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Crisi da Covid-19, cosa è stato fatto e cosa manca. Scrive il prof. Baldassarri

Istruzioni per una vera ripresa dell’economia. Ecco la quinta puntata del saggio di Mario Baldassarri, economista ed ex viceministro dell’Economia, oggi a capo del Centro studi Economia reale

Per il 2020, di fronte al coronavirus il governo italiano ha varato un primo decreto Cura-Italia a marzo (annunciato dal governo per 25 miliardi di euro) ed un secondo decreto Liquidità-Imprese all’inizio di aprile (sbandierato come 400 miliardi di crediti potenziali alle imprese).

Ebbene, il decreto Cura-Italia, che introduce la Cig per tutti i lavoratori dipendenti per nove settimane ed un bonus di 600 euro per i lavoratori autonomi titolari di partita Iva, vale circa 19 miliardi di euro (1% del Pil, come ammette lo stesso governo nel recente Def) e non 25. Per di più le lungaggini procedurali e burocratiche hanno fatto sì che i soldi relativi al mese di marzo sono cominciati ad arrivare ai lavoratori a partire dalla seconda metà di aprile. A metà maggio pare siano stati pagati soltanto 7 miliardi di euro. Si spera che entro maggio la Cig di marzo sia pagata effettivamente a tutti i destinatari del provvedimento.

Il decreto Liquidità-Imprese prevede fino a 25.000 euro una garanzia dello Stato al 100%, togliendo alla banche ogni tipo di rischio. Nonostante questo, i moduli bancari per farne richiesta sono arrivati alle imprese a fine aprile e si resta comunque in attesa di una rapida istruttoria bancaria che richiederà probabilmente altre settimane di tempo.

Per crediti superiori ai 25.000 euro, la garanzia dello Stato scende tra il 90% ed il 70%. Seppur limitato resta pertanto un rischio bancario e di conseguenza i singoli istituti di credito avvieranno la loro normale istruttoria che di solito richiede, se tutto va bene, da due a tre mesi. Per di più le banche dovranno giudicare il merito di credito e laddove questo non ci fosse respingeranno le richieste.

Sta di fatto quindi che degli sbandierati 400 miliardi di crediti se ne avranno effettivamente poche decine di miliardi e soprattutto tra due o tre mesi. Su questo va sollevato un decisivo punto di chiarezza.

Tutte le imprese ed i lavoratori autonomi che hanno dovuto chiudere l’attività a seguito di un decreto dello Stato, il lock-down, hanno perso settimane e mesi di fatturato. Questo è il danno “economico” che hanno subito e questo danno non può essere compensato con maggiore credito che significa maggiore debito delle imprese che dovranno poi restituire i prestiti eventualmente ricevuti.

Il danno “economico” va risarcito con trasferimenti a fondo perduto, come chiaramente indicato anche da una recente Nota-Covid della Banca d’Italia dello scorso 15 Aprile. Certo la maggiore possibilità di credito può essere positiva, ma soprattutto al momento della ripresa per riavviare l’attività e magari cercare di svilupparla con nuovi investimenti.

Risarcimento del danno economico e liquidità non sono “sostitutivi”, devono procedere in parallelo. E comunque il risarcimento del danno è pregiudiziale per evitare una enorme moria di imprese che non si evita certo con un po’ più di credito bancario.

Per altro, sul piano della liquidità disponibile per le imprese sarebbe stato molto più serio, molto più immediato e molto più efficace se le Pubbliche Amministrazioni avessero pagato finalmente quei circa 60 miliardi di debiti verso le stesse imprese.

Per il 2020, cioè nell’immediato ed una-tantum, manca allora una colonna portante per il sostegno alle imprese ed ai lavoratori autonomi che è quella dell’indennizzo a fondo perduto dei mancati ricavi dovuti alla chiusura dell’attività, facilmente parametrabili e facilmente verificabili se riferiti al fatturato dichiarato nel 2019.

Senza questo pilastro, ci troveremo in autunno a ripartire con un tessuto produttivo “ristretto” al 50% delle imprese.

Il 13 maggio scorso è stato approvato dal consiglio dei ministri un terzo decreto. Doveva essere il decreto aprile, poi il decreto maggio ed infine è stato chiamato il decreto Rilancio.

