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“5G Clean Path”, così sparisce il 5G cinese dalle ambasciate Usa. E l’Italia?

Si chiama “5G Clean path”, è il nuovo piano per la rete 5G del Dipartimento di Stato Usa. Obiettivo: tenere alla larga dal network di ultima generazione che unisce la rete consolare e diplomatica americana nel mondo le aziende cinesi accusate di spionaggio per conto del Pcc (Partito comunista cinese), su tutte Huawei e Zte.

Annunciato due settimane fa dal segretario di Stato Usa Mike Pompeo, ora è pronto a entrare nel vivo. “In poche parole, con la prossima rete 5G, il traffico di dati che enterà nei sistemi diplomatici americani sarà soggetto a nuovi, stringenti requisiti se è passato attraverso equipaggiamento Huawei”, spiega un comunicato di Foggy Bottom.

Il cordone di sicurezza inaugura una nuova fase nella competizione geopolitica fra Cina e Usa sulla banda ultra-larga. Con il “5G Clean Path” la Casa Bianca passa dalle parole ai fatti. Chiudendo alle aziende cinesi qualsiasi accesso alla rete diplomatica, gli Stati Uniti mettono gli alleati di fronte a un aut-aut: se non faranno altrettanto, se lasceranno i fornitori cinesi nella loro rete, lo scambio di dati andrà incontro a una limitazione.

“Faremo tutto quello che è in nostro potere per conservare i nostri dati critici e i nostri network al sicuro dal Partito comunista cinese”, ha promesso Pompeo. Il piano, ha aggiunto il sottosegretario Keith Krach, “negherà a fornitori non affidabili di IT l’accesso a sistemi del Dipartimento di Stato”.

Non è un caso che tra i primi siti a rilanciare l’annuncio del Dipartimento ci sia quello dell’ambasciata americana a Londra. A gennaio il Regno Unito di Boris Johnson ha optato per una via mediana: via le aziende cinesi dalla rete 5G “core”, accesso limitato al 35% della rete “non-core”. La Casa Bianca non l’ha presa bene.

La stampa americana ha parlato di una “telefonata apoplettica” di Trump al premier britannico, e l’amministrazione Usa in coro, dal Pentagono al Dipartimento di Stato, ha fatto capire che ci saranno conseguenze per il parziale sì a Huawei. Ad esempio, il ritiro degli aerei-spia e di una parte degli agenti segreti di stanza nel Paese.

Il “5G Clean Path” suona un campanello d’allarme per i Paesi alleati che ancora non hanno preso una decisione sulla presenza di tecnologia cinese nella rete delle loro Pubbliche amministrazioni (Pa). Fra questi c’è l’Italia, dove il public procurement è storicamente costruito sul principio del best price e spesso mette la sicurezza in secondo piano.

È così accaduto che, con un certo imbarazzo di fronte all’alleato americano, un anno fa il ministero della Difesa si sia ritrovato con una partita di cellulari Huawei vinta tramite la Consip, la centrale degli acquisti per la Pa. L’impasse venne risolto con l’arrivo del ministro Lorenzo Guerini a Palazzo Baracchini, ma l’episodio accese i riflettori sul tema sicurezza nelle forniture pubbliche.

Con l’articolo 75 del decreto “Cura Italia” il governo ha introdotto una procedura negoziata per la scelta del Cloud per la Pa, in sostituzione della gara pubblica. Uno scatto necessario per marciare a ritmo spedito verso l’innovazione senza soccombere all’abbraccio letale della burocrazia, che però ha sollevato più di un dubbio fra gli addetti ai lavori. E la sicurezza?

Che succede se un’azienda cinese di quelle citate dagli Usa si aggiudica la fornitura con la migliore offerta (accade spesso) senza passare attraverso opportuni controlli? Quella Pa, magari facente capo al ministero degli Esteri, potrà ancora scambiare informazioni e dati sensibili con la rete diplomatica e consolare americana? Il governo ha inserito una clausola in sede di conversione del decreto collegando la struttura dell’art. 75 al decreto cyber e al “Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica”. È un passo avanti, ma potrebbe non bastare.

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