Il caso delle mire cinesi sul porto di Taranto sbarca a Bruxelles. L’eurodeputata della Lega Anna Bonfrisco ha depositato un’interrogazione per la Commissione Ue in cui chiede di accendere i riflettori comunitari sulla possibile vendita di un’infrastruttura strategica di portata europea a un’azienda legata al Partito comunista cinese (Pcc).
I fatti sono noti. La società bolognese Ferretti ha manifestato interesse per la realizzazione di un polo produttivo e di un centro di ricerca nell’area “ex Belleli” del porto pugliese, ha scritto Domenico Di Sanzo sul Giornale. Dal 2012 l’86% del pacchetto azionario dell’azienda è nelle mani del Weichai Group, gruppo di proprietà dello Stato cinese e campione del manifatturiero made in Cina.
L’interessamento è stato concretizzato nei giorni scorsi, ma non è un mistero che l’hub di Taranto sia nel mirino dei cinesi. Il porto, assieme a Genova, Trieste, Ravenna, Venezia, Palermo e Gioia Tauro, figurava già fra le infrastrutture interessate dalla Silk Road, la nuova Via della Seta marittima di Xi Jinping inaugurata in Italia con la visita ufficiale del presidente cinese nel marzo dell’anno scorso. A novembre il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, in visita all’expo sull’import di Shanghai, aveva parlato di “un interesse che porterà presto ad iniziative” a Taranto.
Detto fatto. Ma la presenza cinese dietro la Ferretti, azienda d’eccellenza nella cantieristica navale che, nonostante il salvataggio di Weichai otto anni fa, non gode di buona salute finanziaria (sempre a novembre, ha rinunciato all’ultimo alla quotazione in Borsa), ha già innescato la polemica politica. Perché Taranto, oltre che un importante porto italiano, è un terminale di non secondaria importanza per l’Ue e per la Nato.
Nei porti tarantini di Mar Piccolo e Mar Grande la Nato ha infrastrutture militari strategiche. A partire da una base navale, dove risiede lo Standing Nato Maritime Group Two (Snmg2), a dicembre passato dalla guida del comandante canadese Josée Kurtz al contrammiraglio italiano Paolo Fantoni, che è subentrato con la fregata Carabiniere fino al prossimo giugno.
La presenza Nato fa di Taranto un hub strategico per il fianco Sud dell’alleanza. Le Snf (Standing naval forces) stanziate nel porto rientrano nel Marcom (Allied maritime command) e partecipano all’operazione anti-terrorismo “Operation Sea Guardian”, al contrasto al traffico di migranti nel mar Egeo, a esercitazioni congiunte.
Di più. Taranto è anche strategica per l’Ue. Perché lì transitano le navi dell’operazione Ue di contrasto al traffico di migranti Eunavformed Irini (erede dell’Operazione Sophia), dal primo aprile scorso sotto la guida del contrammiraglio Fabio Agostini.
Di qui non sorprende l’interrogazione della Bonfrisco all’Europarlamento. “Tenendo conto che i porti in generale rivestono un ruolo fondamentale nella sicurezza della fornitura di energia e di merci, e che come infrastrutture strategiche consentono l’attuazione della sicurezza e sorveglianza marittima, e che generano big data (imprese marittime, utenti, autorita’ locali e centrali), e che il porto di Taranto ha una collocazione strategica unica per quanto riguarda la politica di vicinato verso i Paesi Mena (dai quali gli SM subiscono da tempo minacce diversificate che originano da grande instabilità) – scrive l’eurodeputata del Carroccio – si chiede se la Commissione valuti coerente con la Pesc e con la cooperazione in ambito Nato la partecipazione di finanziamenti cinesi in attività produttive private che si espleteranno nell’area portuale”.
Non è usuale che all’Europarlamento, emiciclo dove notoriamente prevalgono quasi sempre le alleanze “nazionali” rispetto a quelle politiche, un’eurodeputata chieda alla Commissione di approfondire una scelta del proprio governo. Ma il rischio che il porto di Taranto finisca in mano al governo cinese è di interesse anche degli altri Paesi membri, spiega la Bonfrisco raggiunta da Formiche.net.
“Il rischio è che l’operazione dia inizio a un riequilibrio geopolitico. Non possiamo costituire un pericolo per noi e per l’Europa intera. Accettare il rischio che la presenza cinese apra la strada anche solo ad attività di spionaggio è per noi inaccettabile”, dice Bonfrisco, unica italiana all’interno della delegazione Ue-Nato. Il tema era già stato sollevato a seguito dell’interessamento di aziende di Stato cinesi per l’infrastruttura portuale di Venezia che, per contiguità con infrastrutture strategiche come il Mose o l’Arsenale militare, possono costituire un rischio per la sicurezza.
“Voglio porre questa questione perché si tratta di un pericolo che riguarda le nostre infrastrutture strategiche e quelle della Nato, e dunque tanto cittadini italiani quanto quelli europei”, conclude l’eurodeputata.