Ed ancora una volta abbiamo assistito ad una tele-vendita con la consueta conferenza stampa in prima serata con la quale il governo “anticipa” i contenuti del decreto, ma il testo finale non è ancora disponibile e forse andrà in Gazzetta dopo tre o quattro giorni. Si sa che ci sono oltre 260 articoli per oltre 400 pagine di testo. A differenza del sommo Dante qui ci troviamo di fronte ad una…Umana Commedia.

Il governo, per l’ennesima volta, sbandiera cifre in diretta tv. La manovra attiverebbe 155 miliardi di euro di risorse: 100 miliardi che non incidono sul deficit ma semmai e solo in parte direttamente sul debito e 55 miliardi che aumentano di pari importo il deficit secondo quanto autorizzato dal Parlamento. Come per i precedenti due decreti, televisioni e mass-media “bevono” tutto d’un fiato la notizia e trasmettono immediatamente al popolo dei segregati in casa quella che, ad una più attenta analisi, appare in parte non trascurabile una fake-news.

Ciò che è vero è che 100 miliardi di manovra non aumentano il deficit. Vediamo perché. Dentro quei 100 miliardi ci sono 12 miliardi di pagamenti di debiti pregressi che la Pubblica amministrazione deve alle imprese. Ebbene questi 12 miliardi sono già stati contabilizzati come competenza nei deficit degli anni passati e quini non hanno nulla a che vedere con il deficit di quest’anno. Pertanto solo quando questi debiti vengono pagati diventano uscite di cassa e quindi vanno ad aumentare il solo debito pubblico. Ora va ricordato che il totale di questi debiti verso le imprese è attorno a 60 miliardi. Se 12 miliardi saranno pagati (quando, come, a quali imprese?), quando saranno pagati i restanti 48?

Poi ci sono 3 miliardi all’Alitalia. Questi non sono né deficit, né debito. Infatti a fronte del pagamento ad Alitalia lo stato acquisisce la sua proprietà con l’impegno futuro a rimettere quelle azioni sul mercato in mani private. Per questo aspetto quindi il decreto è un salva-Alitalia sperando che diventi un rilancio-Alitalia.

I restanti 87 miliardi dovrebbero confluire in un Fondo Pubblico che potrà acquisire partecipazioni per rafforzare il capitale di rischio delle imprese private. Quindi a fronte dei soldi in eventuale uscita ci saranno in entrate quote azionarie di imprese private. Formalmente nessun nuovo debito. Comunque non si sa come, dove e a chi andranno quei soldi. Si spera solo che questo ingresso pubblico nelle imprese private sia poi seguito da una uscita dello Stato ed un ritorno delle quote azionarie in mani private. Ma nel frattempo, si chiederanno posti nei consigli di amministrazione? Da più parti si è vagheggiato il ritorno dell’Iri. In questo caso sembra più il ritorno della Gepi, società statale per le Gestioni e Partecipazioni Industriali fondata nel 1971, trasformata nel 1997 nella Italia Investimenti e poi fusa in Sviluppo Italia.

Veniamo ora alla manovra da 55 miliardi che determina un aumento di deficit pubblico per il 2020. Anche qui sono state annunciate “imponenti” risorse pari a “due finanziarie” (Sic!) che andranno a lavoratori ed imprese.

Per i lavoratori si proroga la Cassa Integrazione ai dipendenti per 10 miliardi ed il bonus a quelli autonomi per 4,5 miliardi. Infatti nel precedente decreto di marzo era prevista una Cig per nove settimane che vanno a scadenza tra pochi giorni ed in gran parte non sono ancora state pagate. Per semplicità bastava dare una proroga fino a quando le imprese resteranno chiuse. No, questo decreto dice che per 4 settimane è una proroga delle precedenti 9 settimane decise a marzo, ma per le altre ulteriori 4 settimane occorrerà avviare una nuova domanda ed una nuova procedura. Come sempre l’Ucas è al lavoro. L’Ucas è l’Ufficio Complicazioni Affari Semplici che lavora giorno e notte, 365 giorni all’anno.

Per le imprese ci saranno come detto i 12 miliardi di fatture pregresse non pagate (quando, come a chi non è scritto).

