Tutte le domeniche, nel pieno rispetto delle strettissime misure sulla tutela della salute, padre Franco Mella celebra Messa in un giardinetto vicino alla Lennon Wall, un muro mosaico creato anni fa accanto al palazzo del governatorato di Hong Kong, ai tempi del movimento degli ombrelli.
Era uno spazio di incoraggiamento e solidarietà emerso durante quella iniziativa democratica del 2014 e di cui Mella è stato protagonista, anche nella realizzazione del muro creativo di un movimento che aveva scelto l’ombrello come simbolo di resistenza. Lui domenica scorsa era lì, con i fedeli contati che la legge consente, sommersi da un presidio di centinaia di agenti.
Non sarà stata certamente una novità quel dispiegamento di forze, chi opera in contesti come Hong Kong lo saprà, ma l’altro giorno anche padre Mella deve aver sofferto vedendo 360 arrestati, tra i quali tanti ragazzi e ragazze delle superiori.
Era il primo giorno in cui potevano tornare a scuola dopo il lockdown per il virus. Li hanno portati via con il loro grembiule scolastico. Dunque il lockdown è stato una pausa nella vita di Hong Kong che non ha modificato le intenzioni di Pechino. Forse però è cambiata la Piazza, visto che oggi lì ci sono i giovanissimi. Un aspetto molto importante per l’oggi e per immaginare il domani.
Missionario del Pime, da tantissimi anni ad Hong Kong, padre Mella parla con pacatezza, ottimismo ma anche evidente determinazione, ricordando anche i fermenti milanesi degli anni Settanta: quella era la sua Milano, e le speranze di un uomo ovviamente cambiato rinnovano sempre in lui le verità di don Milani.
Desideri di cambiare, di migliorare, di avanzare nella libertà. Mentre ricostruisce i fatti e la sua partecipazione al Civic Forum promotore dei cortei cominciati nello scorso anno, sembra poterci far capire con grande linearità che i movimenti ovviamente non vanno idealizzati ma accompagnati. Lui, affascinante figura di prete-missionario-cantautore- attivista che da anni accompagna con la sua chitarra gli accordi che si cercano nel Forum e nella società, non esita a partire di qui, dalle proteste cominciate nell’anno passato: “Quando milioni di persone sono scese in piazza ad Hong Kong se avessero voluto avrebbero potuto fare ben altro che sfasciare qualche vetrina, come avvenne sul finire dello scorso anno. Così mi chiedo chi le abbia sfasciate quelle vetrine. Gruppi di manifestanti estremisti, più inclini alla violenza? O infiltrati della polizia che volevano screditare il movimento? Il tipo di arresti, le modalità stesse di quegli arresti, hanno indicato la seconda ipotesi.”
È anche per questo che nelle ore drammatiche dell’oggi ribadisce che “al movimento ricordiamo sempre che non si deve mollare il dialogo. Il dialogo ci deve essere, perché non ha alternative” e infatti chi non lo vuole usa i provocatori per farlo fallire, presentarlo come impossibile.
“Ma il difetto a me appare nel manico. L’accordo su un Paese con due sistemi non va tanto bene. Perché per forza di cose crea l’illusione nell’uno di essere migliore dell’altro. Cina comunista da una parte e capitalista dall’altra… Ma la Cina comunista non sperimenta quel sistema delle comunità cristiane delle origini di cui parla qualche sognatore, e il capitalismo di Hong Kong non ricorda quel sistema che mette impresa e lavoro al servizio di tutti. Il grande capitale qui sta con le autorità, in piazza ci sono gli studenti.”
Dunque questa Cina a doppio sistema può generare in alcuni ambienti della protesta un’idea del tipo “Hong Kong First”, cioè dei due sistemi il nostro è quello buono, il vostro quello cattivo. “Ma così si perderebbe il rapporto con il resto del popolo cinese. Una grande intuizione foriera di importanti sviluppi in questo senso è stata quella del Vaticano, perseguita con grande acume dal cardinale Parolin. Quell’accordo provvisorio parla a tutti i cinesi e lo fra partendo dalla libertà religiosa, da dove si parte per procedere. Certo non c’era alcun tradimento della chiesa sotterranea, ma un discorso importante che guarda avanti sulla via della libertà”, dice padre Mella. “Lo so che ci sono quelli che non la pensano così, ci parlo con loro, anche con il cardinale Zen – prosegue – lui recentemente ha fatto delle scelte personali che non ho capito… Direi che comunque se non si avvia un processo non si procede, questo è certo”.
Ma torniamo ad Hong Kong, guardando bene a quanto è successo in questi giorni. A Pechino hanno votato un emendamento della legge base che regolamenta Hong Kong. Ci vorrà tempo per sapere esattamente cosa prevede, il testo va scritto. Ne conosciamo però la cornice, visto che si è dato mandato al comitato permanente dell’Assemblea di approvare una o più leggi per “impedire, fermare e punire ogni atto o attività che metta in pericolo la sicurezza nazionale, come separatismo, sovversione del potere dello Stato, terrorismo (…) o attività di forze straniere che interferiscono negli affari di Hong Kong. A Pechino hanno votato duemilanovecento persone e c’è stato un voto contro e sei astenuti. Perché? È una prova di forza? “Io credo che sia un modo per dire , “vedete, chi dissente può farlo”. Un contrario, sei astenuti…. Il regime non vuole carpire che non è così che si affrontano e ancor meno che si risolvono i problemi. Non capisco…”, risponde il missionario.
Viene normale domandare se il nuovo contesto, questo clima da Guerra Fredda, non abbia favorito i falchi. “No, io penso che facciano oggi quel che volevano fare già allora. Colpisce che contemporaneamente al voto di Pechino il parlamento locale, qui ad Hong Kong, abbia votato per proibire che l’inno nazionale possa essere usato, per esempio, per canzonette che magari irridono Pechino.”
Dunque questi due voti segnano una momento di svolta per Hong Kong? “Beh, cosa ci sarà nel testo legislativo votato da Pechino? Bisogna aspettare, vedere. Ma la svolta per me è stata l’arresto di tutti i leader dell’opposizione. Li hanno arrestati tutti, moderati e duri, falchi e colombe, destra e sinistra. Tutti dentro. Quello è stato il “momento”. Ora arriva la polizia, in massa.”
Ieri in piazza c’erano 3500 agenti, perché temevano proteste. Eppure sono già ottomila le persone arrestate. Non tutti gli agenti sono di Hong Kong, questo è evidente, come è evidente che ora ad Hong Kong c’è una grande attesa per sapere cosa preveda davvero il nuovo testo sulla sicurezza. Cosa faranno i giovanissimi di Hong Kong? “Questo si capirà più avanti, per adesso sanno che qualcuno gli ricorderà che l’obiettivo deve rimanere il dialogo, parlando a tutti i cinesi, che mi sembra di aver capito sia quello che i veri nemici della libertà non vogliono, anzi temono”.