L’accordo tra governo e conferenza episcopale sulla graduale ripresa della celebrazioni liturgiche alla presenza dei fedeli segna la chiusura di una pagina molto problematica e non si può che salutare con sollievo la nuova collaborazione nel rispetto delle regole anti-assembramento a tutela della salute e del contenimento della pandemia e di nuovi temuti contagi durante la riapertura. Il protocollo è infatti dettagliatissimo e rispetta in pieno sia le indicazioni sul distanziamento, una persona ogni quattro metri quadrati, sia la necessità di indossare le mascherine. Ma il vero punto sono le norme per la comunione; l’ostia andrà data in mano, il celebrante avrà cura di usare sia la mascherina, coprendo accuratamente naso e bocca, sia i guanti, evitando il contatto con le mani di chi la riceve.
È questa la questione più delicata che induce molti a chiedersi se fosse poi così importante riprendere prima possibile la celebrazione del rito. C’è già chi fa presente che ricordare l’ultima cena con guanti e mascherine colpisce. Ma il bivio non era questo, il bivio era un altro: cercare il miglior accordo possibile, e questo probabilmente lo è, o ritenere che per il momento era preferibile limitarsi alla liturgia della Parola? La liturgia della Parola contempla le letture, bibliche ed evangelica, la predica e le preghiere dei fedeli. Altri invece avevano pensato a una via mediana, come celebrare ma all’aperto, con le minori restrizioni che ciò determina.
Norme precise ovviamente sono previste anche per le offerte, che andranno inserite in un apposito contenitore collocato possibilmente all’ingresso o in altro luogo ritenuto idoneo. Istruzioni, che in questo caso ricordano più il buonsenso, anche per la confessione, che richiede un luogo ampio ed areato, come al buon senso è ispirata anche l’indicazione di valutare l’opportunità di celebrare all’aperto ove le condizioni dell’edificio di culto fossero tali da suggerirlo. L’accuratezza del protocollo non lascia nulla al caso e così si indica la possibile presenza di un organista ma non dei coristi, ovviamente in questa fase.
Il sollievo ha certamente la precedenza su qualsiasi considerazione, ma alcune considerazioni rimangono. La più semplice è quella di metodo: invece che raggiungere un accordo dettagliato con la Cei e poi per analogia riproporlo alle altre confessioni presenti, che sono state incontrate tutte insieme ieri dal Viminale, non era questa l’occasione per fare un salto in avanti sulla via del pieno rapporto di mutua amicizia tra stato e confessioni con o senza intese con lo Stato, per stabilire tutti insieme alcuni criteri attinenti alla priorità della sicurezza e della salute di tutti, demandando poi a ciascuno la definizione in protocolli integrativi di norme relative ad aspetti specifici? Questa possibilità avrebbe consentito di fare di un guaio, la pandemia, una risorsa per il vivere insieme, capace di tradurre nella realtà quel principio di fratellanza che per la legge può significare uguaglianza, senza togliere a nessuno il prestigio che deriva dalla rappresentatività. Questo sistema avrebbe potuto offrire una variante sul merito, dando modo a ciascuno anche di rapportarsi in modo meno centralista davanti a realtà territoriali diverse, basti pensare alla città e ai piccoli centri magari di montagna, che restano disomogenee.
L’urgenza di dover fare tutto insieme in un testo organico porta invece alla sorpresa di trovare la firma delle autorità di governo in calce a un protocollo che ricorda ai fedeli la dispensa dal precetto festivo per motivi di età e di salute. Esigenza in verità poco avvertita, suppongo, sia dai ministri sia dai stessi vescovi. Ma la scelta di un’intesa completa comporta anche questi imprevisti.