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Dalle navi (di Fincantieri) ai satelliti, il futuro è con gli Usa. Scrive Spagnulo

Douglas Hurley è un uomo fortunato oltre che bravo. Anzitutto perché è un pilota della Nasa, e poi perché nel 2011 ha avuto il privilegio di vivere da protagonista un giorno storico per l’America e per il mondo.

Nove anni fa, l’8 luglio, lo Space Shuttle Atlantis decollava per l’ultima volta dalla Florida con a bordo quattro astronauti tra cui proprio Hurley. Dopo il disastro del Columbia nel 2003, la Nasa decise di chiudere definitivamente la carriera spaziale della navetta che di fatto volò solo altre 22 volte per terminare la costruzione della stazione orbitante Iss. Il prossimo 27 maggio, Hurley avrà la fortuna e il privilegio di tornare a essere protagonista di un altro momento storico: insieme al collega Robert Behnken tornerà sulla mitica rampa 39 di Cape Canaveral – quella dello Shuttle e del Saturno V – per volare a bordo della moderna astronave Crew Dragon alla volta della Iss.

Colpisce lo studiato simbolismo di questo virtuale passaggio di testimone in una prospettiva di ideale continuità. Uno degli uomini che nel 2011 era a bordo dell’ultima navetta spaziale, indiscusso simbolo anche mediatico della supremazia americana nello Spazio, sarà l’astronauta collaudatore della nuova iper-tecnologica astronave ”made in Usa”. Per nove anni, gli statunitensi hanno comprato dei passaggi a bordo delle Soyuz russe come dei costosi taxi, ma ora tornano a fare da soli e il messaggio simbolico che Doug Hurley porta con sé è “riprendiamo da dove avevamo lasciato, non ce ne siamo mai andati e torniamo per fare meglio”.

Il simbolismo non è mai lasciato al caso. Nel 1981, il primo Space Shuttle che nell’era post-Apollo riportava l’America nello Spazio dopo 9 anni di assenza – anche qui la stessa coincidenza temporale sembra studiata – era pilotato da John Young, veterano della Nasa e moonwalker dell’Apollo 16. Orgoglio e continuità, si potrebbe dire senza smentita. La missione Crew Dragon della SpaceX è storica per evidenti motivi, ma ci preme qui sottolinearne alcuni per riflettere sulle conseguenze tecnologiche, commerciali e politiche che ne potranno scaturire per tutti, Europa compresa.

L’aspetto più rilevante è che la SpaceX sarà la prima società privata a effettuare per conto del governo americano un servizio completo di trasporto spaziale di astronauti. E specifico “completo” perché sia l’astronave Crew Dragon che il suo razzo vettore Falcon 9 sono di proprietà della ditta californiana di Elon Musk. Il Falcon è stato progettato più di dieci anni fa ed è operativo dal 2010 con 85 lanci riusciti su 87 tentativi; di certo è stato migliorato negli anni, ma Musk, visionario e pragmatico business man, lo ha progettato per essere un veicolo moderno, affidabile, recuperabile, riutilizzabile e adatto a fare la spola per lo Spazio portando sia uomini che satelliti. Prima della SpaceX l’idea di avere un solo razzo vettore per tutti gli usi non era nel Dna delle agenzie spaziali. Per la Nasa, e per la stessa Esa europea, un razzo cosiddetto “man-rated” ha sempre richiesto dei requisiti di progetto ben diversi da quelli di un veicolo di lancio che serviva solo per mettere in orbita sonde o satelliti.

Giustamente, si dovevano garantire i più elevati standard di sicurezza e affidabilità anche sopportando elevati costi e tempi di sviluppo. Elon Musk ha adottato un altro paradigma per il suo Falcon e senza intaccare gli standard di sicurezza ha fatto evolvere nel tempo lo stesso razzo sino a farlo diventare “ready-for-astronauts”. E questa è una grossa lezione per tutti. Fino a non molti anni fa, diversi dirigenti europei sottostimavano la portata innovativa della SpaceX e pensavano che riutilizzare i Falcon non fosse poi così vantaggioso. In realtà, non avevano capito che Elon Musk stava importando nel settore spaziale un modello di business assimilabile a quello del trasporto aereo. Immaginate di prendere un aeroplano per recarvi oltreoceano e una volta arrivati a destinazione la compagnia aerea butta via il velivolo con tutti i motori e ne compra un altro per riportarvi indietro.

