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Decreto Rilancio vs Cares Act. Il confronto tra Italia e Usa

Alessandro Manzoni scriveva che “Anche nelle maggiori strettezza, i denari del pubblico si trovanosempre per impiegarli a sproposito”. Il decreto Rilancio (che non è poi che rilanci un granché) del governo Conte è fatto di 256 articoli, per 495 pagine e 110mila parole complessive. Il Cares Act americano invece, contiene un numero di parole di un terzo. Il decreto Italiano contiene circa 600 misure. Il Cares Act, che mobilita molte più risorse, e molto più snelle ed efficaci, ne contiene circa 100.

E va ricordato che, mentre l’Italia ha vinto il derby con gli Usa quanto a risposta sanitaria al Coronavirus, autorevoli imprenditori italiani con imprese dello stesso settore in Italia e a New York o in altre città americane hanno testimoniato di aver potuto beneficiare con grande celerità delle agevolazioni e dei sussidi congrui del governo americano, mentre l’opposto è avvenuto e sta avvenendo per le loro imprese in Italia.

Come si può lanciare proclami e impegni da parte governativa per la semplificazione burocratica sesi scaricano sulla burocrazia, o sugli altri soggetti, come le banche, che le leggi le debbonorispettare ed applicare, centinaia e centinaia di norme, spesso confuse, e ricche di rinvii non chiariad altre norme? Non è bastata l’esperienza del decreto liquidità, nel quale varie disposizioni eranocongegnate in modo tale che ancora oggi molti cittadini ed operatori aspettano le relativeagevolazioni, benefici e sussidi? Un grande esperto non certo settario come Sabino Cassese hascritto sul Corriere della Sera che “alcune norme sembrano scritte da un teologo medievale”.

Si prevedono programmi che contengono piani operativi che recano misure che dipendono però da piani operativi previsti da altre leggi e c’è poi una selva di altri congegni destinati a immarcescirenelle pastoie burocratiche. Questo avviene anche perché pure il cosìdetto decreto rilancio è impregnato della “filosofia delsussidio”, meglio se a pioggia, a parte qualche aspetto, come ad esempio la misura sull’Irap o sullaricapitalizzazione per le imprese.

Nonostante questo limitato varco, forse dovuto anche allepressioni della nuova gestione di Confindustria, c’è un partito che almeno per ora, non è ancorariuscito a vincere una partita, il partito della crescita, regolarmente superato dal partito dei sussidi,che assumano la veste di bonus, di agevolazioni, rimborsi o quant’altro. D’altronde è così che il presidente Conte aveva iniziato la sua carriera già nel governo gialloverde: i due pilastri della sua prima manovra economica, il reddito di cittadinanza, e quota 100 perle pensioni, non erano due grosse fonti di sussidi?

La speranza è che da qui in poi il governo lasci da parte il presentismo, la visione a breve, la ricerca del facile consenso e allunghi lo sguardo e siconcentri su misure idonee a liberare la crescita. Sarà lo shock di oltre 100 miliardi di investimenti a burocrazia snella in infrastrutture di cui parla Renzi? Sarà il rilancio degli incentivi per l’industria 4.0? Sarà un processo a tappeto di semplificazioni normative e burocratiche? Basta che si evitinonuovi statalismi, o nuove Iri, come vorrebbe qualcuno, perché non possiamo permettercelo. Anzi, al contrario, se allunghiamo un po’ lo sguardo, con il debito pubblico del 2020 al 160% liberare lacrescita è fondamentale anche per cominciare progressivamente a rientrare da questo livelloaltamente insostenibile.



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