uscirne?

C’è stata una autorevole sollecitazione da parte di un banchiere altrettanto autorevole come Carlo Messina verso le imprese dotate di grandi patrimoni affinché le ricapitalizzassero per mantenerle in bonis. La stessa cosa si faccia per lo Stato che dovremmo ricapitalizzare, per evitare che lo sforzo finanziario necessario per rilanciare l’economia sia in parte in debito e in parte in equity, come si dice nel gergo bancario. L’alternativa è collocare sulle spalle dell’Italia di domani una spesa per gli interessi che impedirebbe politiche di bilancio espansive. Mario Draghi, che ormai è come il Monte Sinai, ha detto una cosa che nella sua banalità è coraggiosa. La politica monetaria ha ormai completato lo sforzo che ha fatto, ma occorre una politica di bilancio. C’è bisogno di investimenti pubblici che in Italia negli ultimi 25 anni sono crollati del 2-3% dal 4-5% della Prima Repubblica. All’epoca è vero che avevamo un debito, ma era sostenibile e le famiglie si arricchivano mentre oggi siamo agli ultimi posti dell’Eurozona come tasso di crescita.

Come invertire questo trend?

Con la presenza di investimenti pubblici che traineranno anche il risparmio privato. Queste le ragioni per cui o si ricapitalizza lo Stato oppure faremo debito che aumenterà la spesa per gli interessi.

Chi dovrebbe ricapitalizzare?

I pensionati? I medici che stanno in ospedale? Non dimentichiamo che siamo un paese che ha tolto tra i mille e i duemila euro a persone che avano una pensione di seimila euro definendola pensione d’oro. Per cui prenderemo atto che la ricchezza italiana non ha né il senso dell’italianità, né quello della solidarietà, ma conoscendo parte di quel 20% di italiani che hanno in mano il 70% della ricchezza italiana dico che quel 20% sarebbe disponibilissimo a salvare il paese ricapitalizzandolo.

La pandemia sta accelerando un ridisegno complessivo del sistema politico italiano?

Attenzione perché il modello orientale che si sta proponendo da solo, fatto da un’economia di mercato sommata ad un autoritarismo politico, è molto più affascinante di quanto si possa immaginare. Pensiamo al rapporto tra sicurezza e libertà: se un popolo è posto dinanzi al bivio tra le due sceglie ovviamente la sicurezza, perché ha fame. Noi siamo un gruppo di persone certamente anziane ma che condividono ancora la passione per la politica e con lo sguardo lungo: stiamo cercando di scambiarci opinioni per offrire eventualmente al paese domani un indirizzo di cambiamento generale.

twitter@FDepalo

 

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