In pratica, nell’astronautica questo è quello che succede sin dal secolo scorso e per questo i razzi vettori si chiamano “spendibili”, perché vanno persi. La SpaceX invece li recupera e li riutilizza per trasportare sia satelliti che capsule con astronauti a bordo. Ha cambiato il paradigma e rappresenta la punta di lancia di quel gruppo di imprenditori privati che, solo negli Stati Uniti per la verità, stanno aprendo un nuovo mercato.

Realisticamente, dovranno essere messi in conto purtroppo anche eventuali incidenti, come quelli che talvolta accadono nell’aviazione commerciale e anche se preferiremmo che non accadessero mai, da essi si traggono lezioni per migliorare le curve di apprendimento delle linee di produzione e dei bureaux di studio. Boeing o Airbus non progettano i loro aerei in maniera differente a secondo del loro utilizzo, cioè per passeggeri o per merci. Così è stato concepito il sistema di trasporto Falcon + Dragon.

L’aspetto evolutivo della tecnologia del XXI secolo si sta manifestando in nuovi prodotti spaziali che con l’impiego della moderna elettronica, dei materiali innovativi e dei software più performanti, diventano essi stessi driver dei business del futuro.Tutti aspettiamo con ammirazione e partecipazione il prossimo lancio degli astronauti da Cape Canaveral, intanto la Nasa ha appena assegnato alle società private SpaceX, Blue Origin e Dynetics tre contratti, per un importo complessivo di un miliardo di dollari, per realizzare dei Lander lunari con cui far arrivare astronauti americani sulla superficie della Luna entro il 2024. La scelta politica dietro tutto ciò diventa più chiara se si mettono insieme i diversi tasselli della strategia.

Gli Usa vogliono tornare rapidamente sulla Luna o intorno a essa per contrastare il posizionamento cinese nell’orbita bassa terrestre. In quest’ottica, il progetto Gateway dovrebbe diventare una stazione lunare orbitante automatica e visitabile da astronauti per brevi periodi, mentre il programma Artemis dovrebbe puntare a far sbarcare astronauti sulla superficie entro il 2024 che, in caso di riconferma elettorale, sarebbe proprio l’ultimo anno di presidenza dell’attuale inquilino della Casa Bianca. In questa nuova “corsa spaziale” Washington lascia le briglie sciolte all’industria privata.

Poche settimane fa, Donald Trump ha firmato una direttiva per liberalizzare lo sfruttamento commerciale della Luna e degli altri corpi celesti. La differenza con la “corsa spaziale” del secolo scorso sarà però sostanziale, perché gli imprenditori costruiranno in partnership pubblico-privata con la Nasa i razzi e le astronavi che saranno funzionali sia alla politica che al loro business. In fondo, negli anni 60 anche le aziende che costruivano le capsule Apollo e i missili Saturno V erano private ma agivano esclusivamente sulla base di input politici. Da oggi in poi, invece, SpaceX, Blue Origin e le altre società che verranno in seguito, si comporteranno anche con una certa autonomia per sfruttare le opportunità commerciali che riusciranno a sviluppare.

In questo quadro, purtroppo, l’Europa dello Spazio è assente, ancorata a schemi concettuali e organizzativi di qualche decennio fa. Per l’Italia che ha capacità industriali indiscusse, per esempio proprio nella cosiddetta “cantieristica spaziale” (infatti c’è un piccolo, ma significativo, ruolo italiano nella cordata Dynetics), ciò che accade oltre oceano dovrebbe indurre a cogenti riflessioni di politica industriale per avviare vantaggiose collaborazioni che possano portare a produzioni seriali e all’industrializzazione di prodotti competitivi anche per il mercato civile.

In sintesi, la politica italiana dovrebbe mettere questi temi in priorità strategica considerando che saranno in tutta evidenza i programmi statunitensi quelli a maggior traino commerciale per il futuro.

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