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Fase 2, la ripresa è delle donne

Tra aperture e divieti, tra flessione della curva del contagio e decessi, tra tracciamenti e test sanitari, tra crisi economica e dispute politiche, siamo nella fase, forse, più difficile e delicata dell’emergenza da Covid-19. Quella della responsabilità individuale, collettiva, politica. In ultima analisi, quella di una nuova sensibilità. Per una cultura del rispetto del Pianeta. Per un nuovo modo di vivere e di lavorare. Per ritrovare valori più autentici nella socialità e negli affetti.

Le donne medici, infermiere, scienziate. Impegnate nelle istituzioni, nelle imprese, nel volontariato e in famiglia. Colonne della società in tempo di pandemia, sono ora chiamate ad una nuova sfida per affrontare difficoltà, anche psicologiche, nel ritorno alla ‘normalità’. Ecco la ripresa! Desiderata e sognata. Un miraggio durante i giorni più bui in compagnia dell’invisibile virus. Per un ritorno al passato, visto con nostalgia.

Il governo ha annunciato importanti misure di rilancio a favore di imprese, lavoro, famiglia, scuola, ricerca, cultura e spettacolo. E nuove misure di comportamento per non vanificare gli sforzi dell’Italia. Un popolo educato, rispettoso delle regole, responsabile, esempio per l’Europa e per il mondo, hanno detto in molti. E così siamo orgogliosi di non essere, finalmente, tra gli ultimi della classe. In un’Europa che sembra poter essere più unita e solidale.

Nella difficoltà di prevedere le conseguenze e l’impatto della pandemia sul sistema Paese, possiamo dunque uscire di casa, con le dovute cautele. Ma qual è, ora, la nostra normalità?
E mentre risuona il ritornello più sentito in tempo di isolamento “nulla sarà come prima”, sembra sfumare il grido di “andrà tutto bene”.

Molti sopravvissuti hanno timore di riprendere la vita fuori delle quattro mura. Il contesto incerto e imprevedibile del dopo sottrae energia, in un momento in cui se ne avrebbe maggiore bisogno.
Parametri e certezze precedenti appaiono ribaltati. La vicinanza deve trovare un senso nella distanza, la passione nella ragione, la solidarietà nella prudenza, la sicurezza nelle cose già acquisite.

Empatia, entusiasmo, fiducia, desiderio di novità, sembrano cedere di fronte all’unico bisogno: allontanare nuove ansie. Insomma, liberazione o costrizione? E quali altri linguaggi, oggi, possono risuonare nella nostra anima? Per molti è, in fondo, il timore di scoprire se stessi. Con tutte le proprie inquietudini, forse rafforzate.

Di rivedere l’arroganza e la violenza della società, di rivivere la liquidità delle relazioni e, in ultima analisi, la solitudine. Insomma, di ritrovare, fuori dalla capanna che ci ha protetto, maggiore insicurezza e fragilità. Svelate ormai per sempre. Dalla prova dell’isolamento, dalle lunghe riflessioni quotidiane sul mistero della vita, sulla caducità delle cose e sui legami divenuti essenziali o sfumati, in tempo di pandemia.

La ‘sindrome della capanna’ o ‘sindrome del prigioniero’, secondo la Società italiana di psichiatria, colpirebbe oltre un milione di italiani dopo il lockdown. Un disagio normale anche in persone equilibrate psichicamente ma che potrebbe essere acuito da obiettive difficoltà connesse alla precarietà del lavoro e alle incertezze per il futuro. Una sindrome scaturente dalla necessità di adattamento a uno stile di vita indubbiamente diverso da quello precedente. Affrontare una vita condizionata e radicalmente rinnovata, nelle modalità di lavoro e di socialità, richiede flessibilità e un periodo adeguato di tempo. E ognuno ha i propri ritmi e la propria storia.

E, secondo uno studio pubblicato su Schizophrenia Research, ci sarà un aumento delle psicosi correlate alla pandemia di Covid-19. Per la paura dell’esposizione al virus, alla vulnerabilità preesistente e, in generale, allo stress psicosociale. Mesi in tuta, pantofole. Niente parrucchieri, barbieri, estetiste. Dalla frenesia del caos delle città ai silenzi, in apnea, nelle nostre case. Padroni, non più schiavi, del tempo. Un tempo in cui il legame con gli altri ha dettato il battito del cuore placando le angosce della mente.

