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Erdogan pronto a mettere un’ipoteca sulla Libia (con buona pace di Italia e Russia)

Il 2020 per il presidente Putin continua a confermarsi come un annus horribilis. Dopo il referendum costituzionale per lui chiave, il coronavirus che sta piegando la Russia e facendo calare il suo consenso, al numero uno del Cremlino mancava solo di subire l’aumento di influenza di Ankara in Libia.

Davanti alle telecamere, come sempre, si va d’accordo e ieri il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, e quello russo, Sergei Lavrov, hanno fatto appello perché nel Paese nord africano si raggiunga un cessate il fuoco duraturo e venga ripreso il dialogo politico alle Nazioni Unite.

La dichiarazione è arrivata dopo che l’uomo forte della Cirenaica, sostenuto anche da Mosca, Khalifa Haftar, ha reso noto di essersi ritirato da Tripoli e dopo che si è diffusa la notizia dei sei aerei da combattimento provenienti dalla Siria ma di fabbricazione russa, inviati dal Cremlino a sostegno dell’alleato, che combatte contro il governo riconosciuto dalla comunità internazionale e che è guidato da Fayez al-Serraj. Quest’ultimo, è sostenuto proprio dalla Turchia, che lo scorso 27 novembre, con un clamoroso voltafaccia, è passata dall’appoggio ad Haftar, a quello del governo di Tripoli.

Una mossa dettata da diverse esigenze. La prima è assicurarsi tutti i benefici del protocollo siglato con Al-Serraj, che non viene riconosciuto dall’Onu, ma anche intanto garantisce alla Turchia un corridoio vitale nelle acque del Mediterraneo, soprattutto per quanto riguarda il sondaggio di fondali che conterrebbero ingenti riserve di gas naturale. Ankara poi mira a mettere le mani sui pozzi di petrolio libici e a espandere l’influenza dei Fratelli Musulmani nel Paese.

Un programma che dà fastidio a tutti. All’Egitto di Al-Sisi, che è preoccupato dall’esuberanza della Turchia, che da tempo cerca di strappargli il ruolo di grande player regionale e di cui teme il modello di Islam politico che vuole imporre nell’area. All’Italia, l’altra grande alleata di Serraj, a cui Ankara sta portando via numerose posizioni, proprio dove una volta Roma aveva un ruolo di primo piano. Nelle file degli scontenti, e dei possibili perdenti, è finita anche la Russia di Vladimir Putin.

Da dicembre, Ankara ha messo in atto una vera e propria tattica di logoramento delle forze avversarie, che, sul lungo termine, hanno non solo scoraggiato le azioni offensive di Haftar, ma anche messo un’ipoteca abbastanza importante su quelli che potrebbero essere gli assetti futuri della regione.

L’ultima, in ordine di tempo è stata la conquista di uno scalo aereo importante a ovest della capitale. Un colpo di grazia, secondo molti osservatori locali, che avrebbe definitivamente convinto Haftar ad abbandonare pretese egemoniche su Tripoli.

Ankara, insomma è riuscita non solo a tenere la sua sfera di influenza nella zona, ma ad ampliarla a dispetto degli altri Paesi che vi gravitano. Adesso, a rimetterci, c’è anche la Russia di Vladimir Putin. A dicembre il leader del Cremlino aveva ripreso severamente il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan per la sua esuberanza nella regione. Putin aveva già a che fare con una Turchia sempre più bizzosa nel nord della Siria, non aveva alcuna intenzione di destabilizzare un territorio così nevralgico come la Libia.

Ma era ancora convinto di essere il braccio forte dell’asse fra i due Paesi. La verità è che la Turchia, più per tigna che per reali capacità, in Siria continua a essere una spina nel fianco di Mosca e in Libia è pronta a dettare le regole del gioco. Con la Russia che è praticamente costretta ad accettare. La Mezzaluna sta palesemente approfittando della grave crisi che sta affrontando l’alleato a causa del coronavirus e sempre pienamente intenzionata a sfruttare il calo di consensi del presidente Putin, troppo preso dalle esigenze interne per guardare all’estero con la dovuta attenzione.

Sono problemi che avrebbe teoricamente anche il suo omologo, Recep Tayyip Erdogan, che però, in queste settimane di crisi sanitaria e con una economia sempre più traballante, non ha ceduto di un millimetro sull’agenza internazionale. Questione di priorità, di opportunità e di abbattere gli alleati più temibili quando sono più deboli. Ieri l’Italia, oggi la Russia.

 



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