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Covid-19, per l’Ue è il momento del coraggio. Parola di Massolo

Di Giampiero Massolo

I giorni della pandemia passano senza molte risposte alle domande che si affollano. In termini sistemici, un dato è chiaro: siamo di fronte alla prima, vera crisi globale dopo il 2008. Coinvolge il mondo intero, governi, persone, aziende. Avviene, a ulteriore danno, in una fase di latitanza di leadership mondiali e in un contesto di crisi delle regole del sistema internazionale.

Con gli Usa in recesso dal mondo, la Cina dinanzi alla sfida più drammatica per le sue ambizioni di supremazia globale (eppure impegnata in un gioco d’influenza che non dobbiamo sottovalutare), l’Europa finora incapace di rinnovare i suoi strumenti perfino di fronte al dramma. La tempesta perfetta.

Ma almeno mettere in fila i problemi aiuta a non smarrirsi. Anzitutto, la stabilità economica e sociale dei nostri Paesi, l’efficacia degli organismi europei e multilaterali cui apparteniamo, la definizione dei rapporti tra le super potenze: tutto messo in causa da un’epidemia sanitaria. Constatare l’evidenza significa anzitutto incorporare di nuovo anche un fattore sanitario emergenziale nella definizione del nostro interesse nazionale e nell’articolazione delle strategie di sicurezza nazionale. Non necessariamente ci avevamo pensato.

E poi, l’interesse nazionale. La sua definizione incombe ai governi. È frutto di un contemperamento di istanze, geografie, esigenze, storie, tradizioni, emozionalità diverse. Alle opinioni pubbliche, in definitiva, la responsabilità e il diritto di giudicare l’efficacia dei governi nel perseguirlo. Almeno nelle democrazie occidentali. La pandemia sfida la capacità di sintesi dei governi. Li mette di fronte a strategie differenti. Nella consapevolezza che solo ex post si potrà valutare chi avrà sbagliato meno e chi avrà pagato di più in vite umane e distruzione del tessuto sociale, industriale, economico.

Perché anche l’emergenza economica e finanziaria incide sul come gli Stati affrontano la crisi. La pandemia ha un impatto devastante, nell’immediato, sulle spese sanitarie e di tutela delle collettività. Ancor più inciderà, nel medio periodo, sugli equilibri di bilancio e sulla crescita. I governi lo sanno. Ma dove e come reperire le risorse? Non illudiamoci che, malgrado la buona volontà, l’Ue, in assenza di accordo tra gli Stati ad aumentare il tetto del bilancio comunitario, possa fare più che riprioritarizzare e riorientare fondi già destinati o prelevati raschiando qualche riserva.

Anche il supplemento di flessibilità nelle regole del Patto di stabilità non è lo scioglimento da ogni vincolo. Più deficit comporta un maggiore indebitamento. E il suo finanziamento dipenderà non dai meccanismi europei, ma dalla reputazione dei singoli Paesi sui mercati internazionali. È proprio nella mitigazione della vulnerabilità degli Stati membri ai mercati globali, che l’Ue dovrà mostrare coraggio e lungimiranza. Certo, gli interventi dichiaratamente illimitati della Bce, a scudo dei debiti di tutti (in realtà di alcuni molto più di altri), sono cruciali.

Ma non basta. Le dimensioni della crisi economica rischiano di essere epocali. Per sostenere le economie europee non è sufficiente stressare gli strumenti esistenti. Occorrerà un atto di coraggio: dare all’Ue un bilancio comune e la facoltà di emettere titoli comuni, gli eurobond, per finanziare insieme progetti comuni. La premessa per questo sviluppo è la ricostruzione della fiducia reciproca tra gli Stati membri, la mitigazione del conflitto tra interessi nazionali diversi. La pandemia potrà accelerare il processo. Ma per arrivare al risultato la via è quella di dimostrare intanto di sapersi assumere le proprie rispettive responsabilità.

Per l’Italia sarebbe urgente individuare fonti nazionali, endogene di finanziamento, che non aggravino il debito pubblico. La Germania, forte del basso indebitamento, ha promesso alle sue imprese un ombrello pressoché illimitato, senza pagare pegno sui mercati. Per noi, sarebbe diverso.

Malgrado l’ombrello della Bce e la sospensione del Patto di stabilità, un debito ancora crescente sarebbe comunque alla fine rischioso. Lo sarebbe in termini di autonomia e sovranità, come pure d’immagine e credibilità. Un finanziamento senza debito aggiuntivo potrebbe passare, ad esempio, per un’ampia mobilitazione di fondi privati (secondo alcuni, un prestito irredimibile), da mettere in sinergia con quelli pubblici, in un ambizioso piano nazionale di ricostruzione e ripresa dell’economia nazionale. Sarebbe un fatto importante.

Ci renderebbe più credibili nella nostra richiesta all’Ue di varare finalmente gli eurobond. Magari proprio nel quadro di un ambizioso piano europeo di rilancio pubblico/privato, analogo a quello che avremmo adottato a livello nazionale.

Insomma, tante domande in termini di minacce che incombono, emergenza sanitaria, rischi per la crescita. Una sfida epocale per la stabilità sociale delle nazioni. E anche per la nostra. Conta, oggi più che mai, la capacità di assumere le proprie responsabilità, senza limitarsi ad attendere aiuti esterni che comunque non arriverebbero senza condizioni.

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