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Come le regioni hanno gestito l’emergenza coronavirus. Parla il prof. Cicchetti

Quali sono i differenti sistemi gestionali delle Regioni e come hanno reagito all’emergenza. E ancora i principali cambiamenti futuri del nostro Sistema sanitario nazionale e il Golden Power esteso al settore sanitario/farmaceutico italiano. Conversazione di Formiche.net il Prof. Americo Cicchetti, ordinario di Organizzazione Aziendale – Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore dell’Alta Scuola di Economia e Management dei sistemi sanitari.

L’Alta Scuola di Economia e Management Sanitario, in collaborazione con la Facoltà di Medicina e Chirurgia del Gemelli ha elaborato un Report sui modelli organizzativi delle Regioni dal quale sono emersi 3 modelli. Quello che ha funzionato meglio sembra essere il modello del Veneto, una delle Regioni del nord che ha reagito meglio e che si basa su una forte presa in carico territoriale. È d’accordo? Può descriverci meglio l’organizzazione di questi 3 assetti organizzativi analizzati?

In realtà è presto per dire che al 100% la soluzione veneta è stata oggettivamente la migliore. Sicuramente c’è un chiaro modello nella regione, recepito poi anche da altre, che noi abbiamo chiamato “prevalentemente territoriale”. In questo modello, quello che osserviamo è un uso dell’ospedale molto mirato, il che significa che ci si arriva per essere direttamente trattati in terapia intensiva. Esiste quindi un filtro territoriale molto forte, così come anche in Friuli Venezia Giulia o nella provincia autonoma di Trento e Bolzano. Un altro modello è quello “prevalentemente ospedaliero”, opposto a quello precedentemente descritto, che vede la Lombardia regione simbolo. Inizialmente anche il Lazio aveva queste caratteristiche, poi, superate con un potenziamento territoriale. Questo modello è caratterizzato da un rapporto tra i trattati in ospedale e le persone in isolamento domiciliare esattamente opposto a quello territoriale. C’è poi un terzo modello di gestione che si può definire “integrato ospedale/territorio” che è quello che caratterizza l’Emilia Romagna, la Toscana, e al quale si sta avvicinando il Lazio.

C’è qualche strumento simile presente in tutti e tre i modelli?

Tendenzialmente sì. Attraverso l’analisi portata avanti siamo andati a vedere se tutte le Regioni utilizzassero i cosiddetti Usca (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) ed è emerso che la situazione è molto variabile. La maggior parte delle regioni ha risposto un po’ in ritardo rispetto alla data del decreto legge del governo del 9 marzo che le ha istituite. Le prime attivate risalgono al 19 marzo. In particolare, si può dire che ad esempio le Marche hanno avuto un ritardo perché le hanno attivate il 31 marzo ma adesso coprono il 56% della popolazione con questo strumento. Mentre il 39% è il tasso di copertura in Piemonte, il 28% in Emilia Romagna. In Lombardia e in Veneto è presente un tasso più basso, il 16 e 19%, per motivi diversi ed anche perché nel Veneto c’era già un assetto territoriale forte, mentre la Lombardia si sta adesso attrezzando perché dal 4 aprile ha iniziato ad aprirle, anche se in realtà il numero più alto di Usca in Lombardia è il più alto di tutto il paese. Il tasso di copertura della popolazione risulta basso, quindi, anche per il numero alto di Usca presenti.

Da che dipende questa differenziazione di gestione regionale?

La risposta è legata a quella che era la vocazione iniziale di ogni singola regione ma quello che stiamo osservando è che c’è un certo percorso di convergenza. Man mano che si va avanti le regioni sembra stiano equilibrando le loro risposte. Chi era più ospedaliero sta investendo sul territorio per avvicinarsi ad un modello integrato; modello che può considerarsi ottimale perché caratterizzato da un bilanciamento intelligente delle possibilità che si hanno a disposizione: da un lato le strutture territoriali che gestiscono i pazienti fino ad un certo livello di complessità, dall’altro le strutture ospedaliere che entrano in campo con le terapie intensive per chi ne necessita.

Il modello integrato come anche quello territoriale ha permesso anche un diverso contenimento dell’emergenza per il minore assalto alle strutture ospedaliere, contenendo possibili fonti di contagio grazie ad una più potenziata medicina di prossimità.

Si anche un altro motivo che ha permesso ad alcune regioni di gestire meglio i pazienti a casa o meglio quelli che hanno sintomi ma che ancora non hanno una diagnosi è l’utilizzo di strumenti di monitoraggio a distanza come l’App “Doctor Plus Covid-19”, utilizzata da moltissimi medici di famiglia per monitorare i pazienti a casa.

Secondo lei per un funzionamento corretto del Sistema Sanitario, dunque per una gestione che non permette discriminazioni regionali, si dovrebbe prendere in considerazione un modello come esempio per omologare anche le altre Regioni oppure pensa che una eterogeneità è strutturale e giusta perché conforme alle differenze proprie di ogni Regione?

