Decoupling e reshoring sono le due parole chiave nell’attuale dibattito geopolitico, geoeconomico e geostrategico contraddistinto dalle tensioni crescenti, in particolare con il coronavirus, tra Stati Uniti e Cina: la prima indica la rilocalizzazione delle imprese strategiche; la seconda, invece, indica il rientro delle stesse in patria. Di decoupling intenso come disaccoppiamento delle economie si leggesse spesso pensando a Stati Uniti e Cina. Fenomeni di reshoring, invece, sono visibili soprattutto in Paesi geograficamente vicini al Dragone, come il Giappone. Basti pensare che alcuni giorni fa il governo di Tokyo ha deciso di avviare un coordinamento con oltre 400 imprese nazionali per aumentare la produzione domestica di presidi medici, a cominciare dai farmaci generici, ritenuti una delle aree più vulnerabili della catena di forniture sanitarie.
Ma quanto i Paesi occidentali sono dipendenti dalla Cina? Lo spiega una ricerca del think tank britannico Henry Jackson Society, centro già impegnato, come raccontato da Formiche.net, nella richiesta di riparazioni alla Cina per il coronavirus. I soli membri dell’alleanza anglosassone d’intelligence Five Eyes (ossia Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti) dipendono dalla Cina per 831 diverse categorie di importazioni come laptop e telefoni, ma anche ingredienti farmaceutici necessari per antibiotici, antidolorifici e antivirali. Di 831 categorie, 260 riguardano elementi delle infrastrutture critiche nazionali.
Il report nasce dopo che un gruppo di deputati britannici hanno scritto al segretario al Commercio di iniziare a ridurre la dipendenza da Pechino. “Il Regno Unito ora ha una chiara scelta nel mondo post-Covid”, scrive uno degli autori del documento, James Rogers. “Continuare su un sentiero che l’ha visto diventare sempre più dipendente dalla dittatura comunista che ha fatto precipitare l’Occidente in questo disastro. Oppure, stare con i suoi alleati chiave e iniziare un graduale decoupling”.
Gli esperti della Henry Jackson Society hanno preso come riferimento i dati Comtrade, elencati dalle Nazioni Unite, per definire la dipendenza strategica. Un Paese si definisce strategicamente dipendente dalla Cina per un bene specifico quando più del 50% delle importazioni di esso provengono dalla Cina, è un importatore netto di quel bene e la Cina controlla più del 30% del mercato globale.
Nello specifico l’Australia è strategicamente dipendente dalla Cina per 595 categorie di beni (167 con applicazioni nelle infrastrutture critiche). La Nuova Zelanda per 513 (144). Gli Stati Uniti per 424 (144). Il Canada per 367 (83). Infine, il Regno Unito per 229 (57).
Come procedere con il decoupling? Nel documento vi sono diversi interventi di autorevoli politici impegnati su questo fronte. Il senatore statunitense Marco Rubio invita i Five Eyes a intraprendere “strategie incentrate sulla coalizione per rafforzare la resilienza” davanti “alle sfide poste dalla Cina” che “definiranno il XXI secolo”. Il deputato canadese Peter MacKay raccomanda di limitare “il commercio con Stati imprevedibili come la Cina” mettendo anche in guardia dalla minaccia della disinformazione cinese “alla sicurezza nazionale del Canada” la cui portata, scrive, non è stata ancora compresa chiaramente. Il parlamentare britannico Bob Seely, invece, chiede una riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio che preveda anche di cambiare la classificazione della Cina come “nazione in via di sviluppo” e mettere in piedi un regime di sanzioni contro le imprese cinesi che violano la proprietà intellettuale.
E se la soluzione passasse proprio dai Five Eyes? Il report suggerisce due cose. La prima: che gli altri membri seguano l’esempio statunitense della blacklist per i Paesi coinvolti in pratiche commerciali sleali o furti di proprietà intellettuale. La seconda: istituire un gruppo di lavoro per esplorare la fattibilità di una zona di libero scambio Five Eyes. Un’ipotesi che potrebbe interessare perfino altri Paesi — anche non anglosassoni — che già in passato hanno mostrato interesse verso l’alleanza: basti pensare che la Five Eyes a fine gennaio è stata allargata a Francia, Giappone (il Paese sopracitato in ottica reshoring) e Corea del Sud, per aiutare a contenere la minaccia dei programmi balistico e nucleare della Corea del Nord. Con un patto commerciale, l’alleanza potrebbe assumere le sembianze di un vero e proprio patto anticinese.