Protagonista indiscusso del vivere quotidiano, il mondo digitale ha ampliato la ristrettezza dello spazio fisico. In ogni settore ha rappresentato il mediatore della vita, del lavoro, degli affetti, del lavoro e dello svago. Nella necessità di riduzione burocratica, il digitale, per effetto della pandemia, ha mutato regole e procedure anche per le richieste di separazioni e divorzi. Mai così facile! Udienze virtuali per le separazioni consensuali. Boom di divorzi in molti Paesi nel post quarantena, come in Cina. Vedremo in Italia!

E ora, cosa faremo, nella vita quotidiana? Entreremo nei negozi ad indossare un nuovo abito nel desiderio di salutare l’estate che si avvicina, perso ormai l’appuntamento con la primavera? Avremo il piacere del rito del caffè al bar, del pranzo ‘a lume di candela’ o eviteremo incontri ‘per prudenza’ e per difficoltà logistiche o anche per mancanza di entusiasmo? In fondo, se abbiamo fatto a meno di tante cose e per tanto tempo, forse possiamo continuare così, almeno per un po’!
Persino Giorgio Armani, il re della moda italiana nel mondo, nel periodo dell’emergenza, ha scritto in una lettera: ‘Questa crisi è una meravigliosa opportunità per rallentare tutto, per riallineare tutto, per disegnare un orizzonte più autentico e vero’. E ancora: ’Basta spettacolarizzazione, basta sprechi’ ‘Per ‘togliere il superfluo’, per ‘ritrovare una dimensione più umana’. ‘Questa è forse la più importante lezione di questa crisi’.

Soprattutto, ricorderemo la voglia di essere solidali con gli altri e l’emozione di aver condiviso la sofferenza per la fine anche di persone sconosciute? Saremo almeno gentili con quei vicini di casa, prima ignoti se non ‘nemici’, ai quali ci ha unito l’abbraccio virtuale quando abbiamo cantato l’inno o quando abbiamo scambiato una parola in grado di darci reciproco conforto?

Psicologi e studiosi, in questi giorni, osservano le reazioni del mondo che rinasce nella fase 2 della pandemia. Tante analisi e tanti consigli per una ‘convalescenza’ dopo la lunga malattia. Per gli introversi che avrebbero tratto maggiore energia e creatività dall’isolamento, e per gli estroversi deprivati di stimoli esterni e relazioni essenziali per il loro benessere. Ed è un’altra ‘certezza’ ribaltata dal virus: gli introversi più forti rispetto al disagio della solitudine, nel tempo sospeso.

E poi ci sono gli effetti sulle relazioni affettive, ‘oggetti’ instabili caduti in mancanza di una reale profondità del legame, o invece quelle che si sono consolidate, trovando linguaggi e motivazioni anche nella lontananza. E, ancora, c’è l’attesa dei single, per incontri desiderabili ma all’insegna della distanza. Secondo esperti dell’Università del Colorado Boulder, dopo un periodo di distacco dall’amato, una regione del cervello (nucleus accumbens) si illumina in maniera più intensa a seconda della stabilità del legame. Un’ulteriore conferma del bisogno ancestrale di relazioni. Non resta che verificare da vicino!

Ma, allora, quale spazio di vita ci attende? Ancora una volta, forse, la chiave possiamo trovarla nella donna. Le donne protagoniste nei giorni più difficili. Hanno saputo organizzare il proprio mondo, nella ‘capanna’, e quello degli altri. Con musica, libri, film, ginnastica, yoga, cucina, supporto didattico. Offrendo disponibilità, accudimento e ascolto e tenerezza ai propri cari, ai propri studenti, agli amici.

Eppure non è andata ‘in isolamento’ la violenza in casa, aumentata del 60%. Senza distinzione di fascia sociale o di tipologia. Donne dello spettacolo o ragazze vittime di ‘revenge porn’. Foto private in atteggiamenti scherzosi, rubate dalle piattaforme social a scopo sessuale. Insulti e oscenità sul web, una sorta di stupro virtuale inneggiante in Rete ai femminicidi.

Anche il ritorno, a Milano, di Silvia Romano, la giovane volontaria sequestrata per 18 mesi in Somalia e Kenya, sembra esprimere ancora una volta, tra polemiche, insulti e minacce, una società sessista, misogina e violenta.

