“Giocando con il fuoco”. Il titolo del nuovo report della Brookings Institution, prestigioso think tank di Washington DC, sulla politica italiana e le sue scelte internazionali, è già un programma. Il nuovo paper è un riflettore acceso dagli Stati Uniti sulla special relationship fra Italia e Cina. O meglio, fra questa politica italiana e la Cina, se è vero che mai come negli ultimi due anni, con i governi Conte 1 e bis, l’Italia si è avvicinata al Dragone.
M5S, PASSIONE CINESE
Il Movimento Cinque Stelle è un caso di scuola per il think tank. “Con il recente governo Cinque Stelle-Lega, i rapporti fra Italia e Cina sono diventati un punto di discordia fra i partner della coalizione”. “La richiesta dei Cinque Stelle di un approccio alternativo alla politica estera, soprattutto vis-à-vis Paesi come Cina e Russia, si è tinta di un forte euroscetticismo e di un più lieve antiamericanismo”.
QUI FARNESINA
La passione cinese del Movimento, scrive la visiting fellow Giovanna De Maio, è rimasta intatta nel passaggio da un governo all’altro. Ed è stata suggellata da una scelta del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Ovvero “trasferire le competenze per la promozione internazionale degli interessi delle aziende e dei brand italiani al ministero degli Affari Esteri”.
Il trasloco dell’Ice dal Mise alla Farnesina, così come la scelta di nominare capo di Gabinetto l’ex ambasciatore a Pechino Ettore Sequi, scrive Brookings, è “un segno che il M5S vuole un maggiore controllo sull’agenda economica italiana e assicurare continuità nell’apertura dell’Italia alla Cina”.
PD ASSENTE, O QUASI
Se un merito si vuole proprio riconoscere alla posizione del M5S, è quello di essere chiara, inequivocabile. Lo stesso non si può proprio dire per il suo partner di governo, il Pd di Nicola Zingaretti. Sul dossier cinese, al Nazareno, l’ambiguità regna sovrana, si legge nel report. “Il Pd, che ha sempre avuto una visione transatlantica della politica estera, è rimasto sostanzialmente in silenzio sul tema della Cina”. Due sole eccezioni, secondo la ricercatrice: “Deputati come Lia Quartapelle e Ivan Scalfarotto, che hanno un’influenza relativamente ristretta sulla leadership del partito”. Perché tanto timore? “Il silenzio è probabilmente motivato dalla paura di destabilizzare ulteriormente un governo già precario”, sentenzia Brookings.
HUAWEI E IL 5G
Un focus a parte è dedicato a una delle questioni più scottati dell’agenda di politica estera: la rete 5G. Come è noto gli Usa ritengono un rischio l’accesso al 5G di aziende cinesi vicine al Pcc (Partito comunista cinese). In una parola, Huawei, il campione della telefonia mobile di Shenzen coinvolto in una guerra senza esclusione di colpi con l’amministrazione Trump.
In Italia l’azienda di Ren Zhengfei ha una presenza solida, e consolidata negli anni. Il governo ha di molto rafforzato la struttura normativa preposta alla protezione della rete con il Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica, ma non ha valutato, come invece richiesto dal governo Usa, un’esclusione diretta di Huawei.
L’idea, peraltro condivisa da altri Paesi Ue, è che i rischi possano essere “mitigati” con interventi ad hoc. Non convince la Brookings, che scrive: “La natura complessa di questa tecnologia rivoluzionaria (il 5G, ndr) rende difficile fornire qualsiasi garanzia sulla sicurezza, a causa del rischio di una backdoor nascosta da Huawei per aver accesso ai dati”. cina
I RISCHI PER LA RIPRESA
“L’assenza di una strategia di lungo periodo e una strategia cinese espone davvero l’Italia ai rischi di un boomerang economico”, spiega il think tank. Dai takeover ventilati delle aziende italiane agli investimenti diretti esteri, il rischio che la Cina approfitti delle maglie aperte dalla crisi economica è tutt’altro che remoto. “In assenza di una risposta imponente e coordinata a livello europeo, l’Italia si affiderà sempre più alla Cina per gli investimenti e altra assistenza economica”. È un pericolo, in assenza di condizioni che, per il momento, non esistono.
DECIDE LA POLITICA
“Senza una supervisione sostanziale e una strategia previdente del governo per proteggere i settori strategici – ma soprattutto senza stabilità politica e un approccio alla Cina coerente nel tempo – l’Italia rischia di finire sommersa dalla potenza economica e tecnologica cinese”. Gli strumenti normativi di screening degli investimenti in Italia ci sono, e sono “robusti”, spiega il report. Ma l’ultima parola spetta comunque alla politica. A differenza degli Usa, non esiste un meccanismo di screening indipendente come il Cfius (Committe on Foreign investments of the Usa). “Nonostante l’ampiamento della legge sullo screening, la decisione di applicare il “golden power” è alla fine una decisione politica”.