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Autunno caldo, ecco cosa aspetta il governo. Lo spiega Lina Palmerini

La vera opposizione al governo? Arriva dalle regioni. L’incertezza sulle riaperture è comprensibile, quella sulla data delle elezioni molto meno. Il governo (e le forze di maggioranza Pd e M5S) devono trovare un modo per parlare con il nord produttivo, da lì partirà la ripresa che coinvolgerà tutto il Paese. Lina Palmerini, firma di punta del Sole 24 Ore, guarda alle difficoltà dell’esecutivo con lucidità: l’Italia ha passato mesi difficili, ma non saranno più semplici quelli che verranno. In autunno si aggraverà il quadro economico del Paese, e ancora prima l’estate deve essere affrontata con pragmatismo e praticità considerando le differenze tra i diversi sistemi sanitari regionali, senza spostare il dibattito sul piano ideologico.

Palmerini, sulle riaperture si gioca l’unità nazionale?

Secondo me non è tanto un tema di unità nazionale. Sulle riaperture si gioca la capacità di coordinamento del governo e anche di dare delle linee di indirizzo chiare e condivise da tutti, appunto governo e regioni. Serve uno sforzo di coordinamento, una regia, non ci può essere soltanto la conflittualità.

Una regia che è mancata?

Credo sia mancata un po’ di chiarezza su queste linee guida su come riaprire. Anche il comitato tecnico scientifico aveva dato una serie di indicatori e sulla base di questi si deve agire. Se poi gli indicatori non corrispondono alle cifre che danno alcune regioni, come la Lombardia e il Piemonte, si deve avere anche il coraggio di bloccare la riaperture per specifiche realtà. Io non trovo del tutto sbagliate le preoccupazioni di alcuni governatori del sud Italia o della Sardegna.

Ci spieghi meglio.

Bisogna considerare che le regioni hanno una diversa capacità di strutture sanitarie nel territorio. Questo è un aspetto che va considerato: le capacità sanitarie della Sardegna sono molto diverse da quelle dell’Emilia-Romagna o della Lombardia. Anche queste riflessioni, quindi, devono entrare nella discussione tra governo e regioni. Mettere davanti a questo ragionamento la coesione e l’unità nazionale rischia di ideologizzare il dibattito che invece dovrebbe essere affrontato dal lato pratico della gestione dei contagi.

Alessio D’Amato, assessore alla sanità del Lazio ha fatto sapere che se il governo cede alle pressioni politiche sulle riaperture prenderanno delle contromisure, e così anche altre regioni. Troppo potere in mano alle regioni o poca volontà di decidere da parte del governo?

Entrambi subiscono una pressione forte: una regione come ad esempio la Lombardia naturalmente ha la necessità di dimostrare che non è “un caso”, che non è il malato d’Italia, che non è l’eccezione. Ha la necessità di recuperare rispetto a quello che ha vissuto. È chiaro che per questa regione la riapertura vuol dire un ritorno alla normalità, per i cittadini, per gli elettori, ne ha bisogno. Però è un’ansia politica che si deve confrontare con i dati reali.

Ansia politica che crea pressione, dunque.

La pressione vuol dire dimostrare di essere usciti da quella fase di emergenza e di non essere più l’eccezione italiana. Tanto è vero che una settimana fa Salvini ha fatto una riunione al Pirellone proprio alla sede della regione Lombardia, con Fontana, gli assessori leghisti e con i vertici leghisti lombardi lanciando questo messaggio: la Fase 3 vedrà la Lombardia tornare ad essere un esempio per l’Italia.

E il governo?

Il governo dall’altra parte ha il timore di perdere il controllo. Ha quindi la necessità di stabilire una riapertura uguale per tutti perché altrimenti gli sfugge la regia di cui parlavo prima. Se no corre il rischio di essere sorpassato da tutte le regioni e non riuscire più a coordinare niente. Soprattutto, non può rischiare di perdere il controllo su quelle regioni in cui i governatori stanno dimostrato una personalità molto forte, competitiva sia con quella del premier che con quella dei ministri. Si cerca di dire una data sola anche per questo.

