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Il Decreto Rilancio e il mistero dei 55 miliardi. Tutti i dubbi del prof. Pennisi

In analisi finanziaria, i soldi – come si dice in inglese – non hanno fiocchetti. Un euro equivale ad un euro sia che serva per comprare una liquirizia sia per fare elemosina alla porta della Chiesa. Quindi, 55 miliardi sono 55 miliardi sia che servano a dare supporto ad alcuni comparti e ad alcune categorie sia che vengano utilizzati per saldare debiti contratti su un lungo, od anche breve, periodo di tempo.

Sappiamo che in economia del benessere, alla luce di chiari obiettivi di politica pubblica, e se la macchina tributaria non funziona, un euro può valere più o meno di un euro a seconda della destinazione. Ma tali raffinatezze – a cui mi sono dedicato per decenni – non credo che entrino nelle discussioni del Consiglio dei ministri e dei vertici dei capi delegazione. Inoltre, anche nella manualistica, non si applicano ad un Paese come l’Italia, ad economia aperta e con vasto welfare supportato da una finanza pubblica che non può essere paragonata a quella del Burundi.

Viene, quindi, a proposito la domanda del solito Pierino: perché tante angosce (ritardi, riunioni notturne, tensioni, rischi della rottura tra componenti della simpatica brigata al governo del Paese, spread che sale e che scende, incertezza di individui, famiglie ed imprese) e tanti costi per tutti, per mettere a punto un decreto legge (peraltro di dubbia costituzionalità) che inietti 55 miliardi nel sistema economico? Non sarebbe stato più semplice, più facile e meno costoso saldare i 55 miliardi di debiti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese e, se del caso, fare alcuni provvedimenti mirati per alcuni comparti economici ed alcune categorie di cittadini?

In lavoce.info Dario Immordino analizza il maledetto imbroglio del paradosso in base al quale il governo stanzia ingenti risorse per fornire liquidità alle imprese attraverso le banche, mentre le pubbliche amministrazioni non pagano i propri debiti dato che somme già stanziate in bilancio non si trasformano in pagamenti effettivi. È un’analisi giuridica (Immordino insegna all’Università di Palermo ed esercita la professione di avvocato) a cui si rimanda. Contiene anche suggerimenti per uscire dall’incaglio. L’ipotetico buon padre di famiglia che governa il Paese dovrebbe, con raziocinio, prima saldare i propri debiti e poi prendere nuovi impegni di spesa (accertandosi che sarà in grado di onorarli con puntualità, efficienza ed efficacia).

Sotto il profilo finanziario, i 55 miliardi del decreto comportano alti costi di transazione che gravano su tutta la collettività: i tempi e le ambasce per la preparazione del provvedimento, la sua approvazione e l’erogazione effettiva degli stanziamenti.

Si può argomentare che il decreto riguarda imprese differenti da quelle che non riescono a riscuotere i propri crediti con la Pubblica amministrazione, nonché alcune categorie di cittadini e famiglie. È un argomento debole dato che l’esperienza degli ultimi mesi è che gli stanziamenti di decreti precedenti non arrivano a destinazione con la puntualità, efficienza ed efficacia dovute. Chi assicura che i nuovi impegni con imprese, cittadini e famiglie, vengano onorati più celermente e meglio?

A Pierino resta l’ombra del dubbio che i 55 miliardi del decretone non esistano, non esistano proprio per niente e che siano solo una trovata pubblicitaria per tener desta l’attenzione, fare pensare meno al lockdown ed alla mitica Fase 2 ed andare esultanti in televisione in prime time a reti unificate.

Pierino è un ragazzetto un po’ maligno ma a volte ci azzecca.

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