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Vi spiego il gossipower di Dagospia. L’analisi (da leggere) di Massimiliano Panarari

Dai pettegolezzi della cultura dell’oralità (di cui aveva scritto il gesuita padre Walter Ong, uno dei pionieri delle scienze comunicative) fino alla loro diffusione virale, via web, nel Villaggio globale dei nostri decenni. Il gossip, che rappresenta una “pratica comunicativa” a tutti gli effetti, è di fatto un’”opera aperta” che si nutre delle rielaborazioni e delle integrazioni dei tanti che lo alimentano, e che ha scoperto nel Web e nella comunicazione reticolare dei social network un canale di propagazione che le allegre comari di Windsor e quelle delle goldoniane Baruffe chiozzotte, inchiodate al tam tam e al sussurro all’orecchio altrui, non avrebbero potuto immaginare neppure nel più roseo dei sogni. Per di più, se la società della Rete ha imposto una sorta di dittatura della disintermediazione in ogni campo, al tempo stesso ha paradossalmente innescato un processo di rimediazione in quello dei mass media (e dei rumors): nell’orizzonte tecnologico digitale i vecchi e i nuovi media si contaminano (e “commentano”) reciprocamente e senza sosta. E dal momento che i social network possiedono una natura conversazionale hanno bisogno di narrazioni rapide, coinvolgenti sotto il profilo emotivo, e in grado di attrarre utenti con caratteristiche diverse: di qui il dilagare sfrenato dei rumors nell’epoca liquida e internettiana.

Nondimeno c’è, per l’appunto, anche un altro approccio al gossip, come ci dice il ventennale dell’”alta portineria” di Dagospia, divenuto per la sua longevità e la capacità di ritagliarsi uno spazio altamente originale oggetto anche di letteratura accademica e scientifica. Pur avendo documentato in anticipo la riconfigurazione dell’informazione determinata dalla rivoluzione digitale, Dagospia procede e si rivela organizzato in maniera per vari aspetti simile a quella di un old medium. Un quotidiano elettronico con una regia e una direzione che definisce l’agenda e costruisce la narrazione che vuole proporre ai lettori. E, chiaramente, sono quelle di Roberto D’Agostino che, dall’”edonismo reaganiano” inventato a Quelli della notte sino ai giorni attuali, ha inanellato parecchie intuizioni preveggenti, e ha palesato una costante sensibilità da attento rabdomante dello spirito dei (differenti) tempi.

Nel Paese dove ha a lungo imperato il “politichese”, e che si è poi postmodernizzato alla velocità della luce, l’idea di una insight view risponde alla richiesta di leggere la politica bypassando quell’ufficialità che nasconderebbe le vere dinamiche, attingendo ai fatti senza alcun intermediario. E a ciò si sposa la generale ricerca di notizie di gossip riguardanti ogni campo della vita pubblica, compresa quella politica, che asseconda la voglia di gettare uno sguardo dentro la stanza dei bottoni dal buco della serratura. Ecco, Dagospia costituisce l’incarnazione internettiana dell’efficacia di ciò che possiamo etichettare come “gossipower”. Una testata online che rappresenta un’esperienza singolare e ineguagliata, e si traduce in un mix di politainment e pettegolezzo per conoscitori e “intenditori” intorno al potere politico e finanziario (sovente suggerito o alimentato dagli stessi beneinformati che lo esercitano e si tramutano in gole profonde degli establishment). Poi, naturalmente, ci sono anche la volgarità, una lingua che a volte si fa da trivio, il sesso e la pornografia. Ed è una certa media logic, una pattuglia di catalizzatori per aumentare il traffico dei contatti di quello che è un riuscitissimo media outlet commerciale e a-ideologico, e che sa essere pluralista e “liberale” (certo, in un’accezione diversa da quella di Croce ed Einaudi) come pochi altri.



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