L’esperienza Covid-19 ci ha insegnato che modelli troppi diversi non sono giustificati dalle differenze di contesto ma sono giustificate dalla diversità dei bisogni. Il modello lombardo ha risposto in maniera diversa rispetto al modello del Lazio perché qui il bisogno era meno intesto. Quindi in situazioni di emergenza una differenza accentuata me l’aspetto, ma in situazioni normali mi domando se tutta questa eterogeneità abbia un significato. Questo non significa non considerare l’approccio della sussidiarietà come positivo perché positivo lo è. Quanto più sto vicino ai bisogni, più li comprendo e più rispondo in maniera appropriata, però è anche vero che non bisogna abusarne e soprattutto su una tematica tecnica come quella della sanità, alcune risposte tecniche funzionano meglio di altre.

Cosa consiglia?

Dobbiamo far in modo che ci sia un coordinamento nazionale in grado di promuovere risposte tecniche unitarie nella giusta dialettica con quelle che sono le realtà delle singole regioni. Un percorso non dico di centralizzazione ma di forte coordinamento nazionale. Accentrerei immediatamente 3 funzioni, al di là di rafforzare il tema della programmazione sanitaria. In primis tutto il tema della raccolta dati che è un presupposto logico per l’elaborazione di una concreta programmazione sanitaria. È inconcepibile che il ministero della Salute non possa integrare i dati di tutte le regioni, poi la gestione dell’innovazione tecnologica, di quella sanitaria, e dell’Health Technology Assessment. La tutela della salute deve essere garantita attraverso gli stessi strumenti su tutto il territorio nazionale.

Come cambierà il Servizio Sanitario Nazionale a seguito dell’emergenza Covid-19? Digitalizzazione e Territorialità: le parole chiave su cui puntare per tutte le regioni?

Di territorialità se ne parla dal 1978. Spero che finalmente si possa attuare. Anche qui credo che esistano talmente tante diversità tra le regioni che dobbiamo solo andare a scegliere degli approcci di gestione territoriale che magari hanno funzionato meglio e cercare di estenderli in altri contesti, abbattendo qualche barriera ideologica e politica. Per quanto riguarda la digitalizzazione ho visto un’accelerazione senza precedenti in queste settimane. Per esempio l’invio telematico da parte del medico di famiglia del numero di ricetta elettronica (Nre) sia al paziente che al farmacista era una cosa che giuridicamente poteva essere fatta dal 2016 ma che solo ora è una conquista. Dal nostro rapporto è, poi, emerso che ci sono 89 soluzioni digitali in 17 regioni che sono per il circa 20% App, altre sono piattaforme, siti, tutti dedicati alla gestione di patologie di cui il 25% è rappresentato dal Covid-19 ma per il resto da altre malattie. Con la scusa del Coronavirus e che in ospedale è meglio limitare gli accessi stiamo facendo delle accelerazioni di telemedicina mai viste. Abbiamo scoperto che possiamo gestire in remoto il piano terapeutico di un paziente diabetico. Cosa che sapevamo possibile ma che sono con l’abbattimento di certi muri ideologici è stato possibile portare avanti. E non è solo una questione legata alla burocrazia.

Nel Decreto liquidità varato dal governo e pubblicato in Gazzetta l’8 Aprile 2020 sono state previste numerose misure per l’accesso al credito, per la proroga delle scadenze fiscali ed uno stanziamento di 400 miliardi per far ripartire l’imprenditoria italiana. Oltre queste misure, nel decreto figura anche un’estensione degli Assett strategici del Golden Power, lo scudo normativo per evitare che le imprese italiane siano acquistate da capitali stranieri. Tra i settori protetti è stato previsto anche quello sanitario/farmaceutico. Che ne pensa?

Inizialmente mi sono chiesto se questo fosse coerente con l’appartenenza ad un sistema europeo perché questa difesa degli Assett strategici del golden power non riguarda solo le imprese controllate dallo stato o partecipate come l’Enel, l’Eni, Ferrovie dello Stato ma riguarda anche Imprese private in altri settori. Quanto questo sia coerente con lo scenario regolamentario europeo non saprei. Però non c’è dubbio che qualcosa andava fatto perché molte delle imprese italiane si troveranno in un momento di debolezza importante e quindi, ancora più che in passato, preda di chi vuole fare shopping a basso costo.

È concorde quindi nell’estensione dello scudo per il settore sanitario e pharma made in Italy?

Sì, sono contento che sia stata prevista un’estensione di questo scudo anche al settore sanitario e farmaceutico perché il sanitario riguarda i grandi gruppi privati accreditati che in una situazione di emergenza sono stati fondamentali, sebbene non avessero avuto nessun tipo di assicurazione sulle tipologie di pagamenti che otterranno alla fine di questa pandemia. Per quanto riguarda il settore farmaceutico altrettanto. Siamo arrivati con grande difficoltà ad essere il primo produttore di farmaci a livello europeo e chiaramente questo fa gola a molti. Fortunatamente c’è da dire che il farmaceutico è un settore anti ciclico quindi non dovrebbe soffrire più di tanto questa situazione, anzi è uno di quei settori che potrebbe trarne un beneficio quindi bene il golden power anche non ci sarà bisogno di utilizzarlo.


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