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Cina, Russia, Europa. La politica estera di Biden spiegata da Julie Smith (GMF)

Julie Smith è senior advisor del German Marshall Fund. Prima di entrare a far parte del prestigioso think tank di Washington DC, è stata a lungo impegnata sul fronte della sicurezza nazionale e della politica estera. E’ stata alla Casa Bianca durante l’Amministrazione Obama al fianco dell’allora vicepresidente Joe Biden, con il ruolo di vice ai National Security Council. A distanza di quattro anni fa, il candidato Presidente per i Democratici deve fare i conti con un contesto globale completamente cambiato. Il Covid-19, le campagne di propaganda di Russia e Cina per accrescere la propria egemonia internazionale, la crisi della leadership americana in Asia e Medio Oriente. Sono tutte sfide che Joe Biden è in grado di affrontare, garantisce Smith che lo conosce bene. Ecco perché.

Smith, che effetto sta avendo la pandemia sulla postura internazionale degli Usa?

Purtroppo sta avendo un enorme impatto sulla leadership americana. Solitamente è nelle crisi globali che questa viene fuori, è in questi casi che gli Usa riescono a formare coalizioni. Lo hanno fatto George W. Bush con l’Aids e Barack Obama con l’Ebola. Trump non riesce a coalizzare il G7 o il G20 per combattere il virus, e nemmeno si presenta alla Conferenza sui vaccini nel suo stesso Paese. Così facendo fa sorgere dubbi sulla leadership americana.

Un favore alla Cina?

La Cina ha colto questa occasione per ritrarsi come leader del mondo, inviando una quantità immensa di assistenza a 23 Paesi europei. Ognuno di questi assieme agli aiuti ha ricevuto un chiaro messaggio: gli Usa non sono in grado di assolvere al loro ruolo, la Cina è pronta a prendere il loro posto.

Messaggio, o propaganda?

Propaganda, certo. Pechino sta facendo di tutto per distrarre le persone dal fatto che il virus è nato in Cina. Così come sta mettendo sotto pressione i Paesi europei perché ignorino Taiwan, o non diano troppo credito agli aiuti provenienti da altri Paesi.

Gli Usa potevano fare di più, e più in fretta?

Purtroppo è la verità. Quando l’Italia ha chiesto assistenza gli Stati Uniti sono rimasti in silenzio. Poi gli aiuti sono arrivati, in quantità, e questo è un bene, ma sono stati inviati troppo tardi. Molti italiani hanno avuto l’impressione che né gli Usa né l’Ue siano giunti in loro soccorso nel mezzo della crisi. Non mi sorprende dunque che una parte dell’opinione pubblica italiana lodi gli aiuti cinesi. Ma deve sapere che non saranno gratis.

E se le dico che un sondaggio (di Swg, ndr) dice che gli italiani preferiscono Cina e Russia agli Usa?

Sono senza parole. È la prova concreta di quanto sia efficace la strategia cinese, di quanto in profondità si siano spinti.

Perché è stato perso tanto terreno?

Credo che un motivo stia nell’assenza di alternative valide. Penso alla corsa per il 5G. Gli Usa mettono in guardia i loro alleati. Chiedono di cambiare fornitori da un giorno all’altro, perché le aziende cinesi sono un rischio. E lo sono, su questo non ci piove. Ma bisogna offrire un’alternativa in tempi utili.

Ad esempio?

Huawei è un pericolo, è giusto mettere in guardia gli alleati dal rischio di spionaggio. Ma non ci si può limitare a minacciare di sospendere la condivisione di intelligence. Gli Stati europei sono stati posti di fronte a un bivio scomodo, bisogna fare una contro-offerta. Nokia ed Ericsson sono una valida alternativa, ma nel futuro, non oggi.

Sono passati ormai molti anni dal suo ultimo giorno alla Casa Bianca. Quanto è cambiato il mondo da allora?

Enormemente, a tratti è irriconoscibile. L’ascesa della Cina, il ritorno della Russia sullo scacchiere internazionale. I pericoli per lo stato di diritto. Sono realtà con cui dovrà fare i conti chiunque sia eletto alle elezioni di novembre.

Anche la politica estera americana è cambiata così radicalmente?

Rispetto allora, oggi esiste un fronte trasversale della politica americana che chiede un disimpegno internazionale, di imparare dalla lezione dell’Iraq e dell’Afghanistan. Un fronte che non vuole missioni infinite, né un budget stellare per la Difesa.

Dove si colloca Joe Biden? Qual è il segno distintivo della sua idea di politica estera?

L’enfasi sugli alleati. Biden si batterebbe per rivitalizzare le alleanze. Trump vuole competere contro Cina e Russia da solo. Biden lo farebbe insieme ai suoi alleati, non solo con i Paesi europei, ma con tutte le democrazie, per mettere alle corde i leader autoritari. Dà enorme importanza alla difesa della democrazia liberale nel mondo.

Oltre all’amministrazione Usa, sembra che anche alcuni democratici lo considerino troppo “morbido” nei confronti della Cina, il primo rivale sistemico degli Usa.

Curioso, perché l’approccio di Trump alla Cina è stato una continua montagna russa. A volte ha scelto l’inerzia: non ha fatto alcuna pressione a Pechino per chiedere le informazioni di cui avevamo bisogno sul virus. Si è complimentato con Xi Jinping per la sua trasparenza, mentre copriva e censurava la libera informazione. Altre volte ha optato per lo scontro frontale. Sul fronte commerciale, ad esempio, ha imposto tariffe su acciaio e alluminio, senza pensare che il conto sarebbe arrivato ai lavoratori americani.

Perché con Biden le cose dovrebbero cambiare?

Joe ha lavorato nel mondo delle relazioni internazionali per più di quarant’anni. È stato uno dei più influenti presidenti della Commissione esteri del Senato di sempre, e ha attraversato momenti turbolenti della storia americana. Sono stati commessi errori? Certo, ma lui è il primo a riconoscerli e a farne tesoro. Riflette, prima di agire. Ha tutte le carte in regola.


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