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In ricordo di Eugenio Giordani, maestro della “Nuova Musica”

È trascorso un mese da quando il coronavirus ci ha strappato Eugenio Giordani: un ingegnere con la passione della musica. Nulla di eccezionale, all’apparenza. Anche il grande direttore Sinopoli era medico. Ma in questo caso l’artista non si è cimentato con il giuramento di Ippocrate. Giordani invece ha fatto vivere in simbiosi le due competenze, come dimostra anche uno dei suoi primi saggi su: Analisi funzionale e procedure di controllo nell’ambito dei sistemi analogici per la produzione di musica elettronica (1977). O quando si è trattato di risolvere problemi tecnici come accadde dinanzi all’esigenza “di avere suoni derivanti da forme d’onda diverse” da quelle “già prestabilite prodotte dagli oscillatori disponibili”. E Carmine Cella, già allievo di Giordani, docente di Musica Elettronica ed Informatica musicale, sull’argomento spiega: “Si tratta del mio territorio preferito perché qui si sposano musica e scienza”. “Scuola”, quella di Giordani, che ha condotto in alto i suoi discepoli.

Condividevo la sera del giorno del decesso con David Monacchi – altro allievo ora ordinario al “Rossini” di musica elettronica – il profondo cordiglio per la immatura perdita del “maestro”. Siamo stati interrotti da una telefonata dalla Università di Berkeley da cui Carmine Cella manifestava tutto il suo dolore nell’apprendere della scomparsa di Eugenio Giordani. Già, Berkeley, perché è in questa famosa università della California che Cella è stato chiamato, dopo avere insegnato a Pesaro, a svolgere il suo ruolo di docente. Mi ha scritto: ”È difficile per me esprimere quello che sento, in questi giorni, ma chi mi conosce sa che ruolo ha avuto Eugenio nella mia vita. È stato lui che mi ha mostrato il sentiero della mia vita, prima in Conservatorio, poi alla Viscount. Èper lui che sono arrivato all’Ircam prima e a Berkeley poi. In buona sostanza, gli devo tutto”. E a sua volta David Monacchi, ricercatore con vasti contatti all’estero, compositore e sound artist, specialista nella registrazione sul campo degli ambienti sonori naturali del mondo che, attraverso la manipolazione elettroacustica, diventano documentari sonori e composizioni eco-acustiche, nel suo commosso ricordo evidenzia come Giordani sia stato “maestro a cui devo la mia intera passione e carriera musicale, che mi ha insegnato tutto sul suono e sulla sua manipolazione creativa, e che poi mi ha dato l’onore di essere al suo fianco nella didattica, trasmettendomi la sua deontologia e straordinaria umanità nella vita professionale”.

Oltre, ovviamente, al grande ruolo rivestito internazionalmente nel campo della musica elettronica. Dal 1982 la direzione del Laboratorio Elettronico per la Musica Sperimentale (Lems) del Conservatorio Statale Rossini ed i relativi corsi furono affidati a Eugenio Giordani. La struttura era sorta nel 1971 sotto la spinta di compositori pesaresi – assecondati dall’allora direttore Marcello Abbado – i quali frequentavano i corsi di musica elettronica di Darmstadt, la città musicale della Neue Musik. Dopo i primi anni di vita altalenante (l’innesto in un contesto didattico tradizionalmente caratterizzato da altro genere di musica non fu scorrevole) trascorsi dal Laboratorio, Giordani vi si buttò subito a capofitto trascorrendovi ore e ore, giorno e …notte: anche notte, perché una sera senza avvedersene aveva superato le ore 20, termine di chiusura del conservatorio. L’usciere, ignaro della protratta presenza, chiuse i battenti del possente portone.

E per il Giordani non fu né facile né rapido riguadagnare… la libertà! Con Giordani la struttura trovò consolidamento e nel tempo anche consistenti aggiornamenti tecnologici. Per parte mia, quando con la riforma dei conservatori del 1999 si dovette procedere alla redazione (2005) dello Statuto – di cui mi sobbarcai la stesura – volli introdurre uno specifico articolo, il 6, in cui si precisò che il Conservatorio “favorisce il progressivo aggiornamento (del Laboratorio) quale polo di approfondimento artistico-scientifico di livello nazionale”.

E poi si giunse ad un grande traguardo, su progetto di David Monacchi ed Eugenio Giordani: l’attivazione di Space (Soundscape Projection Ambisonic Control Engine) centro di ricerca e produzione musicale, all’interno dei laboratori elettronici per la musica sperimentale (Lems), dotato di una sala (provvista di 21+1 altoparlanti geometricamente equidistanti) per la diffusione del suono, progettata per la tecnica ambisonica di ordine elevato. Unico in Italia e tra i pochi d’Europa. Monacchi ne rievoca le impegnative tappe nel suo recente volume “L’arca dei suoni originari”. Rammento che il progetto fu realizzato con un finanziamento regionale propiziato con sensibile attenzione dall’assessore Pietro Marcolini. Il nome di Giordani, per il settore disciplinare, è tra quelli che ricorrono nel mondo. Apprezzato da tutti i colleghi che ne hanno lodato la dirittura morale e l’onestà intellettuale, ora taluni di essi richiedono che la “Sala” venga a lui intitolata. Non sono mancati convegni internazionali, anche a Pesaro, con il fior fiore degli esperti convenuti in omaggio al compositore che compì i primi passi al conservatorio pesarese studiando pianoforte: a dodici anni già mostrava quel talento che l’avrebbe condotto al diploma con il massimo dei voti. Alla tastiera, in parallelo con l’amore per l’elettronica (ingegnere nella materia), restò legato divenendo un rinomato pianista Jazz.

Di chi viene a mancare si parla sempre bene. Sfido questo luogo comune che sottende anche ombre non esposte, sottolineando che il “bene” detto su Giordani è solo la oggettiva fotografia dei fatti, peraltro incompleta. Chi ha mai parlato, ad esempio, dei suoi successi di Bourges o di Boston? La riservatezza e la nobile modestia del personaggio ne hanno occultato i vasti meriti artistici e scientifici di cui in futuro qualcuno dovrà occuparsi per la ricostruzione del profilo di questo concittadino che ha dato lustro alla sua città ed alla cultura italiana. Raccomandava insistentemente agli allievi di “avere piena coscienza di quanto ciascuno produce perché è con ciò che si innesca un processo di crescita”. La fiducia dei colleghi lo portò ad essere eletto sia nel Consiglio Accademico che nel Consiglio di Amministrazione. In quest’ultimo organo l’ho avuto collaboratore attento e sapiente (acute le sue riflessioni su spese effettivamente necessarie per la sicurezza, accurata verifica sui libri della biblioteca destinati allo scarto, manutenzione del tetto dell’Istituto, ecc…).
Tante le esternazioni, affrante, per la sua tragica perdita. Sospira dolente Marcella Tinazzi, dirigente dell’Ufficio Scolastico provinciale: “Il suo Space ci ha reso orgogliosi, spesso i partners stranieri che giungevano in visita nelle nostre scuole lo conoscevano di fama, ne conoscevano la profondità innovatrice e chiedevano di visitare la Sala ambisonica”.

Con lancinante dolore della moglie Anna e della figlia Elena, il Padreterno l’ha convocato per il Grande Appuntamento a ridosso del suo compleanno, ricorrente nella terza decade di marzo. C’è da pensare che, nei suoi imperscrutabili disegni, abbia voluto riservarsi il privilegio di festeggiarlo in solitudine, magari con corredo dei nuovi suoni che Eugenio ha donato alla cultura mondiale.

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