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Usa2020, Trump accelera l’uscita dall’Afghanistan (ma il Pentagono rallenta)

La Casa Bianca spinge per l’uscita militare dall’Afghanistan già prima delle elezioni presidenziali programmate per il 3 novembre (salvo complicazioni legate all’epidemia).

Secondo il New York Times, l’opzione è tra quelle proposte dal Pentagono ed è chiaramente la preferita da Donald Trump, presidente che più volte ha spinto per la conclusione della madre di tutte le “endless wars. L’Afghanistan è il più lungo conflitto della storia americana, avviato dall’amministrazione Bush dopo il 9/11.

Base comune a tutti i presidenti vincitori negli anni a seguire dall’avvio delle ostilità – costante centinaia e centinaia di morti americani – è stata la promessa di disimpegno, mai attuata per ragioni contingenti. E anche adesso l’Afghanistan è tutt’altro che stabilizzato: i Talebani — il gruppo ribelle che governava il Paese e che aveva offerto ospitalità e riparo ai qaedisti responsabili delle Torri Gemelle e di altre atrocità terroristiche — non hanno più ruolo statuale, ma sono comunque forti in diverse province.

Gli Stati Uniti, scavalcando il governo afgano, hanno anche avviato da tempo un piano di dialogo con i ribelli e sono arrivati a un framework operativo per un accordo a febbraio – un’intesa che concede al gruppo jihadista una sorta di legittimazione, forma di pragmatismo estremo che l’amministrazione Trump ha spinto per arrivare a un disimpegno dal paese.

Nel piano deciso con i talebani la ritirata americana è prevista nel 2021, e su questo i vertici militari statunitensi restano convinti – l’opzione prima-delle-elezioni non piace agli strateghi militari che temono che il paese ripiombi nel caos.

Però il Pentagono, secondo le indiscrezioni diffuse dal New York Times, vorrebbe evitare un’altra situazione come quella verificatasi nel dicembre 2018 e ancora nell’ottobre 2019, quando Trump sorprese i vertici della Difesa annunciando un (mai realizzato) completo ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria. All’ordine fece seguito un periodo di destabilizzazioni, scontri tra turchi e curdi nel nord, azioni più aggressive del regime (e dei russi) contro i residui delle forze rivoluzionarie.

In Afghanistan il rischio è maggiorato dalla presenza dello Stato islamico in crescita. Nel quadro di disequilibrio che s’è creato con la trattativa tra Usa e Talebani, e mentre il governo non s’è pacificato coi ribelli (nonostante attualmente sia in piedi un flebile cessate il fuoco), i baghdadisti stanno crescendo e cercando spazi.

Attentati terroristici come quello spietato contro la nursery di uno dei più frequentati ospedali di Kabul servono al gruppo — che nel Paese ha un’entità territorializzata che si fa chiamare Stato islamico nel Khorasan – a fomentare paura e insicurezza, a destabilizzare le istituzioni e a cercare bacini di proselitismo nella reazione di pancia dei giovani scontenti per le condizioni di vita.

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