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Fca, i paradisi fiscali e le altre balle populiste. L’affondo di Marattin

Di Luigi Marattin

Ieri sui social è montato lo scandalo: Fca starebbe per ricevere finanziamenti pubblici (il vice-segretario Pd Andrea Orlando li ha pure definiti “ingenti”) nonostante abbia la sede in un paradiso fiscale. Cosa c’è di vero in questa frase? Neanche i punti. Vediamo perché.

Il Decreto Liquidità (DL 23/2020) non fornisce alle imprese finanziamenti pubblici (tantomeno ingenti), come ben sa chi lo ha criticato esattamente per questo motivo, bensì garanzie pubbliche (quasi sempre parziali) su prestiti che le banche concedono alle imprese. Fca Italia ha fatto domanda per questa garanzia su una linea di credito triennale fino a 6,3 mld che sta trattando con Intesa San Paolo.

 

Fca Italia ha sede in Italia, e paga le tasse in Italia. Altrimenti non avrebbe potuto chiedere questa garanzia, visto che il Dl Liquidità lo specifica (all’art.1, prima riga, proprio per evitare che sfuggisse alla lettura…).

La garanzia ha ovviamente un costo sulle finanze pubbliche, ma (essendo non-standardizzata) secondo le regole Ue non ha impatto sul deficit (e quindi non è in concorrenza con riduzione tasse, sostegno ai lavoratori ecc) ma solo sul saldo netto da finanziare (un “cassetto” di finanza pubblica dove ci sono – se non impattanti anche sul deficit – solo le operazioni finanziarie). Quindi l’argomento “potevamo risparmiare quelle risorse per ridurre le tasse, dare ristori alle imprese o ai lavoratori” non ha alcun fondamento.

Il prestito triennale (concesso da una banca privata) serve a garantire il pagamento puntuale delle migliaia di fornitori italiani della filiera dell’automotive (tutte piccole e medie imprese) in un momento delicato quale è la riapertura degli stabilimenti.

Fca Italia infatti impiega direttamente 55.000 dipendenti in Italia (in 16 fabbriche e 26 poli di ricerca e sviluppo), che con l’indotto della fornitura arrivano a circa 370.000. Tutto questo, ovviamente, è Pil italiano.

L’equivoco sul “paradiso fiscale” nasce dal fatto che la controllante (Fca, multinazionale globale che nel 2014 inglobò l’americana Chrysler) ha sede ad Amsterdam e domicilio fiscale a Londra. Come succede a molte aziende divenute nel frattempo player mondiali.

Né i Paesi Bassi né il Regno Unito fanno parte della lista Ocse dei paradisi fiscali (che, tra “lista nera” e “lista grigia”, comprende 35 paesi). Semplicemente, in quei paesi il diritto societario è più efficiente, la giustizia più veloce, e le tasse un po’ più basse.

Non c’è nulla di male, infatti, se un paese Ue – con una gestione oculata delle proprie finanze – decide di offrire agli agenti economici un ambiente fiscale (e non solo) particolarmente favorevole.

Del resto lo abbiamo fatto anche noi: nella prima (e per fortuna unica) Legge di Bilancio del governo Lega-M5S si sono abbassate le tasse al 7% per i pensionati stranieri che portino la residenza in un comune del Sud. Come vedete, con i suoi soldi ogni paese fa le scelte che ritiene più utili al proprio sviluppo.

Grazie a medici e infermieri, lo spettro del Covid-19 sembra aver perso potenza. Ce n’è un altro tuttavia, forse persino più pericoloso nel lungo periodo, che potenza sembra invece guadagnarne ogni giorno: lo spettro del populismo.

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