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Covid-19, l’allarme dell’Fbi. Così la Cina vuole rubare il vaccino

La Cina vuole sottrarre informazioni sul virus con attacchi cibernetici. È l’accusa che il Dipartimento della sicurezza interna americano e l’Fbi stanno per muovere a Pechino con un rapporto che sarà pubblicato nei prossimi giorni.

Ne scrive il New York Times, che racconta il lavoro degli 007 Usa alle calcagna degli hacker cinesi nella corsa globale alla ricerca di un vaccino contro il Covid-19. “Gli sforzi sono parte di un aumento di furti e attacchi cibernetici da parte di nazioni in cerca di un vantaggio nella pandemia”, spiegano il tre volte Pulitzer David Sanger e Nicole Perlroth.

Nella bozza del rapporto l’intelligence americana mette in guardia dal tentativo di Pechino di rubare “attraverso mezzi illeciti importante proprietà intellettuale e dati sulla salute pubblica collegati a vaccini, cure e test”. Il documento fa riferimento a “attori non-tradizionali”. Un eufemismo, spiega il Times, per indicare “ricercatori e studenti” cinesi nelle università americane intenti a sottrarre segreti sulla ricerca anti-virus.

I primi indiziati dunque, per la prossimità ai laboratori dove procede lo studio di un vaccino anti-Covid-19, sono spie e hacker apparentemente non inquadrati nelle tradizionali strutture cyber del governo cinese. Non è infatti chiaro se nel mirino degli 007 Usa ci siano anche i gruppi hacker facenti capo alla “Forza di supporto strategico cinese”, la struttura cyber dell’Esercito di liberazione popolare istituita sotto direttiva del presidente Xi Jinping, e al ministero della Sicurezza di Stato.

È invece certo, scrive il quotidiano newyorkese, che all’indagine americana abbiano partecipato anche il Commando cyber Usa e l’Nsa (National security agency). Un dato politico rilevante, perché in parte smentisce l’aperta contrapposizione fra Studio Ovale e mondo dell’intelligence Usa nella ricerca della verità sul virus.

Da settimane va in onda un braccio di ferro fra la National Intelligence da una parte e il presidente Donald Trump e il segretario di Stato Mike Pompeo dall’altra. La prima tramite un comunicato del suo direttore Richard Grenell ha fatto sapere di non avere prove sull’origine artificiale del virus a Wuhan, ma l’amministrazione continua a sostenere il contrario.

Se è vero che l’Nsa è dietro al warning in preparazione tra Fbi e Dipartimento della Sicurezza interna, significa che i confini nella gestione del dossier cinese fra Casa Bianca e intelligence sono più sfumati di quanto non sembri.

Il campanello d’allarme comunque non è risuonato solo a Washington Dc. Una settimana fa Stati Uniti e Regno Unito hanno diramato un comunicato congiunto che accende i riflettori sull’assalto cyber ai settori sensibili per la pandemia, tra cui “organismi sanitari, aziende farmaceutiche, università, organizzazioni di ricerca medica e governi locali”. Tra i Paesi indicati, oltre alla Cina, Russia, Iran e Corea del Nord.

Il picco di attacchi cyber collegati al virus nelle ultime settimane è registrato tanto dal governo quanto dalle principali aziende americane. Nel mirino di un gruppo di cyber-criminali iraniani è finita pochi giorni fa l’americana Gilead Science, azienda leader nel settore farmaceutico. Il metodo è tra i più consolidati: si chiama phishing, e consiste nell’invio di una mail, in questo caso legata al coronavirus, che una volta aperta inietta il malware o il ramsoware nel software della vittima. A riceverla uno dei dirigenti dell’azienda americana, ma il furto di segreti commerciali non sarebbe andato in porto.

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