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Fase 2, servizi non autoritarismo. I consigli di Balducci

La risposta istituzionale all’emergenza causata dal Covid-19 è una specie di cartina al tornasole in grado di mettere in evidenza il reale assetto di valori e competenze che caratterizzano i vari sistemi istituzionali, una sorta dell’anima profonda delle varie amministrazioni. Se paragoniamo Italia e Germania, risulta evidente che là dove la risposta tecnica è stata forte (Germania), non solo gli interventi autoritari (lockdown) sono stati molto blandi, ma anche i contagi e le vittime sono stati pochi. In Italia (ma anche in Spagna e Francia) la situazione è esattamente il contrario.

Emerge in maniera difficilmente smentibile l’ipotesi che là dove vige una cultura protestante lo stato è più orientato ai servizi che all’esercizio di autorità. Non è un volo pindarico nell’olimpo della teoria alta. I cosiddetti Paesi protestanti sono (ad esempio l’Olanda) Paesi dove da secoli convive una maggioranza (60%) di protestanti ed una forte minoranza (40%) di cattolici. Questa convivenza ha portato, già nel XVII secolo, alla ricerca di un sistema di legittimazione del potere politico non più basato sull’investitura religiosa ma sul fatto che lo stato fornisce servizi ai suoi sudditi. Il Wohlfahrtstaat è qui che trova le sue radici.

La risposta che i vari sistemi istituzionali stanno dando nella cosiddetta Fase 2 rafforza questa impressione. Se nella Fase 1 l’esercizio dell’autorità poteva farsi scudo dell’ipotesi che era necessario evitare i contatti sociali per ridurre i contagi, nella fase due è evidente che le misure prese sono spesso non giustificabili da nessun punto di vista: esse appaiono solo come esercizio di autorità. La seconda fase delle riaperture funge, peraltro, da cartina al tornasole che fa emergere in superficie tutta una serie di meccanismi profondi della nostra cultura istituzionale, ben al di là dell’orientamento minore o maggiore al servizio. Qui vorrei provare a prendere in considerazione (i) la proposta dei cosiddetti 60 mila assistenti civici proposti dal ministro Boccia , (ii) la mancata riapertura delle scuole e (iii) il telelavoro. Vediamo le tre cose separatamente.

La proposta dei 60 mila assistenti civici. Qui emerge in controluce la poca o nulla considerazione data dalla nostra cultura istituzionale al volontariato e all’associazionismo in generale. I volontari non vanno reclutati singolarmente ma attraverso le associazioni di volontariato e del no profit! Tutto il nuovo codice del no profit non prende in considerazione adeguatamente l’associazionismo. La cultura istituzionale prevalente non ama i corpi intermedi che si frappongono tra l’individuo e lo Stato. L’importanza profonda dei corpi intermedi è, in questi stessi giorni, messa in evidenza dalle turbolenze di Hong Kong. A Hong Kong i cittadini rimpiangono il periodo in cui, anziché stato libero, erano una colonia. Una colonia che garantiva loro però il libero diritto di associazione! La nostra cultura non ama che tra i singoli e il moloch stato ci siano dei corpi intermedi. Qui il ministro Boccia ha realizzato una vera e propria operazione di scambismo istituzionale: rivolgendosi a chi gode di varie forme di aiuti pubblici (primi fra tutti i percettori di reddito di cittadinanza), anziché far perno sull’obbligo di questi percettori a prestare la loro opera, ha fatto ricorso alla categoria del “volontariato”. Come se il volontariato fosse una sorta di obbligo morale. Qui il governo deve decidere. Se vuole insistere nel reclutamento di questi assistenti civici, o obbliga i percettori di reddito di cittadinanza a questa prestazione o passa per l’associazionismo.

La decisione di non riaprire le scuole. Qui emerge chiaramente che la scuola non è percepita come un servizio. Non solo si sarebbe potuto e dovuto (come in molti Paesi) prolungare la durata dell’anno scolastico. Si sarebbe dovuto anche far ricorso a tutti quegli edifici che via via sono stati abbandonati negli ultimi anni per la riduzione delle scuole dovuta alla riduzione degli alunni, riduzione a sua volta causata dalla nota crisi demografica. Il ricorso a questi edifici abbandonati potrebbe facilmente permettere di avere a disposizione spazi sufficienti per garantire la distanza richiesta tra gli alunni e tra alunni e docenti. C’è da chiedersi perché non ci si sia preparati a tale scopo durante di tre mesi di lock down. C’è da augurarsi che tale prospettiva venga sfruttata in previsione dell’apertura scolastica di settembre. Non c’è da illudersi che l’insegnamento a distanza possa sostituire l’insegnamento in presenza. Attualmente mi trovo tra Olanda e Belgio, Paesi dove l’insegnamento a distanza è molto praticato. Nelle università e scuole superiori tecniche Olandesi e Fiamminghe il “sapere” viene oramai da anni erogato in modalità telematica mentre i corsi “in presenza” sono dedicati alla erogazione del “saper fare”, alle esercitazioni pratiche. Il fatto è che l’insegnamento a distanza non è tanto una questione di disponibilità di strumentazione hardware e software. L’insegnamento in via telematica è una questione di “ingegneria della formazione”. Un’ora di lezione telematica richiede diverse decine di ore di preparazione. Nulla si improvvisa. C’è da augurarsi che si pensi ad attivare iniziative formative adeguate, ovviamente in modalità telematica, per insegnare ai nostri docenti di ogni livello (dalle scuole elementari all’università) ad insegnare a distanza.

Il fatto che l’insegnamento a distanza non si improvvisa ci porta all’ultimo argomento che ci siamo proposti di trattare qui: il telelavoro. Il telelavoro ha due requisiti. Da una parte è necessario che tutti i dati siano su supporto informatico e non su supporto cartaceo. Oggi di fatto chi fa il telelavoro nelle nostre pubbliche amministrazioni è costretto a recarsi periodicamente in ufficio a fotocopiare i documenti cartacei su cui lavorerà poi via computer da casa. Ma non è solo una questione di supporto cartaceo o digitale. Si tratta di una rivoluzione nell’organizzazione del lavoro. Per poter lavorare in modalità remota è indispensabile passare ad una organizzazione per processi e controllare le prestazioni del dipendente non più sulla base della presenza sul posto di lavoro ma sulla base dell’output effettivamente realizzato. Qui dove mi trovo il telelavoro era già affermato come strumento per diminuire l’inquinamento (se lavoro da casa non mi devo spostare) e come strumento per ridurre i costi del datore di lavoro (minori spazi, minori costi di riscaldamento etc.). Ma il telelavoro qui è possibile perché si lavora per processi. Se non trasformo la macchina amministrativa da una catena gerarchica come è oggi ad una macchina per processi, non solo il telelavoro sarà un accrocchio ma la stessa digitalizzazione della macchina amministrativa sarà un incubo. Finirò con il cristallizzare la confusione esistente.

Fin qui stiamo reagendo alle sfide del Covid-19 secondo i nostri meccanismi di risposta tradizionali. Dobbiamo fare un salto di qualità e cambiare i nostri meccanismi di risposta.


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