Nella lotta alla pandemia, le donne impegnate in prima linea. Nella sanità, in organismi pubblici e privati. Spesso assenti da comitati e processi decisionali, come hanno evidenziato con mirate iniziative associazioni, donne della politica e delle istituzioni. Secondo la società di consulenza britannica ‘20-first’ hanno donne ai vertici quegli Stati – dalla Germania alla Nuova Zelanda, da alcune nazioni scandinave a Taiwan – che avrebbero affrontato meglio la fase dell’emergenza. ‘In momenti di crisi come quello che stiamo vivendo, le donne hanno sempre un approccio differente: più diretto, più creativo. In una situazione d’emergenza come questa, è ciò che serve’.

La virologa Ilaria Capua, direttrice della One Health Center of Excellence dell’Università di Florida, volto e voce per gli italiani durante l’emergenza, ha sottolineato il talento delle donne nella ripartenza auspicando maggiore valorizzazione del contributo femminile. Donne più forti anche per combattere il virus. Meno del 40% avrebbero contratto la malattia ed ha 102 anni la paziente più anziana che è riuscita a sconfiggerlo!

E, nel periodo dell’isolamento assoluto, noi donne abbiamo riordinato, dopo gli armadi, i nostri pensieri. Il ‘ritiro’ spirituale della quarantena, il lungo periodo di silenzio globale ci ha fatto ascoltare emozioni e sentimenti, tenendo aperto ancor più il cuore e la mente senza filtri e condizionamenti. Abbiamo messo a fuoco le nostre imperfezioni e le fragilità, i nostri limiti e contraddizioni, le nostre ansie e i nostri errori. E quelli dei nostri compagni di vita. Con autenticità. E’ quello che ci ha aiutato a vivere nel lockdown espandendo la sensibilità e raggiungendo l’anima in maniera sempre più chiara. Ed è quello che ci ha fatto cogliere sfumature, dettagli e ci ha portato spontaneamente in una dimensione forse nuova, o forse la stessa, ma con maggiore consapevolezza e coraggio.

La donna dell’amore. Una condizione che non conosce la ‘normalità’ e sopravvive anche al di fuori della normalità. Uno stato di continuo contatto con la complessa sensibilità. E’ stata la certezza nell’isolamento, sarà la gioia per la ripresa. Tra le mille difficoltà, una sfida aperta soprattutto per noi stesse.

Non saremo, uomini e donne, né migliori né peggiori. La pandemia ha svelato tormenti che, ora, possono generare energia nuova. Ha scardinato modelli che, forse, potranno spazzar via pregiudizi e stereotipi più di quanto non abbiano avuto la forza di fare decenni di ‘lotte’ delle donne. Forse, a tutti, il virus ha demolito certezze illusorie aprendo nuove prospettive, liberati da sovrastrutture, ossessioni e falsi idoli.

Se abbiamo vissuto la spontaneità del sentire in presa diretta con noi stessi, accogliendo vulnerabilità e limiti, forse, allora sì, siamo pronti a ripartire! Ed è quello che, ora, occorre. Ed è quello che la donna, per sua natura, coltiva ogni giorno dentro di sé e vorrebbe condividere con gli altri. La consapevolezza dell’unicità della ‘imperfezione’. Ed è la forza delle emozioni e dei sentimenti.

Ora che siamo uniti, non solo le donne, da questa consapevolezza profondamente umana, ora che siamo consapevoli del disastro che hanno prodotto nel Pianeta politiche ma anche piccoli gesti quotidiani, non possiamo rimanere ancorati a ‘come eravamo’. Forse possiamo non temere bensì sperare che ‘nulla sarà come prima’ perché potrà essere ‘migliore di prima’. Se insieme, uomini e donne, non avremo dimenticato il senso di quanto è accaduto. Il post pandemia è un’altra occasione, per le donne, di riscatto da disparità e soprusi. Per rivedere ruoli, nel sociale e nel privato, che non penalizzino ulteriormente il genere femminile. Per dare fiducia alla donna e non arretrare nell’autonomia e nell’autostima. Con la leggerezza sempre capace di ricucire relazioni e affetti e di allentare tensioni.

Nella speranza, per tutti, di non ‘guardare indietro’ paralizzando mente e cuore.
Per una ripresa dei desideri e dei sogni che nessuna mascherina, feticcio dei prossimi tempi ma anche simbolo di solidarietà, seduzione e fiducia nel futuro, potrà allontanare. Da ritrovare in quei luoghi del cuore delle donne che daranno un senso al sacrificio di tutti.



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