La commemorazione del centesimo anniversario della nascita di Karol Wojtyla porta, o riporta, una strana discussione, tanto nel testo che ha scritto Benedetto XVI tanto in quello che ha scritto il cardinale Camillo Ruini. Nella sua lettera letta a Cracovia il papa emerito ha scritto che “Questa sensazione che nulla fosse certo più, che tutto potesse essere messo in discussione, fu ulteriormente alimentata dal modo in cui fu condotta la riforma liturgica.”
Il cardinale Ruini invece ha affermato in un’intervista che con Giovanni Paolo II “ la Chiesa è uscita da quella posizione difensiva sulla quale era stata a lungo costretta dalla crisi del dopo Concilio e ha potuto riprendere l’iniziativa, soprattutto nell’ambito dell’evangelizzazione”.
In Ratzinger il tema nessuno lo troverà nuovo, e a me sembra una questione che lo riguarda per la sua storia, il ruolo che ebbe nel Concilio e nelle contestazioni tedesche successive. Tutto questo lo ha portato da tempo a parlare delle responsabilità di eccessi post-conciliari.
Gran parte del suo pontificato ha ruotato attorno alla ricerca di una lettura, una chiave ermeneutica, del Concilio non atto di discontinuità con la Chiesa preconciliare ma poi portato verso eccessi dal dopo Concilio. Tutto questo ha significato molto per la discussione sulle responsabilità, ad esempio per gli abusi sessuali.
Nella lettera agli irlandesi papa Ratzinger ha scritto di una responsabilità proprio degli eccessi del dopo Concilio, Papa Francesco invece nella lettera ai cileni ha parlato chiaramente di responsabilità del clericalismo, che spiega meglio, oltre agli abusi, anche frequenti coperture di essi.
Differenziare tra Concilio e dopo Concilio ovviamente è lecito, come parlare di una riforma e della sua attuazione. Sembra che sia una lettura storica sulla quale emergono differenze tra la prospettiva del papa emerito, che discutendo di questo parla anche di sé e delle sue posizioni conciliari e post conciliari, e del papa regnante, Francesco, che ha vissuto in una Chiesa molto diversa, con una sua storia che non è stata certo meno drammatica, anche per via dei regimi e dei loro rapporto settori episcopali.
Ma questo nelle parole del cardinale Ruini assume un tratto diverso. La breve frase citata sembra contrapporre una stagione, quella di Paolo VI, protagonista anche del dopo Concilio, e quella di Giovanni Paolo II. E il punto non sta in comportamenti, o problematiche che dai comportamenti possono essere emerse, ma atti di governo ecclesiale. Gli atti ai quali si potrebbe essere indotti a pensare sono quelli della lunga e fruttuosa stagione della Ostpolitik.
Caratterizzata dalla grande diplomazia di Agostino Casaroli e Achille Silvestrini. Quella diplomazia fu protagonista di Helsinki, quindi a dire che fu protagonista del grande accordo che ha consentito la nascita della Csce, con la quale un riconoscimento di fatto produsse un allentamento delle violazioni dei diritti umani.
Il cardinale Casaroli, ordinato vescovo proprio da papa Montini e protagonista della Ostpolitik, divenne Segretario di Stato di Giovanni Paolo II, artefice del miracolo diplomatico che ha consentito il suo primo viaggio polacco, osteggiato da Mosca, ma reso possibile dalla maestria di Casaroli. Ministro degli esteri di Paolo VI, presa la guida della Segreteria di Stato vaticana fino al momento di andare in pensione, nel 1990.
Dunque la novità che certamente Giovanni Paolo II ha portato, per cui occorreva capire che il sistema sovietico non è un destino ma una malattia guaribile, non fu vissuta in contrapposizione al pontificato di Montini.
In certo senso la chiave ermeneutica del Concilio come rottura con la Chiesa precedente il Concilio, che Ratzinger non condivide, sembra tornare nelle parole di Ruini, che in questa breve citazione appare orientato a vedere una contrapposizione tra la Chiesa affermativa di Giovanni Paolo II e quella precedente, la Chiesa del dopo Concilio, in crisi e sulla difensiva.
Il punto che questa lettura del cardinale Ruini sottovaluta sta nel tratto distintivo del pontificato di Wojtyla: Chiesa aperta, Chiesa del dialogo che riconosce gli altri, le altre religioni, quindi pienamente conciliare, visto che questo nella Chiesa pre conciliare non era dato.
Se la critica ratzingeriana al dopo Concilio, dai tempi dei suoi dissapori con la scuola di Bologna, alla sua decisione sulla reintroduzione facoltativa della messa in latino e ad altri scelte importanti, sembra una polemica che origina dai comportamenti e dalle vicende di quel tempo certamente complesso soprattutto in Europa, il punto esposto dal cardinal Ruini sembra capovolgere la presa di distanza da chi vede in bianco e nero, e vedere in nero e bianco: crisi difensiva prima, ripresa affermativa dopo.
Questo punto non riguarda il pontificato di Giovanni Paolo II, che certamente ha portato linfa nuova sullo scacchiere orientale ma anche nel dialogo interreligioso, che certo Concilio e dopo Concilio hanno varato e lanciato. Questo punto sembra riguardare soprattutto i meriti di Paolo VI, tutto sommato per la Chiesa anche lui Santo.
Santo io credo anche per il grande sforzo di governo dell’evento conciliare, della scelta della libertà di coscienza prima rifiutata, dei diritti umani, primi presentati come diritti di Dio. E tanto altro che consente di parlare non di stagione difensiva, ma di stagione che tra mille difficoltà ha rimesso la Chiesa nel mondo, e con il mondo.