Poi c’è il fatto vero dell’Irap Il saldo del 2019 e l’acconto del 2020, dovuti a giugno, sono cancellati. Bene, però è una-tantum e resta in vigore l’Irap che alle imprese costa 20 miliardi di euro all’anno. Certo, il governo a voce ha detto che si farà carico del problema in una futura, futuribile e generale riforma fiscale.

Poiché dopo due mesi tutti hanno capito la differenza tra indennizzi a fondo perduto per il mancato fatturato dovuto alla chiusura ed eventuali prestiti bancari, il governo “stanzia” 6 miliardi di euro per tali indennizzi a fondo perduto limitandoli però alle imprese fino a 5 milioni di fatturato. Ma se, come probabile, il fatturato perso da queste imprese, fosse 50 o 60 miliardi? Che si fa con 6 miliardi? Si daranno briciole ed infatti si è posto un tetto massimo di indennizzo pari a “soli” 40.000 euro. Ciò significa che dal tetto massimo si andrà verso il basso fino a qualche spicciolo. L’indennizzo a fondo perduto è scritto nel decreto, ma così è una presa in giro. Per le imprese tra 5 e 50 milioni di fatturato si prevede soltanto un incentivo fiscale per la loro capitalizzazione con i soldi dei privati proprietari. Oltre i 50 miliardi c’è l’intervento nel capitale della Cassa depositi e prestiti, cioè di quel fondo di cui abbiamo detto in precedenza.

Sempre per le imprese si introduce un aiuto indicato in 1,5 miliardi per il pagamento degli affitti dei locali e 2 miliardi per le spese di ristrutturazione ivi incluse quelle per la sanificazione degli ambienti. Come e chi ha calcolato queste cifre?

In questo terzo decreto si stanziano poi 3,5 miliardi per la sanità ed 1,5 miliardi per la scuola. Nei miliardi per la sanità sono inclusi 190 milioni per medici ed infermieri, che non sono certo un rilancio bensì un parzialissimo recupero della compressione dei loro stipendi degli ultimi dieci anni.

Per la scuola occorre ricordare che pressoché tutte le nostre scuole non sono a norma, quindi di fatto sarebbero inagibili per i nostri ragazzi. Ora, un piano serio per la messa a norma di tutti gli edifici scolastici pubblici richiederebbe un piano industriale decennale con circa 100 miliardi di euro, 10 all’anno. Con un miliardo e mezzo si potrà assumere qualcuno in più e forse fare meglio le pulizie a Pasqua ed a Natale.

Infine, il decreto è infarcito di bonus vari a pioggia: eco-bonus, sisma-bonus. vacanze-bonus, badante-bonus… Fino ad arrivare al bonus-biciclette-pattino-elettrici. Non si sa come e da dove sia piovuto poi il provvedimento a favore del comune di Campione d’Italia. C’è Campione d’Italia, ma non c’è un rigo sugli investimenti pubblici, né mezza riga di politica industriale!

Giustamente il decreto ha cambiato nome, da aprile a maggio a Rilancio. Ma forse il nome più appropriato sarebbe decreto-Arlecchino fatto di tante toppe più piccole purtroppo dei buchi che sarebbe urgente tappare. E comunque, la somma dei numeri indicati arriva poco sopra i 40 miliardi di euro ma non ai 55 miliardi annunciati.

Contrariamente a quanto diceva il grande Totò, qui la somma “non” fa il totale.

E comunque le “nostre” somme si confrontano con i 1000 miliardi varati dalla Germania ed i 350 miliardi decisi dalla Francia. Certo, soprattutto la Germania può permetterselo visto che era in avanzo di bilancio ed ha un rapporto debito/Pil meno della metà del nostro.

Veniamo ora a cosa deve ancora fare l’Italia nel 2020 per il 2021, che rischia di diventare l’anno del redde rationem. Partiamo innanzitutto dalla nostra situazione economica e dalle sue conseguenze sulla nostra finanza pubblica.

Nel primo semestre del 2020, l’Upb ha indicato una riduzione del Pil del 15%. Se nel secondo semestre si avvierà una ripresa, in questo 2020, la crescita italiana sarà attorno al -10% e la disoccupazione volerà verso il 15%. Di conseguenza il deficit pubblico si attesterà attorno a 170 miliardi (circa il 10% del Pil) ed il rapporto tra Debito pubblico e Pil balzerà verso il 160% del Pil.

