L’espansione del commercio internazionale, giunto a contare fino a quasi il 30% del Pil mondiale, è stato allo stesso tempo un effetto e una della cause principali della globalizzazione. Il modello di iper-connessione realizzato attraverso il network delle catene del valore è stato un sottoprodotto di una crescita esponenziale degli scambi, in cui la competizione ha avuto uno spazio molto vasto e il coordinamento e la cooperazione hanno occupato posizioni marginali e sostanzialmente secondarie sia per la economia, sia per le politiche economiche.
L’espansione internazionale degli scambi sembrava tuttavia aver raggiunto livelli dominati dalla legge dei ritorni decrescenti già prima della crisi economica del 2008 e della emergenza attuale. Ciò sembrava dovuto, accanto alla difficoltà di contrattare nuovi spazi benefici per tutte le parti coinvolte, alla affermazione di squilibri globali basati su una economia di Paesi superstar caratterizzati da surplus commerciali permanenti.
Questi squilibri hanno fatto emergere una sorta di nuovo mercantilismo, in parte sorretto dai movimenti internazionali dei capitali e dalle imprese multinazionali, in cui piuttosto che nella divisione del lavoro basata sulla competizione nella produzione delle merci, i diversi Paesi si sono sempre più distinti sulla base del vantaggio comparato nella produzione del valore aggiunto, e in particolare al valore prodotto al netto del contributo delle materie prime e dei semilavorati importati.
Nella loro partecipazione al commercio internazionale, in altre parole, i diversi Paesi hanno mirato sempre di più a specializzarsi nella produzione di beni finali o di servizi e beni semilavorati quanto più prossimi ai beni finali. Il risultato è stato un modello di specializzazione internazionale di tipo gerarchico che ha accentuato lo sviluppo dipendente dei Paesi più poveri e creato l’illusione pericolosa che i surplus e i deficit commerciali possano essere sostenuti indefinitamente.
La crisi del covid 19 ha fatto emergere un ulteriore problema: i network commerciali internazionali, sempre apparentemente efficaci nel rifornire i mercati mondiali in periodi normali, si sono rivelati fragili e le catene del valore squilibrate e drammaticamente inattendibili in periodi di emergenza. Ciò ha riguardato soprattutto materiali strategici, quali i farmaci e le apparecchiature sanitarie, ma anche altri network quali quelli delle materie prime, già instabili nei periodi di business as usual, hanno rivelato fragilità insospettate.
Queste fragilità sembrano dovute a due fattori fondamentali. Anzitutto, essendosi affermate sulla base del puro vantaggio comparato, e sotto la spinta di pratiche quali la de-localizzazione, l’outsourcing e l’offshoring, le catene del valore si sono sviluppate intrecciandosi secondo forme eccessivamente estese nello spazio e nel tempo. I network relativi sono quindi risultati più fragili, perché più dipendenti da poche fonti altamente concentrate di materie prime e di altri input, con scarse possibilità di sostituzione e di ricomposizione dei flussi produttivi, rispetto alle interruzioni locali causate dalla pandemia.
Mentre la maggior parte della produzione del valore aggiunto è concentrato nei paesi avanzati, i beni intermedi necessari per produrlo sono il frutto di lavoro e risorse naturali localizzate nei Paesi in via di sviluppo. Le necessità di coordinamento in aree cruciali degli scambi, quali quelli dei medicinali e di altri materiali strategici, inoltre, sono state eluse dalla prevalenza di una organizzazione multilaterale degli scambi sempre più basata sulla competizione piuttosto che sulla cooperazione.
Queste caratteristiche della globalizzazione legate alla sostenibilità dei modelli internazionali degli scambi commerciali sono venute alla luce in modo drammatico a causa dello scoppio della pandemia. Esse però vanno considerate, allo stesso tempo, dei fattori con cui la pandemia ci invita, per così dire, a fare i conti, nel corso della ripartenza dell’economia, attraverso riforme strutturali di adeguata profondità.
Queste riforme riguardano due fronti principali: (a) gli squilibri globali causati dal perseguimento dei surplus commerciali, (b) la riorganizzazione delle catene del valore in modo che le reti degli scambi siano logisticamente più resilienti e le forniture di beni essenziali più attendibili. Su entrambi questi fronti la globalizzazione richiede un nuovo impegno della comunità internazionale e un nuovo multilateralismo, basato sulla cooperazione e il coordinamento, piuttosto che unicamente sulla competizione.