All’incertezza sulle riaperture si somma il rinvio della decisione sul voto per le prossime regionali. Anche qui, un modo per evitare lo scontro frontale con le regioni o debolezza del governo?

Questo è emblematico, perché mentre prendere una decisione sulle riaperture sulla base del contagio ha una sua complicazione e tante implicazioni che riguardano il giudizio dei cittadini-elettori,  sulla data delle elezioni francamente non si capisce quale possa essere l’ostacolo. Il rinvio dimostra che c’è un’incapacità del governo di coordinarsi con le regioni e di stabilire un dialogo fluido. Si oscilla tra la minaccia e il pugno sul tavolo e l’essere troppo remissivi, ancora non si è trovato un punto di equilibrio.

La ragione?

Se oggi può esserci un’opposizione davvero insidiosa per il governo questa è fatta dalle regioni. Pensiamo a De Luca, Zaia, Bonaccini, persino Toti che veniva fuori da una iniziativa politica non proprio di successo, ecco questi sono presidenti di regione con una personalità forte che si è rafforzata ancor più in questi mesi trasformandosi in popolarità. L’opposizione vera a questo governo, al momento, sono loro, non solo Salvini e Meloni, perché hanno una preso forte sui territori e possono schierarli contro Roma. Ecco perché il governo appare balbettante anche su un tema come l’election day che poteva risolversi facilmente.

Chi dovesse volgere lo sguardo verso l’Italia dall’estero, ora, cosa vedrebbe?

Dipende da quale punto di vista. Sicuramente l’aspetto più preoccupante è quello economico. Sicuramente l’Italia ha incontrato il virus in un momento di debolezza, con una crescita già vicina allo zero e adesso i dati della Banca d’Italia parlano di un crollo del Pil attorno al 10%, un disastro; Bonomi parla di un numero di disoccupati in autunno tra i 700mila e 1milione; abbiamo una stagione di turismo incerta con previsioni negative e si tratta di un asset importante quindi chi guarda l’Italia da fuori, ma anche noi che la guardiamo da dentro, abbiamo una grande preoccupazione che si rifletterà necessariamente sul governo e nel rapporto che dicevamo con le regioni.

In che senso?

Nella competizione con i governatori emergeranno delle figure di leadership per il futuro, come successe in passato con il partito dei sindaci creato da una legge particolare che li metteva molto in prima linea. Ora questa emergenza – e il fatto che la sanità sia regionale – ha fatto nascere delle leadership territoriali che sicuramente avranno anche un ruolo nell’emergenza economica, come lo hanno avuto in quella sanitaria.

Al netto degli scontri interni, il governo ha incassato la vittoria su Recovery Fund: l’Italia otterrà 170 miliardi tra trasferimenti e prestiti, ma se ne parlerà l’anno prossimo. La vera partita per la classe dirigente si giocherà sul campo dei fondi europei?

È un banco di prova per questa classe dirigente e per questo governo. È vero che i soldi arriveranno, ma sarà l’anno prossimo, saranno a fondo perduto ma comunque con delle condizionalità (come utilizziamo i soldi?) e si chiederanno delle riforme come hanno già detto sia Gentiloni che Sassoli. Quello che vedo oggi è che già si sta litigando sui soldi: ieri Di Maio parlava di un taglio delle tasse, mentre oggi il ministro Amendola parla di spesa corrente e investimenti. Questa è la prova che dovrà affrontare la classe di governo: una visione su come usare questi soldi al momento non c’è, e non lo dico io, ma lo stesso governo. E aggiungo una cosa.

Prego.

Questa emergenza mette il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle davanti a un altro grande e grave problema: la loro difficoltà a dialogare con il nord e con le sue classi produttive, nord da cui deve ripartire il rilancio economico. Il sud è importante, ma il rilancio economico non può che partire dal motore del nord, quindi il dialogo obbligato è con quelle parti produttive. Un mondo al quale Pd e M5S non sono mai riusciti ad arrivare. Su questo credo si necessario lavorare.


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