Questo è quanto si prospetta ad oggi sul 2020 e, purtroppo, questo quadro è ormai difficilmente modificabile.

Nel 2021, potrà esserci una ripresa attorno al 3% del Pil, ben lontana dal poter fronteggiare la disoccupazione e le condizioni di finanza pubblica. Il tasso di disoccupazione scenderebbe di un punto, il deficit potrebbe contenersi al 7% del Pil, ma il rapporto Debito/Pil continuerebbe a crescere verso il 175/180% del Pil.

Il quadro di previsione che il governo ha indicato nel Def è invece un po’ più ottimista.

La caduta del Pil sarà quest’anno attorno al -8% e sarà seguita da un rimbalzo al +4,7% nel 2021. La consueta sovrastima dell’inflazione porta a sovrastimare il Pil nominale e quindi a sottostimare i rapporti del deficit e del debito sul Pil. Per il 2021 si prevede infatti un deficit al 5,7% ed un debito al 152,7%.

Questo più ottimistico profilo di crescita per l’Italia dipende, come è scritto nel Def, “dall’esterno” da altrettanto ottimistiche previsioni sull’economia mondiale. Si dice infatti che il commercio mondiale sarà al -2,5% nel 2020 e crescerà dell’1,1% nel 2021. Il Pil mondiale senza l’Unione europea risulterebbe in crescita dello 0,5% quest’anno con un rimbalzo al +5,8% nel 2021. Il Pil dell’Unione europea è dato scendere del -4,4% per poi crescere al 7,1% nel 2021, cioè di più del Pil del resto del mondo.

Da questi numeri ottimistici sulla crescita segue una ancora più ottimistica previsione della disoccupazione che passerebbe dal 10% del 2019 “soltanto” all’11,6% quest’anno, per ridiscendere all’11% nel 2021.

Pertanto una grande crisi mondiale, europea ed italiana (più profonda della grande crisi degli trenta) si risolverebbe con un aumento della disoccupazione dell’1% tra il 2019 ed il 2021! Anche gli andamenti di finanza pubblica non sembrano recepire pienamente la “grande crisi” che abbiamo di fronte.

Nel conto consolidato delle Pubbliche Amministrazioni (Tav. II 2-1) il totale della spesa pubblica passa dagli 871 miliardi del 2019 ai 922 miliardi del 2021, con un aumento di 51 miliardi. Il totale delle entrate pubbliche è stato pari a 841 miliardi del 2019, si ridurrebbe a 793 nel 2020 per poi risalire ad 847 miliardi del 2021, con una riduzione di 48 miliardi quest’anno ed un aumento di 54 miliardi il prossimo anno. Ne origina un deficit pubblico di “soli” 118 miliardi in questo 2020 e di 75 miliardi l’anno prossimo. La pressione fiscale, dal 42,4% del 2019, salirebbe al 42,5% nel 2020 ed al 43,3% nel 2021.

Inoltre e come sempre da oltre venti anni, tra le varie voci di spesa appaiono “altre spese correnti” per 60 miliardi nel 2019, 61 miliardi nel 2020 ed oltre 63 miliardi nel 2021.

Segnalo da anni che indicare una generica voce di “altre spese” per importi così elevati ogni anno non è accettabile e soprattutto non rende comprensibile quanto e come lo Stato spende agli stessi membri di governo, al Parlamento ed ai cittadini.

Sappiamo che dentro questa voce si “nascondono” trasferimenti correnti a fondo perduto per circa 30 miliardi all’anno, 10 miliardi rappresentano un mero giroconto relativo all’Irap pagata dalle pubbliche amministrazioni, 5 miliardi di spesa per cooperazione internazionale e 15 miliardi di quota Iva che paghiamo alla Unione europea.

Ai trasferimenti correnti a fondo perduto si sommano poi quelli in conto capitale che ammontano, nei dati del Def, a 21 miliardi nel 2019, 25 miliardi nel 2020 e 19 miliardi nel 2021.

