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Conte, M5S e il neneismo al governo. Parla Sofia Ventura

Né di destra, né di sinistra. Il Movimento Cinque Stelle è una forza “neneista”, dice Sofia Ventura, politologa dell’Università di Bologna. Forse per questo, suo malgrado, non riesce a fare a meno della figura di Giuseppe Conte. Per rimanere al governo hanno bisogno di rimanere in simbiosi. Anche perché non ci sono altri leader o alternative in vista.

Ventura, sulla sanatoria dei migranti alla fine il Movimento ha ceduto.

Più che cedimento, è un compromesso politico. Non risolve davvero il problema, ma tiene il governo in equilibrio. È un compromesso fra una forza populista, il M5S, che vive di retorica e ideologia, e il Pd, una forza politica senza una visione definita, che come il suo alleato ha un unico imperativo: rimanere al governo.

Sul Mes si ripeterà il braccio di ferro?

Il copione è già scritto. Faranno resistenza, poi cederanno, dopo qualche piccola concessione. Vera o finta che sia, il M5S deve mostrare la sua contrapposizione alle élites, alle istituzioni matrigne, al “malaffare”. La battaglia contro la sanatoria e quella per il Mes non fanno eccezione. Su questo è davvero l’altra faccia della medaglia della Lega.

Sente ancora le sirene gialloverdi?

Non sono sirene, il Movimento è questo. Vive di un populismo “neneista”, né di destra né di sinistra. Ha un elettorato che si può spostare da un fronte all’altro, e non vuole regalarne un’altra fetta a Salvini.

E la svolta progressista, il patto rossogiallo?

Parliamoci chiaro: questa intesa non era nella natura grillina. Hanno provato a presentarsi come progressisti e riformisti per scrollarsi di dosso il passato gialloverde e giustificare l’accordo con il Pd, non ci sono riusciti. Basta guardare come Bonafede ha risposto alle accuse di Di Matteo. Un ministro serio, non populista, lo avrebbe denunciato per calunnie.

Con Conte però la virata a sinistra c’è stata. O no?

Davvero? Non me ne sono accorta. I decreti sicurezza sono ancora lì, la legge sulla legittima difesa pure. Sì, i toni sono cambiati, l’immigrazione non è più al centro, ma sento tante parole e pochi fatti.

Chi è allora Giuseppe Conte?

Un grande equilibrista. Prende poche decisioni davvero nette, perché non vuole scontentare nessuno. Non cerca una fisionomia chiara, perché ha solo da guadagnare da questa ambiguità. Ripeto, c’è un solo vincolo che tiene insieme Pd, M5S e Conte: restare al governo. All’interno di questo schema, le due forze di maggioranza cercano di curare la loro immagine.

Chi ci riesce meglio?

Il Pd è meno capace. Si è identificato con questo governo. Non ha un frontman, perché certo il segretario Zingaretti non si può considerare tale: lo vediamo poco, e quando parla non incide. Il partito ormai è tornato al modello oligarchico. Chi vota Pd lo fa più per esclusione che per convinzione.

Di Maio può tornare frontman dei Cinque Stelle?

Fin dalla sua nascita il Movimento ha avuto un solo frontman: Beppe Grillo. Di Maio non è riuscito a prendere il testimone, figuriamoci Crimi. Così oggi il Movimento vive una gestione plurima, conflittuale, per certi versi anche interessante. Paradossalmente, è tenuto in vita dalle correnti interne.

Professoressa, Conte ha paura di Matteo Renzi?

Renzi è un problema, su questo ci sono pochi dubbi. I numeri gli danno ragione: se sfila i suoi dalla maggioranza la permanenza di Conte è a rischio. Non è da escludere che lo faccia, ma ora il prezzo da pagare sarebbe troppo alto. In questo strano ruolo di opposizione di maggioranza riesce ad avere una voce. Credo che Conte abbia fiutato da tempo il suo bluff.

Chiudiamo con un pronostico. Quante chances ha Conte di rimanere a Palazzo Chigi?

50 e 50. Ci sono troppi fattori in gioco. Solo una cosa è certa: Conte non ha alcuna intenzione di mollare prima della fine della legislatura. Una volta tagliato il traguardo, potrà raccogliere il suo capitale politico e spenderlo come meglio crede. Ma siamo nel mezzo di una pandemia, e quel traguardo è ancora molto lontano.

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