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La convergenza (parallela?) di Papa Francesco e Il Manifesto a difesa di Conte

In tempi di pandemia ci si deve abituare a qualsiasi colpo di scena. Anche a una strana convergenza fra Il Manifesto e papa Francesco. Sarà anche solo apparente, ma non può passare inosservato il singolare allineamento di due appelli che sono stati lanciati, uno diretto, l’altro più velato, dalla redazione del giornale comunista e da Santa Marta.

Il primo ha pubblicato due giorni fa una lettera aperta intitolata così: “Basta con gli agguati”. Nel testo, un lungo appello a difesa del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Dai retroscena mediatici, che lo vogliono sempre sospeso su un filo. Dagli interessi di coloro “che vogliono sostituire questo governo e la maggioranza che faticosamente lo sostiene”. Dalle “critiche anche volgari e pretestuose”.

A firmarlo un nutrito drappello di intellettuali, ben cinquantasette, soprattutto accademici. Ci sono politologi di serie A come Nadia Urbinati, Marco Revelli, Piero Ignazi. E poi ancora  il filosofo Giacomo Marramao, il magistrato Luigi Ferrajoli, l’economista del Cnr Daniele Archibugi.

“Dietro alcuni strumentali e ipocriti appelli alla difesa dei diritti, o del sistema delle imprese e dell’occupazione, si coglie il disegno di gettare le basi per un altro governo: un governo dai colori improbabili o di pretesa unità nazionale, di cui non s’intravede nemmeno vagamente il possibile programma, tolto un disinvolto avvicendamento di poltrone ministeriali e la spartizione di cariche di alto rango”, recita il testo. Di qui l’invito a non attaccare strumentalmente Conte, non tanto alla “destra populista”, quanto ai “democratici “liberali”, i grandi paladini della democrazia e della Costituzione, i cui show disinvolti e permanenti non fanno proprio bene al Paese, anzi lo danneggiano”.

Sui social non si sono fatte attendere le polemiche. Il politologo sovranista Paolo Becchi insorge su Twitter: “Un appello in larga parte di docenti universitari affinché vengano vietate le critiche al Governo. Mi ricorda tanto il Manifesto degli intellettuali fascisti”. Non da meno la politologa Sofia Ventura, che ha definito la logica sottesa al documento “ridicola nel suo trasparente stalinismo”.

Ma una sponda inaspettata potrebbe essere arrivata dai Sacri Palazzi. Nella sua omelia mattutina a Santa Marta questo sabato, papa Francesco ha dedicato una preghiera speciale ai governanti “che hanno la responsabilità di prendersi cura dei loro popoli in questi momenti di crisi: Capi di Stato, di governo, legislatori, sindaci, presidente di Regione”. Non è la prima volta che il pontefice rivolge il pensiero a chi ha la responsabilità delle istituzioni nel mezzo della crisi.

Alla preghiera è seguito un nuovo invito all’unità nella difficoltà, perché anche “quando ci siano differenze tra loro” i politici “capiscano che nei momenti di crisi devono essere molto uniti per il bene dei popoli, perché l’unità è superiore al conflitto”. Il “momento di crisi” è il fil-rouge che attraversa tutta l’omelia della messa del papa. Nelle esitazioni e nei timori degli apostoli, nei loro dubbi anche di fronte al Maestro, Francesco scorge una lezione per “la crisi sociale” della pandemia.

Poi cita un proverbio argentino: “Nella mia terra c’è un detto che dice: “Quando tu vai a cavallo e devi attraversare un fiume, per favore, non cambiare cavallo in mezzo al fiume”. La pillola è evidentemente rivolta al contesto evangelico, “nei momenti di crisi, essere molto fermi nella convinzione della fede”, dice il papa.

Ma, tra le righe, sembra trasparire una lezione particolarmente calzante per la politica italiana. Sarà anche questo un messaggio in codice per Palazzo Chigi?

Quando lo chiediamo a Emanuele Macaluso, volto storico dell’ex Pci, già direttore dell’Unità e del Riformista, scoppia in una fragorosa risata. Il Manifesto e il Papa insieme? “Ma no, semplicemente entrambi, con modi diversi, dimostrano grande sensibilità”. “Sono perfettamente d’accordo con papa Francesco – continua – la sua saggezza coglie l’essenziale: stiamo attraversando il fiume, penseremo se cambiare cavallo una volta raggiunta l’altra sponda”. Anche perché, chiude Macaluso, in giro si vedono solo ronzini: “E quale sarebbe il cambiamento? Quale l’alternativa? Apriamo una crisi senza saperla risolvere, con questa legge elettorale indecente? No, non siamo ancora sull’altra riva”.



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