In totale quindi si certifica che nel 2019 abbiamo distribuito oltre 50 miliardi di fondi perduti e, soprattutto, si scrive nero su bianco che continueremo nel 2020 e nel 2021 a distribuirne ancora per 55 miliardi quest’anno ed altri 50 miliardi l’anno prossimo.

Sarebbe il caso di dire, almeno questo anno, che quelle risorse già scritte a bilancio devono servire per pagare un indennizzo a fondo perduto a tutte le imprese ed ai lavoratori autonomi per il mancato fatturato dovuto alla chiusura per decreto delle loro attività, facilmente e giustamente calcolabile sulla base di quanto dichiarato lo scorso anno.

Nella Tavola IV.10 del Def si indica poi ufficialmente che il decreto Cura-Italia dei primi di marzo incide per 19 miliardi di euro e non per 25 come annunciato e sempre ribadito, mentre il decreto Liquidità per le imprese è ad impatto zero sul bilancio pubblico. Purtroppo, questo secondo arruffato decreto liquidità sarà ad impatto pressoché zero anche sulle imprese.

In sintesi. Alcuni numeri del Def sono ottimistici, altri cabalistici.

Rispetto a questo quadro, abbiamo già detto che l’Europa ha fatto molto, ma non basta. Abbiamo anche detto che l’Italia dovrebbe comunque usare le risorse disponibili sul fronte europeo. Abbiamo inoltre preso atto che, ad oggi, l’Italia ha fatto poco, tardi e male.

Ecco allora che, dopo i tre decreti fatti per il 2020, l’Italia ha bisogno ora di una manovra forte e strutturale da fare subito per il 2021 che in termini quantitativi deve essere pari a non meno del 5% del Pil , in valore assoluto non meno di 100 Mld di euro.

Sotto il profilo qualitativo essa dovrebbe operare con una decisa rimodulazione delle principali voci del bilancio pubblico con spostamenti di spesa pubblica e di imposte e tasse partendo dai 900 Mld € di spese e e dagli 840 Mld € di imposte e tasse.

Il 50% della manovra dovrebbe trovare le coperture all’interno del bilancio, il restante 50% sarebbe finanziato in deficit, nell’ambito delle nuove possibilità di finanziamento europeo. L’uso dei quattro strumenti europei, come indicato in precedenza, apre la possibilità per l’Italia di ricevere circa 100 miliardi di finanziamenti e circa 150 miliardi di titoli italiani acquistabili dalla Bce.

Si potrebbero tagliare almeno 25 Mld € sugli 80  di Tax Expenditures e 25 Mld € di fondi perduti, su un totale di 60 Mld, erogati in conto capitale ed in conto corrente.

Queste risorse potrebbero finanziare, in primis, 20 Mld da investire nella sanità, 45 Mld con una riforma strutturale dell’Irpef con sgravi alle famiglie ed ai lavoratori con reddito medio e basso e 25 Mld con un intervento sul cuneo fiscale e contributivo a favore delle imprese, ad esempio, con l’azzeramento dell’Irap. I restanti 10 Mld finanzierebbero maggiori investimenti pubblici.

Sono, inoltre, inderogabili le semplificazioni burocratico-amministrative per aprire i cantieri di opere pubbliche già finanziate per 110 miliardi di euro ed impiegare, con analoga tempestività, gli 11 miliardi di euro di fondi strutturali europei non spesi. Ma per tutto questo servono progetti scritti nero su bianco e non parole buttate al vento dei mass-media.

Ecco perché sarebbe un segnale di forte determinazione verso l’Europa e verso i mercati se, dopo i tre decreti, seguisse in poche settimane uno schema di Legge di bilancio 2021 da approvare in Parlamento prima dell’estate.

L’INDICE DEL SAGGIO

1. Il re è nudo… in Occidente
Il finto abito del re è stato tessuto con un peccato originale e cucito su tre paradossi

2. Cosa ha fatto l’Europa di fronte al coronavirus
E gli Stati Uniti d’Europa sono solo utopia?

3. Due premesse di teoria economica
3.1 – Equità e Crescita
3.2 – Gli equilibri multipli di J.M. Keynes

4. Cosa ha fatto l’Italia per quaranta anni… prima del coronavirus
Tolomeo o Copernico?

5. Cosa ha fatto l’Italia di fronte al coronavirus
E cosa deve fare per il 2020 e 2021

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